Non si cuce più il nome alla
sua voce. Il sangue riconosce
più larga parentela che traluce
fra squame e venature e linfe
e pietre e fuoco e cadute e colpi
d’ala piccola, d’ala grande,
una balbuzie di foglie – un incompreso
abito cucito a poco a poco nella profonda
sete, nelle stellate ondine increspate
giace un non sapere che riposa, che nutre.
Quando non morivo (Einaudi, 2019)
L’ascrivibilità possibile del nome alla sua fonte emittente, prima e inconfondibile, non è più.E’ forse possibile intravedere, e quindi instaurare, una sorta di affiliazione, di parentela con il contesto circostante e con la condizione interiore: la pietra, il battere d’ali, le squame, il piccolo colpo di lieve avvio, e il grande colpo per remigare in pieno cielo.
Nel contempo incomprensione e insipienza, o meglio consapevolezza atavica del non sapere, costituiscono il vero, autentico sentire. la vera arsura, la fame che attanaglia lo stomaco. L’istanza del conoscere e del comprendere invischiati nella selva del non riuscire ad attribuire una ragione alla vita risiede qui, tra questi versi asciutti e lirici. Una scelta preziosa.