Sergio Corazzini


La morte di Tantalo

Noi sedemmo sull’orlo
della fontana nella vigna d’oro.
Sedemmo lacrimosi in silenzio.
Le palpebre della mia dolce amica
si gonfiavano dietro le lagrime
come due vele
dietro una leggera brezza marina.

Il nostro dolore non era dolore d’amore
né dolore di nostalgia
né dolore carnale.
Noi morivamo tutti i giorni
cercando una causa divina
il mio dolce bene ed io.

Ma quel giorno già vanìa
e la causa della nostra morte
non era stata rinvenuta.

E calò la sera su la vigna d’oro
e tanto essa era oscura
che alle nostre anime apparve
una nevicata di stelle.

Assaporammo tutta la notte
i meravigliosi grappoli.
Bevemmo l’acqua d’oro,
e l’alba ci trovò seduti
sull’orlo della fontana
nella vigna non più d’oro.

O dolce mio amore,
confessa al viandante
che non abbiamo saputo morire
negandoci il frutto saporoso
e l’acqua d’oro, come la luna.

E aggiungi che non morremo più
e che andremo per la vita
errando per sempre.

Io non sono un poeta (Interno Poesia Editore, 2021), a cura di Alessandro Melia

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Ylenia Papa


Makarismos

Beato il cuscino,
che di notte ti respira l’odore
per rendermelo in tua assenza.
Beati il bicchiere, il cucchiaio e la forchetta
sui quali hai lasciato i tuoi baci.
Beato il divano che ti tenne tra le braccia,
compagno nelle sere meno audaci.
Ma che sia maledetto il telefono
che tiri fuori dalla tasca:
guardando nel suo sguardo
dimentichi il mio viso.

Inedito

Lawrence Ferlinghetti

Per i poeti, con amore

Manifesto populista

Poeti, uscite dai vostri studi,
aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte
siete stati ritirati troppo a lungo
nei vostri mondi chiusi.
Scendete, scendete
dalle vostre Russian Hills e dalle vostre Telegraph Hills,
dalle vostre Beacon Hills e dalle vostre Chapel Hills,
dalle vostre Brooklyn Heights e dai Montparnasse,
giù dalle vostre basse colline e dalle montagne,
fuori dalle vostre tende e dai vostri palazzi.
Gli alberi stanno ancora cadendo
e non andremo più nei boschi.
Non è il momento ora di sedersi tra loro
quando l’uomo incendia la propria casa
per arrostire il maiale.
Non si canta più Hare Krishna mentre Roma brucia.
San Francisco sta bruciando
La Mosca di Majakowskij sta bruciando
i combustibili fossili della vita.
La notte & il cavallo si avvicinano
mangiando luce, calore & potere
e le nuvole hanno i calzoni.
Non è il momento ora di nascondersi per l’artista
sopra, oltre, dietro le scene,
indifferente, tagliandosi le unghie,
purificandosi fuori dall’esistenza.
Non è il momento ora per i nostri piccoli giochi letterari
non è il momento ora per le nostre paranoie & ipocondrie,
non è il momento ora per la paura & il disgusto,
è il momento solo per la luce & l’amore.
Abbiamo visto le migliori menti della nostra generazione
distrutte dalla noia ai reading di poesia.
La poesia non è una società segreta,
né un tempio.
Le parole & i canti segreti non servono più.
L’ora di emettere l’OM è passata,
viene l’ora di cantare un lamento funebre,
un momento per cantare un lamento funebre & per gioire
sulla fine in arrivo
della civiltà industriale
che è nociva per la terra & per l’Uomo.
Il momento ora di esporsi
nella completa posizione del loto
con gli occhi bene aperti,
il momento ora di aprire le nostre bocche
in un nuovo discorso aperto,
il momento ora di comunicare con tutti gli esseri coscienti,
tutti voi, “Poeti delle Città”
appesi nei musei, includendo me stesso,
tutti voi poeti del poeta che scrive la poesia
sulla poesia
tutti voi poeti di poesia da workshop
nel cuore giungla d’America
tutti voi addomesticati Ezra Pound,

tutti voi poeti pazzi, sballati, da college
tutti voi poeti della Poesia Concrete pre-compressa,
tutti voi poeti cunnilingio,
tutti voi poeti da gabinetto a pagamento che vi lamentate con graffiti,
tutti voi ritmatori da metropolitana che non ritornate mai sulle betulle,
tutti voi padroni della segherie haiku

nelle Siberie d’America,
tutti voi non realisti senza occhi,
tutti voi supersurrealisti autonascosti,
tutti voi visionari da camera da letto,
ed agitprop da gabinetto,
tutti voi poeti alla Groucho Marxista

e Compagni di ozio di classe
che restano inattivi tutto il giorno
e che parlano del lavoro di classe del proletariato,
tutti voi anarchici Cattolici della poesia,
tutti voi Neri Montanari della poesia,
tutti voi Bramini di Boston e bucolici di Bolinas,
tutti voi baby-sitters della poesia,
tutti voi fratelli zen della poesia,
tutti voi amanti suicidi della poesia,
tutti voi capelluti professori della poesia,
tutti voi critici di poesia
che bevete il sangue dei poeti,
tutti voi Poliziotti della Poesia –
Dove sono i figli di Whitman,
dov’è la grande voce che parla ad alta voce
con un senso di dolcezza & di sublimità,
dov’è la nuova grande visione,
la grande visione del mondo,
l’alta canzone profetica
dell’immensa terra
e tutto ciò che canta in essa
e il nostro rapporto con essa –
Poeti, scendete
nelle strade del mondo ancora una volta
e aprite le menti & gli occhi
con la vecchia delizia visuale,
schiarite la gola e parlate più forte,
la poesia è morta, lunga vita alla poesia
con occhi terribili e forza di bufalo.
Non aspettate la rivoluzione
o succederà senza di voi.
Smettete di mormorare e parlate ad alta voce
con una nuova poesia completamente aperta
con una nuova comune-sensuale “comprensione-pubblica”
con altri livelli soggettivi
con altri livelli sovversivi,
un diapason nell’orecchio interno
per colpire sotto la superficie.
Del vostro dolce Io che ancora cantate
ancora esprimete “la parola en-masse” –
Poesia il veicolo comune
per il trasporto pubblico
verso luoghi più alti
di altre ruote che possono portarla.
Poesia che ancora cade dai cieli
dentro le nostre strade ancora aperte.
Loro non hanno ancora alzato barricate,
le strade animate ancora con visi,
uomini & donne attraenti camminano ancora qui,
dovunque ancora attraenti creature,
negli occhi di tutti il segreto di tutti
qui ancora sepolto,
i selvaggi figli di Whitman qui ancora dormono,
si svegliano e camminano nell’aria aperta.

Giugno 1975

Rivista “Poesia” (Num. 200, Crocetti Editore), traduzione di Romano Giachetti e Bruno Marcer

*

 

Populist Manifesto

For Poets, with Love

Poets, come out of your closets,
open your windows, open your doors,
you have been holed-up too long
in your closed worlds.
Come down, come down
from your Russian Hills and Telegraph Hills,
your Beacon Hills and your Chapel Hills,
your Mount Analogues and Montparnasses,
down from your foothills and mountains,
out of your teepees and domes.
The trees are still falling
and we’ll to the woods no more.
No time now for sitting in them
as man burns down his own house
to roast his pig
No more chanting Hare Krishna
while Rome burns.
San Francisco’s burning,
Mayakovsky’s Moscow’s burning
the fossil-fuels of life.
Night & the Horse approaches
eating light, heat & power,
and the clouds have trousers.
No time now for the artist to hide
above, beyond, behind the scenes,
indifferent, paring his fingernails,
refining himself out of existence.
No time now for our little literary games,
no time now for our paranoias & hypochondrias,
no time now for fear & loathing,
time now only for light & love.
We have seen the best minds of our generation
destroyed by boredom at poetry readings.
Poetry isn’t a secret society,
It isn’t a temple either.
Secret words & chants won’t do any longer.
The hour of oming is over,
the time of keening come,
a time for keening & rejoicing
over the coming end
of industrial civilization
which is bad for earth & Man.
Time now to face outward
in the full lotus position
with eyes wide open,
Time now to open your mouths
with a new open speech,
time now to communicate with all sentient beings,
all you “Poets of the Cities”
hung in museums including myself,
all you poet’s poets writing poetry
about poetry,
all you poetry workshop poets
in the boondock heart of America,
all you housebroken Ezra Pounds,
all you far-out freaked-out cut-up poets,
all you pre-stressed Concrete poets,
all you cunnilingual poets,
all you pay-toilet poets groaning with graffiti,
all you A-train swingers who never swing on birches,
all you masters of the sawmill haiku in the Siberias of America,
all you eyeless unrealists,
all you self-occulting supersurrealists,
all you bedroom visionaries and closet agitpropagators,
all you Groucho Marxist poets
and leisure-class Comrades
who lie around all day and talk about the workingclass proletariat,
qll you Catholic anarchists of poetry,
qll you Black Mountaineers of poetry,
all you Boston Brahims and Bolinas bucolics,
all you den mothers of poetry,
all you zen brothers of poetry,
all you suicide lovers of poetry,
all you hairy professors of poesie,
all you poetry reviewers
drinking the blood of the poet,
all you Poetry Police –
where are Whitman’s wild children,
where the great voices speaking out
with a sense of sweetness and sublimity,
where the great’new vision,
the great world-view,
the high prophetic song
of the immense earth
and all that sings in it
and our relations to it–
poets, descend
to the street of the world once more
and open your minds & eyes
with the old visual delight,
clear your throat and speak up,
poetry is dead, long live poetry
with terrible eyes and buffalo strength.
Don’t wait for the Revolution
or it’ll happen without you,
stop mumbling and speak out
with a new wide-open poetry
with a new commonsensual “public surface”
with other subjective levels
or other subversive levels,
a tuning fork in the inner ear
to strike below the surface.
Of your own sweet Self still sing
yet utter “the word en-masse” –
Poetry the common carrier
for the transportation of the public
to higher places
than other wheels can carry it.
Poetry still falls from the skies
into our streets still open.
They haven’t put up the barricades, yet,
the streets still alive with faces,
lovely men & women still walking there,
still lovely creatures everywhere,
in the eyes of all the secret of all
still buried there,
Whitman’s wild children still sleeping there,
Awake and walk in the open air.

 

Garium Press, 1975

Czeslaw Milosz

Prefazione

Tu, che non ho potuto salvare,
ascoltami,
cerca di capire questo linguaggio semplice, mi vergognerei di un altro,

non possiedo, lo giuro, la magia della parola,
ti parlo tacendo, come una nuvola a un albero,

ciò che fortificava me, per te era mortale,
hai scambiato il congedo di un’epoca per l’inizio di una nuova,

l’afflato dell’odio per bellezza lirica,
la forza cieca per forma compiuta.

Ecco la valle dei bassi fiumi polacchi. E il ponte enorme
che avanza nella bianca nebbia. Ecco la città infranta
e il vento scaglia contro la tua tomba gli stridi dei gabbiani,
mentre parlo con te.

Cos’è la poesia che non salva
i popoli né le persone?
Una complicità di menzogne ufficiali,
una cantilena di ubriachi, a cui fra un attimo verrà tagliata la gola,
una lettura per signorinette.

Che volevo una buona poesia, senza esserne capace,
che ho capito, tardi, il suo fine salvifico,
questo, e solo questo, è la salvezza.

Spargevano sulle tombe miglio e semi di papavero
per nutrire i morti accorrenti in volo – gli uccelli,
depongo qui questo libro per te, o trascorso,
perché d’ora innanzi tu smetta di apparirci.

 

Poesie (Adelphi, 1983), trad. it. Pietro Marchesani

Paolo Volponi


Dì pure al vento

I sassi bianchi
sono le tue spalle
gli alberi la tua statura;
è la tua gola che batte
se una rosa si muove
non vista nel giardino.

Dì pure al vento
di perdere il tuo canto
nella voce dei fossi,
al rosmarino
di chiudere i sentieri.

L’innocente starna
si leva alta sul bosco
e m’indica il tuo cammino.

 

da Poesie (Eianudi, 2001)

Alfredo Giuliani

alfredo_giuliani2

Resurrezione dopo la pioggia

Fu nella calma resurrezione dopo la pioggia
l’asfalto rifletteva tutte le nostre macchie
un lungo addio volò come un acrobata
dalla piazza al monte
e l’attimo sparì di volto in volto
s’accesero i fanali e si levò la buia torre
contro la nostra debolezza
i secoli non ci hanno disfatti

 

da I Novissimi. Poesie per gli anni Sessanta (Einaudi, 1972)

Foto di Dino Ignani

Lella De Marchi


ti piace restare da sola non curarti del tempo e degli altri
non curarti del buio che scende dentro la stanza.
forse già sai che siamo in tanti per una sola finestra forse
già sai che il letto è un lago che non ha balaustra.
brulicante di atomi. in continuo fermento.
senza arsi senza tesi afferri l’onda sopra un piano ammetti
alla tua bocca la sorpresa il sogno l’illusione concedi
ai tuoi confini il circumnavigarsi.
ti sei cresciuta dentro tutta intera come una preghiera.
forse già sai che sei l’unico angelo che ti consola forse
già sai che non sei solo salva con nome.
la paura del buio si acquista. il tempo chiude dentro
a un cassetto la luce che fa il liquido amniotico.

Ipotesi per una bambina cyborg (Transeuropa, 2020)

Hans Magnus Enzensberger

Un moto d’affetto

Il mio nonno,
un uomo fortunato,
capiva poco della vita.
Ansava per la fame,
portava cappelli chic
e credeva sovente
di aver ragione.
Novantasettenne,
vide, incredulo
e per la prima volta,
l’interno di una clinica.
“Peccato”, borbottò,
“sol che avessi saputo
come sono carine
le giovani infermiere
intorno al letto,
che mani delicate,
mi sarei ammalato
prima, assai prima”,
qui contrasse la bocca,
girò gli occhi
verso il campanello, ed era morto.

 

Più leggeri dell’aria (Einaudi, 2001), trad. it. Anna Maria Carpi

Patricia Smith

Ethel’s Sestina

Ethel Freeman’s body sat for days in her wheelchair outside the New Orleans Convention Center. Her son Herbert, who had assured his mother that help was on the way, was forced to leave her there once she died.

Gon’ be obedient in this here chair,
gon’ bide my time, fanning against this sun.
I ask my boy, and all he says is Wait.
He wipes my brow with steam, says I should sleep.
I trust his every word. Herbert my son.
I believe him when he says help gon’ come.

Been so long since all these suffrin’ folks come
to this place. Now on the ground ’round my chair,
they sweat in my shade, keep asking my son
could that be a bus they see. It’s the sun
foolin’ them, shining much too loud for sleep,
making us hear engines, wheels. Not yet. Wait.

Lawd, some folks prayin’ for rain while they wait,
forgetting what rain can do. When it come,
it smashes living flat, wakes you from sleep,
eats streets, washes you clean out of the chair
you be sittin’ in. Best to praise this sun,
shinin’ its dry shine. Lawd have mercy, son,

is it coming? Such a strong man, my son.
Can’t help but believe when he tells us, Wait.
Wait some more.
Wish some trees would block this sun.
We wait. Ain’t no white men or buses come,
but look—see that there? Get me out this chair,
help me stand on up. No time for sleepin’,

cause look what’s rumbling this way. If you sleep
you gon’ miss it. Look there, I tell my son.
He don’t hear. I’m ’bout to get out this chair,
but the ghost in my legs tells me to wait,
wait for the salvation that’s sho to come.
I see my savior’s face ’longside that sun.

Nobody sees me running toward the sun.
Lawd, they think I done gone and fell asleep.
They don’t hear Come.

Come.
Come.
Come.
Come.
Come.
Come.
Ain’t but one power make me leave my son.
I can’t wait, Herbert. Lawd knows I can’t wait.
Don’t cry, boy, I ain’t in that chair no more.

Wish you coulda come on this journey, son,
seen that ol’ sweet sun lift me out of sleep.
Didn’t have to wait. And see my golden chair?

Blood Dazzler. Copyright © 2008 Patricia Smith.

 

*

La sestina di Ethel

Il corpo di Ethel Freeman è rimasto seduto per giorni sulla sua sedia a rotelle fuori dal New Orleans Convention Center dopo l’uragano Katrina. Suo figlio Herbert, che aveva rassicurato la madre sull’arrivo degli aiuti, è stato costretto a lasciarla lì anche da morta.

 

Farò la brava, qui su questa sedia,
per il tempo che ci vuole, mi sventolo sotto il sole.
Chiedo a mio figlio, e lui mi dice solo aspetta.
Mi asciuga la fronte. È meglio, dice, se prendo sonno.
Mi fido di ogni sua parola. A Herbert, mio figlio
io credo se mi dice che l’aiuto è lì che viene.

Da tempo tutta ’sta gente che soffre viene
in questo posto. Ora nel terreno accanto alla mia sedia,
sudano alla mia ombra, non fanno che dire a mio figlio
non è forse un autobus quello? È il sole
che li inganna, splende troppo forte per il sonno,
e ci fa udire motori, ruote. Non ancora. Aspetta.

Gesù, c’è gente che implora la pioggia mentre aspetta,
scordando quel che la pioggia può fare. Quando viene,
rade al suolo la vita, ti sveglia dal sonno,
si mangia le strade, ti spazza dalla sedia
in cui sei stata. Meglio onorarlo, questo sole,
che splende e asciuga. Per amor del cielo, figlio,

stanno arrivando? Che uomo forte, mio figlio.
Posso solo credergli quando mi dice, Aspetta.
Solo un altro po’. Almeno ci fosse un albero che blocca il sole.
E noi si aspetta. Nessun bianco o nessun bus che viene,
guarda, però — lo vedi? Tirami via da questa sedia,
aiutami ad alzarmi. Non è tempo per il sonno,

perché, guarda cosa romba da ’sta parte. Nel sonno
te la perdi. Guarda là, dico a mio figlio,
ma non mi sente. Manca poco casco dalla sedia,
ma il fantasma nelle gambe mi dice: aspetta,
aspetta la salvezza che adesso viene.
e vedo il volto del Salvatore insieme al sole.

Non mi vede nessuno che corro verso il sole.
Gesù, pensano che sia andata e abbia preso sonno.
Non sentono che Viene.

Viene.
Viene.
Viene.
Viene.
Viene.
Viene.
Non c’è che una forza che mi fa lasciare mio figlio.
Ethel non aspetta, Herbert. Lo sa Dio che non aspetta.
Non piangere, figlio, non son più su quella sedia.

Se solo venissi con me nel viaggio, figlio,
hai visto il vecchio sole che mi ha tirato su dal sonno.
Non ho dovuto aspettare. Lo vedi com’è d’oro la mia sedia?

 

Traduzione di Andrea Sirotti

Grazie a Emilia Mirazchiyska per l’intermediazione letteraria

Matteo Bianchi


15 febbraio (Venezia e una ragazza)

Ora come potrei rivolgerti la parola, che mi tiro a lustro per sopperire al vuoto nello specchio e rivedo sul nastro l’istante in cui, durante il nostro primo bacio, mi hai buttato le braccia al collo, un sabato sera ubriaco. Chissà come campa chi è sopravvissuto al patibolo e ha salvato il tutto a scapito di una parte, o cara storpiatura. Non volevo restare indietro: tu ambiziosa e sgombra, io bisognoso delle tue cure. Rischiavo di versare troppo sangue e la mia voce non doveva finire al vento, non poteva: ci riconoscevamo a stento in mezzo al mercato del pesce a Rialto nella bora, nella solita bufera neanche sapevo perché fossi lì.

Fortissimo (Minerva, 2019)