Antonella Anedda


Nuvole, io

I.

Il documento viene salvato, lo schermo torna grigio,
lo stesso grigio topo del cielo.
Vorrei disfarmi dell’io è la moda che prescrive la critica
ma la povertà è tale che possiedo solo un pronome.
Al massimo lo declino al plurale. Dico noi
e mi sento falsamente magnanima.
Dire voi e tu mi dà disagio come accusare.
La terza persona mi confonde ogni volta con il sesso.
Alla fine torno all’io che finge di esistere,
ma è una busta come quelle usate per la spesa
piena di verdure o pesce surgelato.
Io con l’io mi nascondo
chiamando a raccolta quello che sappiamo:
abbiamo paura, ancora non è chiaro come finirà la storia.
Dunque riapro la finestra dello schermo,
ritrovo il documento, esito davanti alla tastiera.
Salvo in una nube l’insalvabile.

Historie (Einaudi, 2018)

Foto di Dino Ignani

Antonella Anedda


Mi spingo oltre il dolore
dove nessuno sospetta che si soffra
in una zona di pelle mai colpita
cupa come l’avambraccio
o molata dall’osso come il gomito.
Striscio piano con l’anima coperta da scaglie rosso-grigie
per sostenere i rovi e lasciare a terra
il sangue minimo. Un passo – sono paziente –
e il corpo ha imparato a frusciare dentro l’erba.

Da molto lontano – da un’alba di ottobre
da un oggetto mosso nella sabbia del lago
viene ciò che la pena contempla: un paesaggio
dove non si può dormire.
Era una lunga immagine
il mormorio di un brivido.
Troppo tardi si compone l’astuzia di ogni sera
fingere che il mio braccio sia il tuo
che stringa la mia mano
di nuovo, senza pace.

 

Notti di pace occidentale (Donzelli, 1999)

Foto di Dino Ignani

Antonella Anedda

Anedda-Antonella-500x484

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non esiste innocenza in questa lingua
ascolta come si spezzano i discorsi
come anche qui sia guerra
diversa guerra
ma guerra – in un tempo assetato.
Per questo scrivo con riluttanza
con pochi sterpi di frase
stretti a una lingua usuale
quella di cui dispongo per chiamare
laggiù perfino il buio
che scuote le campane.

 

Notti di pace occidentale (Donzelli, 1992)