Jaime Saenz


Quando penso al mistero della notte, immagino
il mistero del tuo corpo,
che è solo un modo di essere la notte;
io so davvero che il corpo che ti abita non è altro
che l’oscurità del tuo corpo;
e questa oscurità si diffonde sotto il segno della notte.
Nelle infinite concavità del tuo corpo, esistono
infiniti regni d’oscurità;
ed è qualcosa che chiama alla meditazione.
Questo corpo, chiuso, segreto e proibito;
questo corpo straniero e temibile,
e mai presagito né presentito.
Ed è come un bagliore, o come un’ombra:
solo si lascia sentire da lontano, nel recondito,
e con una solitudine eccessiva, che non ti appartiene.
E solo si lascia sentire con un palpito, con una temperatura,
e con un dolore che non ti appartiene.

Se qualcosa mi sorprende, è l’immagine che mi immagina,
nella distanza;
si sente un respiro dentro di me.
Il corpo respira dentro di me.
L’oscurità mi preoccupa – la notte del corpo mi preoccupa.
Il corpo della notte e la morte del corpo,
sono cose che mi preoccupano.

Percorrere questa distanza (Crocetti Editore, 2000), trad. it. G. Pizzo

Günter Grass


Nell’uovo

Viviamo nell’uovo.
La parete interna del guscio
abbiamo già scarabocchiato con osceni
disegni e il nome dei nostri nemici.
Veniamo covati.

Chiunque ci covi
sta covando pure la nostra matita.
Quando usciremo un giorno
faremo subito un ritratto
di chi cova.

Supponiamo, noi, di essere covati.
Ci immaginiamo un bravo pennuto
e scriviamo temi scolastici
su colore e razza
della nostra gallina covante.

Quando usciremo fuori?
I nostri profeti nell’uovo
litigano per una cifra mediocre
sulla durata della cova.
Presumo un giorno X.

Per noia e reale bisogno
abbiamo inventato incubatrici
in apprensione per la nostra progenie nell’uovo.
Volentieri a colei che ci protegge
affideremo il nostro brevetto.

Ma noi abbiamo un tetto sulla testa.
I pulcini senili
embrioni con conoscenze linguistiche
parlano tutto il giorno
e discutono pure dei loro sogni.

E se non fossimo covati?
Se questo guscio non venisse mai forato?
Se il nostro orizzonte fosse l’orizzonte
dei nostri scarabocchi, ore e sempre?
Speriamo di essere covati.

E se anche parliamo della cova
Pure resta da temere qualcuno
fuori del nostro guscio abbia fame
ci schiaffi in padella con un po’ di sale –
fratelli nell’uovo, cosa faremo allora?

Rivista “Poesia”, traduzione di Paolo Scotini n.107, giugno 1997

Francesco Dalessandro

Ph. Dino Ignani

Spergiuro

Perché giurare
e poi non tener fede
al giuramento?
Perché fare promesse
e tradirle in segreto?
Basta poco a
comprarti basta qualche
regaluccio e sei pronta
a spergiurare. «Non contaminare
la bellezza con l’oro!». Quante volte
te l’ho detto abbracciandoti?
Tu giuravi: «Per niente
al mondo venderei
la fedeltà né per denaro
né per gemme neppure
se l’agro Falerno o l’intera
Campania fertilissima
mi fosse offerta in dono».
Io ti credevo.

Che cosa non avrei
creduto? che le stelle
non brillano? che il fulmine
non ha fuoco? Anche questo.
E cosa non ho fatto
finché ho creduto che
potessi amarmi!
Quando accesa d’un nuovo
amore soffrendo mi pregavi
d’aiutarti non l’ho fatto?
Perché nessuno
vi udisse in piena notte
quante volte ho vegliato
i vostri amori? E quante
volte quando più non speravi
di vederlo per merito mio
t’ha raggiunta? Credevo
che per questo di più
potessi amarmi come
giuravi ma era inganno
il giuramento. E piangevi
perfino! E ti cantavo
con versi ardenti. Ardesse
Vulcano stesso quei versi
che non meriti. Vattene!
Se puoi vendere ogni
parola ogni tuo gesto
per profitto, se puoi
fare ad altri le stesse
carezze dare ad altri
gli stessi baci, se
puoi piangere per altri
nell’amore, non voglio
non posso amarti
più.

Dediche e imitazioni (Interno Libri Edizioni, 2021)

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Luigia Sorrentino


la notte si era accasciata

la giovinezza
l’avevamo trascorsa
nel peso della sua immortale rovina

noi che non eravamo mai stati
del tutto vivi all’amore
c’eravamo concessi al freddo
stretto nelle narici, nelle vene
avevamo perduto tutte le parole

la forza di una generazione

 

Piazzale senza nome (Collana Gialla Oro Pordenonelegge-Samuele Editore, 2021)

Ph. Alessandro Di Caro (Luigia Sorrentino, Urbino 1984)

Maria Ragonese


El aroma crece durante la noche

en verano me despierto para cumplir
con mis rituales, sentada
en el borde de la pileta
sumerjo los pies y pruebo la temperatura,
verde en los ojos
reflejos en el agua deben ser
dios.

Elijo flores tiernas y aromadas, me las como
tienen un vestigio
algo oscuro.

No pregunto.

Cómo podría dañarme algo que huele
tan dulce,
tan dulce que hasta el aire se perfora.

*

L’aroma cresceva durante la notte

in estate mi sveglio per adempiere
ai miei rituali, seduta
al bordo della piscina
sommergo i piedi e verifico la temperatura
verde negli occhi
i riflessi nell’acqua devono essere
dio.

Scelgo fiori teneri e aromatici, me li mangio
hanno un vestigio
qualcosa di oscuro.

Non chiedo.

Come potrebbe farmi male qualcosa con un profumo
così dolce
così dolce che persino l’aria si perfora.

Brilla, sombra (Índigo Editoras, 2021), traduzione di Roberta Colucci Carluccio.

Octavio Paz

Octavio-Paz-piedra-de-sol
Due corpi, uno di fronte all’altro,
sono a volte due onde
e la notte è oceano.

Due corpi, uno di fronte all’altro,
sono a volte due pietre
e la notte deserto.

Due corpi, uno di fronte all’altro,
sono a volte radici
nella notte intrecciate.

Due corpi, uno di fronte all’altro,
sono a volte coltelli
e la notte lampo.

Due corpi, uno di fronte all’altro,
sono due astri che cadono
in un cielo vuoto.

 

Libertà sulla parola (Guanda, 1965), a cura di G. Bellini

Roberta Dapunt


Tu mia stanza,
paziente angolo di questa casa.
Mia cattiva abitudine, mio vizio capitale.
Tu mia triste passione, mia poesia.
Tu mio orto misericordioso,
mio terreno fertile, mia arsura.

Tu grande orecchio che ascolti
il mio eco mille volte uguale.
Tu mio confessionale, mia direzione.

Tu mio tabernacolo,
custode della mia anima.
Tu mia cappella, che in te conservo
le immagini dei santi e dei miseri dannati.
Tu mio venerdì santo, mia Pasqua.

Tu mio rifugio, mia arca
quando tra le mani diluviano gli inchiostri.
Tu mia stanza, mio spazio fisso,
mio enorme foglio bianco.

Tu mia certezza, mio feretro,
mio funerale.
In te rientra in silenzio
il mio rito quotidiano,
la mia tempesta, il mio silenzio.

La terra più del paradiso (Einaudi, 2008)

Rachel Bluwstein

בִּבְדִידוּתִי‭ ‬הַגְּדוֹלָה

בִּבְדִידוּתִי‭ ‬הַגְּדוֹלָה‭, ‬בְּדִידוּת‭ ‬חַיָה‭ ‬פְּצוּעָה
שָׁעוֹת‭ ‬עַל‭ ‬שָׁעוֹת‭ ‬אֶשְׁכַּב‭. ‬אַחֲרִישׁ‭.‬
הַגּוֹרָל‭ ‬בָּצַר‭ ‬בְּכַרְמִי‭ ‬אַף‭ ‬עוֹלֵלוֹת‭ ‬לֹא‭ ‬הוֹתִיר‭.‬
אַךְ‭ ‬הַלֵּב‭ ‬הַנִּכְנָע‭ ‬סָלַח‭.‬
אִם‭ ‬הַיָּמִים‭ ‬הָאֵלֶּה‭ ‬אַחֲרוֹנֵי‭ ‬יָמַי‭ ‬הֵם‭ ‬‮–‬
אֱהִי‭-‬נָא‭ ‬שְׁקֵטָה‭,‬
לְבַל‭ ‬יַדְלִיחַ‭ ‬מִרְיִי‭ ‬אֶת‭ ‬כָּחֳלוֹ‭ ‬הַשָּׁקֵט
שֶׁל‭ ‬שַׁחַק‭ ‬‮–‬‭ ‬רֵעִי‭ ‬מֵאָז‭.‬

*

 

Nella mia grande solitudine

Nella mia grande solitudine, una solitudine di animale ferito
ora dopo ora io giaccio. In silenzio.
La mia vigna l’ha spogliata il destino e non un solo rampollo è rimasto.
Ma il cuore, ormai vinto, ha perdonato.
Se davvero sono questi i miei ultimi giorni
voglio esser calma,
perché l’amarezza non intorbidi il quieto blu
del cielo, mio compagno di sempre.

 

Poesie (Interno Poesia Editore, 2021), a cura di Sara Ferrari

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Bertolt Brecht


Molti pensano che noi ci diamo da fare
nelle faccende più peregrine,
ci affatichiamo in strane imprese
per saggiare le nostre forze o per darne la prova.
Ma in realtà è più nel vero chi ci pensa
intenti semplicemente all’inevitabile:
scegliere la strada più dritta possibile, vincere
gli ostacoli del giorno, evitare i pensieri
che hanno avuto esiti cattivi, e scoprire
quelli propizi, in breve:
aprire la strada alla goccia del fiume che si apre
la strada in mezzo alla pietraia.

Poesie (Einaudi, 2014), a cura di Guido Davico Bonino

Louise Glück

Louise-Gluck

Legge non scritta

Interessante come ci innamoriamo:
nel mio caso, in modo assoluto.
In modo assoluto e, ahimè, spesso –
così era nella mia gioventù.
E sempre con uomini piuttosto giovanili –
immaturi, imbronciati, o che prendono timidamente a calci foglie morte:
alla maniera di Balanchine.
Né li vedevo come ripetizioni della stessa cosa.
Io, con il mio inflessibile platonismo,
il mio fiero vedere solo una cosa alla volta:
ho decretato contro l’articolo indefinito.
Eppure, gli errori della mia gioventù
mi rendevano senza speranza, perché si ripetevano
come è di solito vero.
Ma in te sentii qualcosa oltre l’archetipo –
una vera espansività, un’esuberanza e amore della terra
profondamente estranei alla mia natura. A mio merito,
benedissi la mia buona fortuna per te.
La benedissi in modo assoluto, alla maniera di quegli anni.
E tu nella tua saggezza e crudeltà
mi hai gradualmente insegnato l’assenza di senso di quel termine.

 

da Nuovi poeti americani (Einaudi, 2006), trad. it. E. Biagini