Antonio Machado


Si è addormentato il mio cuore?

Si è addormentato il mio cuore?
Alveari dei miei sogni,
state in ozio? Manca l’acqua
alla noria della mente
e le secchie giran vuote,
sono piene solo d’ombra?

No, che non dorme il mio cuore.
È ben desto il cuore, è desto.
Non dorme né sogna: è intento,
aperti gli acuti occhi,
a lontani segni ascolta
agli orli del gran silenzio.

 

Le più belle poesie (Crocetti, 1994), a cura di Francesco Tentori Montalto

Günter Grass


La mia macchia

Tardi, dicono, troppo tardi.
In ritardo di decenni.
Annuisco: sì, ce n’è voluto
prima che trovassi parole
per l’usurata parola vergogna.
Accanto a tutto ciò che mi rende riconoscibile
ora mi rimane appiccicata una macchia,
netta quanto basta
per gente
che indica con dito senza macchia.
Addobbo per gli anni che restano.
O forse si doveva provare il travestimento,
stendere il velo pietoso?
D’ora in poi mi circonderebbe la quiete
in mezzo a rane gracidanti.
Ma già dico sì, no e nonostante.
Non si può mascherare
il torto sanzionato.
Mai troppo tardi ciò che fu ed è
viene chiamato per nome.
La macchia vincola.

 

Dummer August (Raffaelli, 2008)

Carlo Invernizzi


Corre il vento

Corre il vento per le strade e dai muri
strappa uomini di carta che azzuffa
per balconi e terrazzi e precipita
roteanti sulla piazza.
Verso i portici spaziando arrovella
tra i passanti che imprecano al cappello
che rincorrono frullando.
Mulinella nel viale coi lampioni
ciangottando
che sussultano lungo i fili
ondeggiando.
Sui tetti poi a sera svelle baffi
ai comignoli
follettando a distesa.

 

Impercettibili nientità. Poesie 1950-2017 (La nave di Teseo, 2020)

Pierluigi Cappello


Sera

Le nove, la sera, e un poco il nero che ti sporca le mani
è tutta la terra passata di qui
a che ora le api vanno a dormire, pensi, ti chiedi,
premi il cavo del palmo sull’orlo del ginocchio
nel dirti senti come sono nuove le foglie
da quale maniera di essere solo sono volate
adesso guardi le cose come sono venute
come si sono fissate, quando nella tua persona
e appena pieghi la testa nel vuoto,
nella domanda a che ora le api vanno a dormire
quando sono passati il sapore di terra e le nuvole
davanti ai miei anni, insieme.

 

Azzurro elementare. Poesie 1992-2010 (BUR, 2013)

Pasquale Vitagliano


La perdita è il perno di questa teoria
Prima abbiamo cominciato con le persone
Perdite secche nemmeno i nomi ci hanno lasciato
Se non una mota di facce gesti azioni senza più paternità.

Poi abbiamo cominciato a perdere idee e concetti
E le parole macere più peste nella testa troppe
Le cose che si fanno quando è una perdita di tempo
La memoria per cui agiamo ora senza preavviso.

Alla fine finiamo per perdere le cose che portiamo
Le chiavi come le chiami quelle altre cose gli oggetti
Le cose che non trovi perché te le hanno tolte
E invece le hai lasciate dove sono sempre state.

 

Del Fare spietato (Arcipelago Itaca, 2019)

Osip Mandel’štam

Ah, non vedo più nulla, il povero orecchio è sordo,
di tutti i colori mi resta il minio e la rauca ocra.

Ho cominciato a sognare le mattine armene: vediamo,
mi son detto, che fa la cinciallegra a Erivan’,

come si china il panettiere giocando a moscacieca
con il pane, e toglie dal forno l’umido lavaš.

Ah, Erivan’, Erivan’! È stato un uccello a disegnarti,
ti ha colorato il leone dell’astuccio coi pastelli?

Ho unto questa vita assurda come un mullah il suo corano,
ho raggelato il mio tempo, non ho versato caldo sangue.

Ah, Erivan’, Erivan’! Non mi serve più nulla,
non voglio la tua uva congelata!

 

Viaggio in Armenia (Adelphi, 1988), a cura di S. Vitale

Eugenio Montejo


Stanza dopo stanza, lampada dopo lampada,
i palazzi si risvegliano
e tutto intorno la pioggia apre i suoi petali
con un lento sussurro che percorre
sete e tendaggi.
Dormiamo dentro a un fiore che si alza
troppo lentamente sul mondo.

Tuttora ignoriamo da quale paese remoto
ci ha portati il sonno,
ma ci risulta che tra la notte e il giorno
sono passati gli anni…

La pioggia sta schiudendo la sua corolla
nel mezzo della quale ci svegliamo.
Ora so che il tuo sorriso, i tuoi capelli,
i tuoi occhi dove la notte si attarda,
la neve che cade sui tuoi seni
e queste stesse parole
sono anche petali di qualche immenso calice,
petali che si stanno aprendo, amore mio,
con lo stesso sussurro della pioggia
sui vetri.

 

La lenta luce del tropico (Le Lettere, 2006), trad. it. L. Rosi

Elio Pecora


Di talenti – il tono è meno ironico del solito –
siamo stati dotati per scelta e per umori. (Il plurale
serve a spargere il dispiacere.) Non quei talenti
richiesti dall’epoca, che plaude all’urlo e allo scandalo:
rumori subito scancellati dai successivi rumori.

 

Rifrazioni (Mondadori, 2018)

Foto di Dino Ignani