Iosif Brodskij


Non sono uscito di senno, ma sono stanco dell’estate.
Cerchi nel cassettone una camicia, e il giorno è perso.
Venga l’inverno e copra tutto, presto,
le città e le genti e, innanzitutto, il verde.
Io dormirò vestito, sfoglierò libri in prestito,
finché non se ne andrà per la sua strada l’anno,
quel che resta,
come il cane che sfugge al cieco e che traversa
lungo le strisce pedonali. È libertà
se scordi il patronimico del capo,
se è dolce la tua bocca più della chalvà
di Shiraz e se, col cervello strizzato
come il corno di un capro,
dall’occhio azzurro nessuna stilla scenderà.

Poesie (Adelphi, 1986), a cura di G. Buttafava

Jorge Luis Borges


Lodata e altera, alta nella sera
va nel casto giardino. È nell’esatta
luce del puro istante irreversibile
che ci dona il giardino e l’immagine
silenziosa. La vedo qui e ora,
ma posso anche vederla nell’antica
Ur dei Caldei, nel grigio di un crepuscolo,
o scendere la lenta scalinata
di un tempio, adesso polvere infinita
del pianeta e che fu superbia e pietra,
o decifrare in altre latitudini
il magico alfabeto delle stelle,
o odorare una rosa in Inghilterra.
Lei è dove c’è musica, nel lieve
azzurro, nell’esametro del greco,
in una spada, nello specchio terso
dell’acqua, è nelle nostre solitudini
che la cercano, nel marmo del tempo,
nella serenità di una terrazza
che affaccia su giardini e su tramonti.

E al di là delle maschere e dei miti,
l’anima, che è sola.

L’oro delle tigri (Adelphi, 2004), trad. it. T. Scarano

Susana Bombal

Alta en la tarde, altiva y alabada,
cruza el casto jardín y está en la exacta
luz del instante irreversible y puro
que nos da este jardín y la alta imagen
silenciosa. La veo aquí y ahora,
pero también la veo en un antiguo
crepúsculo de Ur de los Caldeos
o descendiendo por las lentas gradas
de un templo, que es innumerable polvo
del planeta y que fue piedra y soberbia,
o descifrando el mágico alfabeto
de las estrellas de otras latitudes
o aspirando una rosa en Inglaterra.
Está donde haya música, en el leve
azul, en el hexámetro del griego,
en nuestras soledades que la buscan,
en el espejo de agua de la fuente,
en el mármol del tiempo, en una espada,
en la serenidad de una terraza
que divisa ponientes y jardines.

Y detrás de los mitos y las máscaras,
el alma, que está sola.

Charles Simic

 

Sono cresciuto chino
su una scacchiera.

Amavo la parola scaccomatto.

Il che sembrava impensierire i miei cugini.

Era piccola la casa,
accanto a un cimitero romano.
I suoi vetri tremavano
per via dei carri armati e caccia.

Fu un professore di astronomia in pensione
che m’insegnò a giocare.

L’anno, probabilmente, il ’44.

Il Re bianco andò perduto,
dovemmo sostituirlo.

Mi hanno detto, non credo sia vero,
che quell’estate vidi
gente impiccata ai pali del telefono.

Ricordo che mia madre
spesso mi bendava gli occhi.
Con quel suo modo spiccio d’infilarmi
la testa sotto la falda del soprabito.

Anche negli scacchi, mi disse il professore,
i maestri giocano bendati,
i campioni, poi, su diverse scacchiere
contemporaneamente.

 

*

 

I grew up bent over
a chessboard.

I loved the word endgame.

All my cousins looked worried.

It was a small house
near a Roman graveyard.
Planes and tanks
shook its windowpanes.

A retired professor of astronomy
taught me how to play.

That must have been in 1944.

In the set we were using,
the paint had almost chipped off
the black pieces.

The white King was missing
and had to be substituted for.

I’m told but do not believe
that that summer I witnessed
men hung from telephone poles.

I remember my mother
blindfolding me a lot.
She had a way of tucking my head
suddenly under her overcoat.

In chess, too, the professor told me,
the masters play blindfolded,
the great ones on several boards
at the same time.

Hotel insonnia (Adelphi, 2002), trad. it. Andrea Molesini

Zbigniew Herbert


Signore,

donami l’abilità di comporre lunghe frasi, la cui linea è la linea del respiro, sospesa come i ponti, come l’arcobaleno, come l’alfa e l’omega dell’oceano

Signore, donami la forza e la destrezza di quelli che costruiscono lunghe frasi, ramificate come una quercia, spaziose come un’ampia valle, perché vi entrino mondi, ossature di mondi, mondi di sogno

e anche perché le frasi principali dominino sicure sulle subordinate, e controllino la loro corsa complicata, ma espressiva, che persistano impassibili come un basso continuo sugli elementi in moto, che li attirino, come attira gli elementi la forza delle invisibili leggi gravitazionali

prego allora per frasi lunghe, frasi modellate con fatica, estese così che in ognuna si trovi il riflesso speculare di una cattedrale, un grande oratorio, un trittico

e anche animali poderosi e piccoli, stazioni ferroviarie, un cuore pieno di rimpianto, abissi rocciosi e il solco dei destini nella mano

L’epilogo della tempesta (Adelphi, 2016) trad. it. F. Fornari

Zbigniew Herbert


Tutti i tentativi di allontanare
il cosiddetto calice amaro —
con la riflessione
l’impegno frenetico a favore dei gatti randagi
gli esercizi di respirazione
la religione —
sono falliti

bisogna accettare
chinare mitemente il capo
non torcersi le mani
ricorrere alla sofferenza con misura e dolcezza
come a una protesi
senza falso pudore
ma anche senza inutile orgoglio

non sventolare il moncherino
sulle teste degli altri
non picchiare col bastone bianco
alle finestre dei sazi

bere l’estratto d’erbe amare
ma non fino in fondo
lasciarne avvedutamente
qualche sorso per l’avvenire

accettare
ma al tempo stesso
distinguere dentro di sé
e possibilmente
trasformare la materia della sofferenza
in qualcosa o qualcuno

giocare
con essa
ovviamente
giocarci

scherzare con essa
con grande cautela
come con un bambino malato
per strappare alla fine
con sciocchi giochetti
un esile
sorriso

Rapporto dalla città assediata (Adelphi, 1993), a cura di P. Marchesani

Charles Simic

Ph. Dino Ignani

Clouds Gathering

It seemed the kind of life we wanted.
Wild strawberries and cream in the morning.
Sunlight in every room.
The two of us walking by the sea naked.

Some evenings, however, we found ourselves
Unsure of what comes next.
Like tragic actors in a theater on fire,
With birds circling over our heads,
The dark pines strangely still,
Each rock we stepped on bloodied by the sunset.

We were back on our terrace sipping wine.
Why always this hint of an unhappy ending?
Clouds of almost human appearance
Gathering on the horizon, but the rest lovely
With the air so mild and the sea untroubled.

The night suddenly upon us, a starless night.
You lighting a candle, carrying it naked
Into our bedroom and blowing it out quickly.
The dark pines and grasses strangely still.

 

*

 

E si ammassavano le nuvole

Sembrava il tipo di vita che volevamo.
Fragole di bosco e panna al mattino.
La luce del sole in ogni stanza.
E noi a camminare nudi sulla riva.

Qualche sera, però, ci siamo trovati
incerti sul domani.
Come attori tragici d’un teatro in fiamme,
con gli uccelli a ruotare in cerchio sulle nostre teste,
ed i pini scuri inspiegabilmente ancora lì fermi,
abbiamo calpestato ogni roccia insanguinata dal tramonto.

E poi di nuovo sul nostro terrazzo a sorseggiare vino.
Perché sempre questo senso di tragico finire?
Nuvole dalle sembianze quasi umane si ammassavano
all’orizzonte, mentre ogni cosa era piacevole
nell’aria mite ed il mare sereno.

Poi la notte ancora ci sorprese, una notte senza stelle.
Mentre tu accendevi una candela, nuda la portavi
in camera da letto ed in fretta la spegnevi,
ancora lì, inspiegabilmente fermi nel buio, i pini e l’erba.

 

Hotel insonnia (Adelphi, 2002), a cura di A. Molesini

O.V. de L.Milosz

Laisse en mes mains dormir ta douce tête:
Juin des ruines brûle en tes cheveux blonds,
Lianes, soleil vieux sur les houblons.
Ta bouche est le pavot du mur qui prête
Sa vieille ombre moisie aux vagabonds.

Un chant de pêcheurs au mauve des mers
Voilà ce que m’est ta voix endormie,
Ta voix, invisible et pensive amie.
Ton cœur est le lit de fleurs des doux hiers,
La cloche tiède et sourde d’accalmie.

Un ciel de pays mort depuis longtemps
Chante en tes yeux, – un ciel de pauvre terre
Où la pâle Annabel et Guy de Vere
Et d’Elormie entendent aux grands vents
Sonner doux Octobre du cimetière.

Et qu’importe que tu sois irréelle
Et de celles qui ne furent jamais?
Ma solitude aux vieux jardins aimés
En est-elle moins charmeuse ou moins belle
Ton automne aux feuillages enflammés?

*

Lascia dormire fra le mie mani la tua dolce testa:
Giugno delle rovine arde nei tuoi capelli biondi,
Liane, vecchio sole sul luppolo.
La tua bocca è un papavero sul muro che presta
La sua vecchia ombra ammuffita ai vagabondi.

Un canto di pescatori nel malva dei mari
È per me la tua voce assopita,
La voce tua, amica invisibile e pensosa.
Il tuo cuore è il letto fiorito dei dolci ieri,
La campana mite e sorda della bonaccia.

Un cielo di paese morto da gran tempo
Canta nei tuoi occhi – un cielo di povera terra
Dove la pallida Annabel e Guy de Vere
E d’Elormie sentono nei forti venti
Risuonare tenue Ottobre dal cimitero.

E cosa importa che tu sia irreale?
Di quelle che non sono mai esistite?
La mia solitudine di giardini antichi e amati
È meno affascinante o meno bella
Del tuo autunno dalle foglie in fiamme?

Sinfonia di novembre e altre poesie (Adelphi, 2008), trad. it. M. Rizzante

Nina Cassian


Volevo restare a settembre
sulla spiaggia pallida e deserta,
volevo caricarmi di cenere
delle mie volubili gru
e che il vento grave dormisse
come acqua nelle reti fra le chiome;
volevo una notte accendermi
una sigaretta più bianca della luna
e intorno a me – nessuno, solo il mare
con la sua forza grave e latente;
volevo restare a settembre,
presente al trascorrere del tempo,
una mano fra gli alberi e l’altra
nella sabbia canuta – e scivolare
nell’autunno insieme all’estate…

Ma a me sono stati prescritti,
è chiaro, più penosi abbandoni.
Mi è toccato strapparmi a paesaggi
a cuore impreparato
e mi è toccato lasciare l’amore
quando ancora amare vorrei…

C’è modo e modo di sparire (Adelphi Edizioni, 2013) trad. it. A. N. Bernacchia

Derek Walcott


Stella

Se, alla luce delle cose, tu scolori
davvero, eppure debolmente sottratta
alla nostra determinata e giusta
distanza, come la luna lasciata accesa
tutta la notte tra le foglie, possa
tu invisibilmente allietare questa casa;
o stella, doppiamente compassionevole, venuta
troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi
per l’alba, possa la tua pallida fiamma
dirigere il peggio in noi
attraverso il caos
con la passione del
semplice giorno.

Mappa del Nuovo Mondo (Adelphi, 1992), trad. it. B. Bianchi

Derek Walcott

derek-walcott
Archipelagoes

At the end of this sentence, rain will begin.
At the rain’s edge, a sail.

Slowly the sail will lose sight of islands;
into a mist will go the belief in harbours
of an entire race.

The ten-years war is finished.
Helen’s hair, a grey cloud.
Troy, a white ashpit
by the drizzling sea

The drizzle tighten like the strings of a harp.
A man with clouded eyes picks up the rain
and plucks the first line of the Odyssey.

 

*

 

Arcipelaghi

Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All’orlo della pioggia, una vela.

Lenta la vela perderà di vista le isole;
in una foschia se ne andrà la fede nei porti
di un’intera razza.

La guerra dei dieci anni è finita.
La chioma di Elena, una nuvola grigia.
Troia, un bianco accumulo di cenere
vicino al gocciolar del mare.

Il gocciolio si tende come le corde di un’arpa.
Un uomo con occhi annuvolati raccoglie la pioggia
e pizzica il primo verso dell’Odissea.

 

Mappa del nuovo mondo (Adelphi, 1992), trad. it. B. Bianchi, G. Forti, R. Mussapi