Guido Catalano nasce a Torino alle 8.50 del mattino del 6 febbraio del 1971. A 17 anni decide che vuole diventare una rockstar, più tardi ripiega sulla figura di poeta professionista vivente, che ci sono più posti liberi. Tiene spettacoli di poesie in tutta Italia da molti anni e ha collaborato con molti musicisti, tra i quali Federico Sirianni, Dente, Dario Brunori. Cura una rubrica di posta del cuore sul Corriere della Sera, edizione Torino. Ha pubblicato 7 libri di poesie e 2 romanzi, oggi tutti editi per Rizzoli: I cani hanno sempre ragione; Sono un poeta, cara; Motosega; Ti amo ma posso spiegarti; Piuttosto che morire m’ammazzo; La donna che si baciava con i lupi; D’amore si muore ma io no (romanzo); Ogni volta che mi baci muore un nazista; Tu che non sei romantica (romanzo).
1. Qual è lo stato di salute della poesia oggi?
Dal mio piccolo punto di osservazione direi che se ne vede di più in giro. Nelle librerie gli scaffali si stanno allargando e ogni tanto si vedono raccolte di poeti non morti. Non nel senso di zombi o vampiri, dico, gente viva, magari anche sotto i settanta.
Si moltiplicano i reading e le persone vanno a vedere i poeti declamare i loro versi.
I ragazzi e le ragazze del poetry slam stanno facendo un ottimo lavoro, malgrado ogni tanto esca fuori qualche povero di spirito che afferma che lo slam faccia del male alla Poesia, alla Società, a Dio, al Mondo.
Poi c’è il discorso social. La poesia viene condivisa parecchio anche se la qualità per lo più è bassa, molto bassa o sotto il livello di accettabilità (LDA).
Rispetto a quando ho iniziato ad andare in giro a leggere poesie e a pubblicare i miei primi libri, sicuramente qualcosa si sta muovendo.
2. Ma, prima di tutto, cos’è per te la poesia?
Speravo che non mi avresti fatto questa domanda ma ormai l’ho letta e mi tocca rispondere.
La poesia, quando sei fortunato è un incantesimo e il libro di poesie è un libro magico (Spell Book in inglese). Dunque il poeta è un mago.
Quando la poesia funziona ha, come succede con gli incantesimi, un effetto.
Un mago può lanciare palle di fuoco dalle mani.
Un poeta può cambiare le cose con i suoi versi.
Può cambiare l’umore delle persone. Può far vedere loro cose che prima non vedevano. Può eccitare, immalinconire, divertire, innamorare, far pensare, spaventare.
Io una volta con una poesia ho piegato un cucchiaio di metallo.
3. Chi sono i tuoi maestri?
Woody Allen, Charles Bukowski, Charles M. Shulz, Jaques Prévert, Stephen King, Lucio Battisti con Mogol, Jacovitti, e tanti altri.
4. Che cosa occorre per diventare un poeta?
Non so se si possa diventare poeta.
In ogni caso occorre leggere molto, ascoltare molto e avere una necessità che viene dal di dentro, tipo una mano che ti stringe lo stomaco e quando scrivi allenta la stretta, cioè a me stringe lo stomaco ad altri magari stringe qualcos’altro, tipo la gola o le palle.
Detto questo, secondo me poeta non ci si diventa a tavolino.
Come i maghi, d’altronde.
5. A tuo avviso perché siamo più un paese di poeti che non di lettori?
Probabilmente perché abbiamo il record europeo di analfabetismo funzionale.
6. Scuola, librai, media, editori, poeti: di chi è la responsabilità se la poesia si legge così poco?
Da bambino, alle elementari, usavano farmi imparare le poesie a memoria e io odiavo questo tipo di esercizio perché allora come oggi ho gravi problemi di memorizzazione. Ho impiegato parecchio a riconciliarmi con la poesia che ritenevo uno strumento di tortura medievale.
Per il resto la questione della poesia che non viene letta ha a che fare con il concetto di profezia che si auto-adempie. A forza di dirlo accade. Una sorta di auto-sfiga. C’è gente che ci campa da anni, anche se non ha senso.
7. Cosa occorrerebbe fare per appassionare alla poesia?
Portarla in giro, farla uscire, con tutti i mezzi possibili. Far capire alle persone che la poesia è come la musica, la canzone ed altre forme d’arte. Non ti mangia, non è pericolosa, può essere tutt’altro che noiosa e incomprensibile. Un libro di poesie può essere un compagno di viaggio meraviglioso. Le poesie possono essere usate, condivise. Con la poesia si limona un sacco.
8. Gli Instapoets aumentano le possibilità di avvicinare nuovi lettori agli scaffali di poesia?
Perché no? Se sei un giovane curioso può succedere. Io non sono tecnicamente un Instapoet ma scrivo roba che tende alla semplicità, cose piuttosto dirette, forse pop. Mi è capitato spesso che giovani o giovanissimi mi scrivessero dicendo: “io non leggo poesia, mai letta poesia ma dopo aver letto le tue adesso ho iniziato a leggerne”. Bella notizia.
9. In futuro si leggerà più o meno poesia?
Non lo so, spero di sì.
10. Per chiudere l’intervista, ci regali qualche tuo verso amato?
“Se ti tagliassero a pezzetti
il vento li raccoglierebbe
il regno dei ragni cucirebbe la pelle
e la luna tesserebbe i capelli e il viso
e il polline di Dio
di Dio il sorriso”.
Intervista a cura di Andrea Cati
Foto di Monia Pavoni