Giorgia Vezzoli

La mia religione

La mia religione non crede, ricerca.

La mia religione non compie riti,
ma vive ogni manifestazione d’amore
come una celebrazione dell’esistere.

La mia religione non ha dogmi,
perché si mette in discussione.

La mia religione non cerca di imporsi,
di convincere, di persuadere.

La mia religione non pretende di essere migliore
ma ama tutte le forme di diversità.

La mia religione non ha gerarchie,
perché considera tutte le persone di pari importanza.

La mia religione non offre guide né maestri,
ma dà valore agli esempi.

La mia religione non ha potere.

La mia religione non ha un nome
perché, se l’avesse, qualcuno potrebbe volerla seguire.
E non sarebbe più libera.

La mia religione non insegna
se non a vivere nella sua assenza.

Poetry Attack (Interno Libri Edizioni, 2022)

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Eugenio Montale


La tempesta di primavera ha sconvolto
l’ombrello del salice,
al turbine d’aprile
s’è impigliato nell’orto il vello d’oro
che nasconde i miei morti,
i miei cani fidati, le mie vecchie
serve – quanti da allora
(quando il salice era biondo e io ne stroncavo
le anella con la fionda) son calati,
vivi, nel trabocchetto. La tempesta
certo li riunirà sotto quel tetto
di prima, ma lontano, più lontano
di questa terra folgorata dove
bollono calce e sangue nell’impronta
del piede umano. Fuma il ramaiolo
in cucina, un suo tondo di riflessi
accentra i volti ossuti, i musi aguzzi
e li protegge in fondo la magnolia
se un soffio ve la getta. La tempesta
primaverile scuote d’un latrato
di fedeltà la mia arca, o perduti.

Tutte le poesie (Mondadori, 2018)

Sergej Georgievič Stratanovskij


Dio è nelle cose di ogni giorno:
nei magazzini d’ortofrutta, nelle fabbriche
nel caos degli incontri calcistici
nel boccale di birra di un chiosco
nella noia, nelle lacrime scorate
nelle lettere di un’offesa amorosa
nei recessi delle querce bibliche
nel tremito della carne esangue di paura
l’umile colcosiano osserva
la Sua tenda di tessuto fine
nello studio ha impastato i Suoi colori
un pittore dalla vista acuta
chi è Costui? Un Padre dai tanti volti
dentro occhiute cattedrali
o un bambino che gioca
con una nuova stella del mattino?

 

Buio Diurno (Einaudi, 2009), a cura di A. Niero

Andreas Okopenko


Primo sole

Ecco, ora puoi chiudere un po’ gli occhi;
no, non così forte, solo un po’, tanto che le palpebre
fredde si posino sugli occhi.

Continuerai a vedere nel cielo un simile azzurro.
Quasi capirai dove di colpe se ne sia andata la neve.
Certo, ancora non puoi metterti sotto i tre pioppi lì allineati.
Comunque la cornacchia non c’è più. Oggi
ho sentito pigolare un vero uccello di buon mattino.

Non stai fuori ancora molto, per il momento.
Ma forse domani già potrai tenere un po’ più a lungo gli occhi chiusi.
Ora il sole crescerà di giorno in giorno.
E se tutto va bene presto è primavera.

Rivista “Poesia” (n. 303, aprile 2015), traduzione di Gio Batta Bucciol

Giovanna Zoboli

Ph. Barbara Rigon

Cammina cammina, questi bambini
passo dopo passo parola dopo
parola percorsi tutti i sentieri
esperite tutte le gole del mostro
questi bambini, cammina
cammina, ora dopo ora
storia dopo storia
segreto dopo segreto smarrita
finalmente la strada
scesa la notte e risorte tutte
le ombre degli orchi – questi bambini
dormono tranquilli
nel fondo buio della fiaba – la lucente
cavità del sogno – soli fra le braccia
del mistero – persi i genitori nel bosco
senza lieto fine di sassolini
senza briciole.

I bambini (Interno Poesia Editore, 2022)

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Francesca Matteoni


Vinco il tempo nel mio spazio.
Lo creo solido e verticale.
Un telo di lamiera di traverso
al cielo.
Polvere dove era il sangue
polvere a compattare il male.
Chiudo una ciocca nel pugno –
nessun liquido, nessun sudore.
Io dico parole.
Purezza, perfezione.
Io ti dico chiudi l’orecchio
a ogni altro suono
chiudi il tuo corpo
nella mia mano.
Chiudi le cosce, le braccia
lascia salire alle tempie le spire
del mio volere.

Crescere è sempre tradire.

Ciò che il mondo separa (Marcos y Marcos, 2021)

Rupi Kaur


chissà se sono
abbastanza bella per te
o se sono bella e basta
cambio ciò che indosso
cinque volte prima di vederti
domandandomi quali jeans rendano
il mio corpo più allettante da spogliare
dimmi
c’è qualcosa che io possa fare
per farti pensare
lei
lei è tanto straordinaria
da far dimenticare al mio corpo di avere ginocchia

scrivilo in una lettera e indirizzala
alle parti di me più insicure
la tua sola voce mi porta alle lacrime
il tuo dirmi che sono bella
il tuo dirmi che basto

 

The sun and her flowers. Il sole e i suoi fiori (Tre60, 2018), trad. it. A. Storti

Bruce Hunter

BELLO AND THE RED UMBRELLA

At the Galleria dell’Accademia in Firenze,
a solitary old man with rheumy eyes
tilts toward Michelangelo’s David,
who the guide with his red umbrella tells,
is always viewed from below
and at a distance. The stretched marble limbs,
rippled sinew, tragically beautiful muscles.
Eyes the colour of storms
but each faces a different direction.
And at 17 feet, David is a Goliath.

To a bench I go, marvelling the old man
watching David. My legs tire easily now.
No longer immune to gravity.
Our bodies spool around our hips.
Some think bellezza or beauty left us long ago.
Perhaps, but not the need for allure or desire.

David, his V-ed torso, for five centuries now,
ascending always into the light above us.
His arm repaired, broken once by something
tossed from a balcony, the guide said.
Looks good for his age, someone quips
The crowd snickers. For we are at an age –

we follow red umbrellas through crowds.
We too have been mended, once or twice.
And know there is bellezza too,
in the old man’s gratitude, and ours.
I’m taken by him more than David, I’m afraid.
We may be old but not our desire or humility.

Such beauty in our awestruck little crowd,
and all that all we imagine
at David’s delicate marble feet.
Giovane bellezza in un corpo antico
– young beauty in an ancient body.

BELLO E L’OMBRELLO ROSSO

Alla Galleria dell’Accademia di Firenze,
un vecchio solitario con gli occhi arrossati
si piega verso il David di Michelangelo,
che, racconta la guida con l’ombrello rosso,
si vede sempre dal basso
e a distanza. Le membra di marmo tese,
tendini increspati, muscoli tragicamente belli.
Occhi del colore delle tempeste
ma ognuno rivolto in una direzione diversa.
E da cinque metri, David è un Golia.

Siedo su una panchina, meravigliato dal vecchio
che osserva il David. Le mie gambe si stancano facilmente ora.
Non più immune alla gravità.
I nostri corpi avvolti intorno ai fianchi.
Alcuni pensano che la bellezza o beauty
ci abbia lasciato molto tempo fa.
Può essere, ma non il bisogno di fascino o desiderio.

David, il suo busto a V, ormai da cinque secoli,
ascende sempre nella luce sopra a noi.
Il suo braccio riparato, rotto una volta da qualcosa
lanciato da un balcone, disse la guida.
Sembra in gamba per la sua età, scherza qualcuno
La folla ridacchia. Perché abbiamo un’età –

seguiamo ombrelli rossi tra la folla.
Anche noi siamo stati riparati, un paio di volte.
E sappiamo che c’è anche la bellezza,
nella gratitudine del vecchio, e nella nostra.
Sono preso più da lui che dal David, temo.
Possiamo essere vecchi ma non il nostro desiderio o umiltà.

Tale bellezza nel nostro gruppetto sbalordito,
e tutto ciò che immaginiamo
ai delicati piedi di marmo di David.
Young beauty in an ancient body
– giovane bellezza in un corpo antico.

Traduzione dell’autore con la collaborazione di Sandro Pecchiari

Graziano Graziani


Er critico

Er critico è un mestiere un po’ fetente:
l’artista è lì che suda e che se sbatte
e quello sbuffa, scrive, controbbatte,
e poi a la fine nu’ je piace gnente.

Er critico nun è come la gente
che ar teatro ce va pe’ ride o piagne:
lui cerca “er senzo”, poi caccia le lagne
che l’arte nun è più “controcorente”.

Ma poi che va cercanno? Li fantasmi?
Quello che nun se vede e nun se sente?
Un po’ come li matti co’ li spasmi…

Io critico so’ stato – e pe’ passione! –
ma ancora mó ce sta chi s’arisente
e giura che ero solo un rosicone.

Er Corvaccio e li morti (Interno Poesia Editore, 2022)

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Vanja Strle


 

Basta che tu esista

Tu che esistendo mi rendi felice,
va’ dove ti pare,
il mio amore ti seguirà.
Non temerlo,
non ti soffocherà,
non pretenderà nulla da te
e niente si aspetterà,
basta che tu esista,
basta che tu esista
e non strapparmi il cuore,
lascialo
fiorire nella sua realtà
e lascialo
vivere per i suoi amori.

Quale fuoco (Mobydick, 2009), trad. it. J. Milič