Quel giorno ci fu un tramonto così insolitamente prolungato,
nel cielo rosso erano nere le case e il nostro giardino deserto.
Quella notte il cuore non ce la faceva più per le innumerevoli stelle
e spalancammo le finestre sulla vasta notte caldissima.
E al mattino un vento leggero portò il fresco dei mari,
ci furono troppi colori per via dei glicini e delle rose in fiore.
E quella sera me ne andai, pensavo al nostro destino,
pensavo al mio amore, di nuovo – a me e a te.
Antologia Personale. Poesie 1921-1933 (Passigli, 2004), trad. it. M. Calusio
Che bella lettura. Grazie. Isabella
E’ la trasposizione poetica di un dipinto, questa lirica: il rosso del tramonto che si prolunga, il nero delle case viste in controluce, le stelle accese sul cielo notturno, il tripudio dei glicini e delle rose. E quasi per una sorta di horror cromiae, per una variazione sul topos della sindrome di Stendhal l’autrice dichiara di non aver potuto tollerare tante e tali sollecitazioni visive fino a essere stata obbligata ad allontanarsi. In realtà quella traslazione topografica sembra essere soprattutto una traslazione dei pensieri circa la condizione ontologica e d’amore. Per converso sembra praticabile la strada esegetica pertinente la questione gestaltica della forma e del colore, il potenziale evocativo intrinseco ai colori in grado di esaltare, di conciliare l’azione o la stasi meditativa sulla scorta delle teorie enunciate da Wassilij Kandinskij.
Una scelta non scontata e intelligente.