Giacomo Leopardi

L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
De l’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
Spazio di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e ’l suon di lei. Così tra questa
Infinità s’annega il pensier mio:
E ’l naufragar m’è dolce in questo mare.

 

Versi (Interno Poesia Editore, 2019)

3 pensieri su “Giacomo Leopardi

  1. Una qualsiasi considerazione sull'”Infinito” rischia di essere banale, o può apparire come un atto tracotante, un’ostentazione di ubris, un indebito tentativo di ravvisare letture esegetiche che, nella sostanziale struttura delle stesse e dell’approccio analitico che le ha formulate, sono state comunque già prodotte e veicolate.
    Tale messe di esempi dell’assiduità nei confronti di questo testo poetico e di tutto il corpus leopardiano si è consolidata, infatti, nel corso del tempo attraverso la letteratura specialistica e quella divulgativa, quella strettamente didattica o informativa, non ultima l’attenzione dei cineasti che ha condotto alla trasposizione dedicata qualche anno fa da Mario Martone alla figura del poeta.
    Un tentativo di approccio sembra rasentare la profanazione, dopo l’acribia esegetica che tanta, e potremmo dire tutta la critica letteraria, che abbia avuto l’Ottocento italiano come oggetto di analisi, ha dedicato alla questione leopardiana. Da sempre, si potrebbe dire, fin dalla lettura dei contemporanei del poeta si sono susseguite le disquisizioni circa il nitore classicista del verso, l’adesione personale e filosofica alle diatribe romantiche, il ripiegamento in se stesso che sempre è stato una diminutio critica poco digeribile, il profondo senso etico e antropocentrico della “Ginestra”, l’immediata condivisibilità cantabile, delle composizioni divulgate e confluite nei rivoli della cosiddetta cultura generale, le declinazioni della categoria pertinente il pessimismo. E si potrebbe proseguire per un bel tratto.
    Tuttavia non sembra possibile scorrere “Interno Poesia”, avvedendosi che uno spazio è stato dedicato a Leopardi, e rimanere in silenzio.
    Solo qualche considerazione motivata dalla piacevole sorpresa di leggere Leopardi in questa sede.
    Dall’ontologica, topografica, solipsistica contemplazione la prospettiva si estende a dismisura fino alla considerazione dell’infinita piccolezza dell’uomo che tenta di misurare se stesso con la cosmica grandiosità del tempo, dell’eterno fluire delle stagioni, dell’inesausto flusso di cui non è altro se un trascurabile episodio, un minimo accidente. Il genere umano è unità pensante che prova irresistibile attrazione, esercitata dalla fascinazione dell’incomprensibile che tenta di essere racchiuso seppur solo attraverso il lirismo del sentimento e la dialettica compartecipazione.
    Una sublime, nell’accezione storico-artistica e letteraria della categoria, mozione rende il paragone quasi una sfida impraticabile, un’agnizione destinata a far franare l’essere pensante in quello stesso stato di prostrazione che Johann Heinrich Füssli attribuiva al confronto esiziale con l’antichità. Ma per Leopardi tale raffronto, tale comparazione sono invece alveo di infinite derive, di annegamenti dello spirito colmato e compito della pienezza nutriente dell’oggetto di riflessione. Quanto dovrebbe essere motivo di desolazione e perdita della baricentrica giustificazione del sé, è invece motivo di un dolce e convenevole naufragio.
    Commuove ed esalta la conclusione della lirica:
    “E come il vento
    Odo stormir tra queste piante, io quello
    Infinito silenzio a questa voce
    Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
    E le morte stagioni, e la presente
    E viva, e ’l suon di lei. Così tra questa
    Infinità s’annega il pensier mio:
    E ’l naufragar m’è dolce in questo mare.”
    Un suggerimento. E’ necessario porre ascolto alle voci contemporanee, ed è giusto che sia così, per un sito che ha questa vocazione. Talvolta alcune di queste sono trascurabili, compiaciute senza ragione, o banali. Altre volte invece sorprendono per maturità e controllo formale. Una sostituzione delle prime con la poesia alta dei classici, coniugata con voci alte della contemporaneità, un motivo in più di frequentazione del sito.
    Grazie per la scelta.

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