Lettera da un lettore
Troppo sulla morte,
sulle ombre.
Scrivi della vita,
di una giornata normale,
del desiderio di armonia.
Il campanello della scuola
può essere un modello
di moderazione,
persino di erudizione.
Troppo sulla morte,
un eccesso
di nero incanto.
Guarda,
popoli ammassati
in stadi stretti
cantano inni d’odio.
C’è troppa musica,
troppo poca concordia, pace,
saggezza.
Scrivi degli attimi in cui le passerelle dell’amicizia
paiono più durature
della disperazione.
Scrivi dell’amore,
delle lunghe serate,
delle albe,
degli alberi,
dell’infinita pazienza
della luce.
Dalla vita degli oggetti (Adelphi, 2002), a cura di Krystyna Jaworska
Un appello, questo di Zagajewski, a inanellare il canto alla vita, il canto della vita, tra istanze di pacificato equilibrio con il contesto di appartenenza, e pulsioni a gridare forte, a convincere con fermezza, o ancora a persuadere con la bonomia e la saggezza che tanto manca agli stolti sguaiati, a quanti millantano credito con formule, di pseudo-vita e di pseudo-arte, ad effetto. Non la morte, non la negazione, non il prevalere dell’odio potranno raccontare dell’uomo. Questa lirica sembra innalzare la pazienza asimbolo iconico, la semplicità di un suono quotidiano, apparentemente banale, a modello di vita e di arte, di infinitesimale ed estesissima erudizione. Un canto contrapposto è questo, alternativo nella certezza del contrario rispetto all’astruso, all’omicida, alla perturbazione disordinata e intollerante della quale l’uomo si ammanta per cercare un’aura di mistero. La pazienza della luce che si posa sempre e dovunque come viatico etico e comportamentale, quasi venato di saggezza zen. Quanti uomini potranno avere la placida umiltà di riconoscersi in queste parole? Parole potenti e rivoluzionarie nella loro serena, umana, speranzosa levità.