In morte di un amico di Facebook
per Ohannès (Giovanni) Choukhadarian
Amava la poesia di Ripellino,
che giudicava splendida e geniale.
È tutto ciò che so di una vita.
La primavera è comparsa di colpo
e d’erba alta ha già inondato i giardini.
Passo fra false spighe e ombrelli di fiori.
Lo splendido mistero verde si rinnova,
la diffusa follia resta incurabile,
e ne fiorisce a suo modo il notiziario,
mentre al portatile apprendo che è partito
per altra destinazione questo amico
soltanto virtuale.
Mi rendo conto che ora ne sto male,
però di lui (stranezze della vita
nell’era dei mass media)
non so davvero niente. E nemmeno
alla casella delle «Informazioni»
ho posto mai una se non vaga attenzione.
Ci siamo sempre scritti, solamente,
brevi commenti su post letterari.
Di lui sbiadisce e va via una vaga idea
fantasticata su una fotografia,
sul suo cognome armeno:
il volto povero e scavato di un Cristo
di un’icona orientale,
ma senza barba, attonito, smarrito
– anche quando gioviale
(scorrendo il wall) da un letto d’ospedale –
lo sguardo:
un po’ come L’uccello sbalordito di
Jiří Kolář sulla sovracopertina
di un certo ballatesco, astrale libro
del tardo nostro amato Ripellino.
Filo spinato (Einaudi, 2021)