Aldo Nove


Guarda, madre

Guarda, madre, sono arrivato
all’alba in cui la tua saliva,
ogni tuo umore,
raccogliendosi in globi azzurri,
formano i miei occhi
e nulla che in te non sia
futuro
io respiro, forte, fluttuando
con la consapevolezza
animale
che trattiene
e libera ogni segreto:
nelle tue vene
ancora tu sei
me. E tu lo sai, e
mi fai, e mi aspetti
nella fiducia universale
del tuo respiro mi fai!
Come ogni madre che fa un figlio.

Guarda, madre, quel luogo.
Quel luogo lontano. Lo vedi?
Prima che tu nascessi lo abitavamo.
Non io.
Non tu.
Allora non c’era separazione
e per una svolta del respiro,
del tuo respiro
adesso assieme
assieme
non mai separati
ci torniamo.

Ascolta, madre, le onde senza fine da cui proveniamo,
verso cui tu mi spingi al ritorno.
Io ti prendo con me. Le mie deboli mani,
il tuo debole corpo
sono ora la più grande forza del mondo,
sono il mondo che racconta a sé stesso
lo sforzo, lo sfarzo
del ciclamino, del quarzo,
della costellazione.
Madre che sei la mia vita
e la nostra ragione
reclamata dal tempo
che passa e ara
i volti
e le sere,
madre non vedi
come tutto è
miracolo?

[…]

Poemetti della sera (Einaudi, 2020)

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