Il bosco sente, di notte, il tuo fruscio, mia cara,
stormisci nella sua chioma e scorri giú dai suoi rami
con l’umido della rugiada, la tua mano silenziosa
fruga i nidi assonnati, tiepidi come il tuo grembo.
Sei tutta brividi, quando tu intoni ai fiumi
i miei versi, hai paura e un pudore ti arrosa
le spalle esili e i seni accosto ai quali aspetto
che tu me li porga alle labbra, umide di parole.
Tu non sai, non sai forse, ciò che è stato pronunciato,
tu non sai quante volte ho sospirato il tuo nome,
non sai che ti possiedo come il bosco, come l’ombra,
che si allarga ed a te non presente mi avvicina.
Ah mi sveglierò, riapriranno gli occhi i miei sogni,
con nuova gloria risorgerò dalla rovina.
La cosa chiamata poesia (Einaudi, 1969) trad. it. G. Giudici e V. Mikeš
Jiri Orten parla al bosco, alla poesia certamente, al nutrimento che da quel petto trae beneficio . E dice “lei”, forse una donna, forse tutte ,forse la parola gloriosa che gli nasce per “risollevarlo”, dice, dalla rovina. Grazie per avermelo fatto conoscere F.T.