Luciano De Giovanni


Tu lo vedi, non sono poesie,
non vogliono essere
poesie, vogliono essere,
amore

un umile cercare
attraverso parole
di poco conto
quell’unica parola

che ricordiamo
quando non ricordiamo
nulla

e liberi sostiamo
al margine del dire
nell’estasi che ci culla.

 

Tentativo di cantare una nuvola. Poesie scelte 1948-1990 (All’insegna del pesce d’oro, 1993)

Antonio Lillo


Giustificazione alle mie lamentazioni di editore povero

Se sono povero e lo dico a voce alta
non è che mi lamenti disperato. Non piango
in vista del suicidio. Ma ne rido a modo mio
per stemperare il senso di ingiustizia.
L’italiano medio invoca il mio successo editoriale
e non ammette la sconfitta del mio conto
che non va di pari passo alla poesia.
E non capisce il senso della mia lamentazione.
Poiché il male di uno – in questo caso – è collettivo
in ogni mio: «Sono poverino!»
(povertà che vivo a testa alta
perché nel mio lavoro metto tutto
a volte prima degli affetti e faccio libri
non guerre non palazzi e se il popolo non legge sono cazzi
solamente suoi) in ogni mio: «Sono poverino!»
non c’è nascosto un: «Ah, me miserino!»
ma un più maturo: «Noi, popolo di stronzi!» riassuntivo.
Ché la miseria è comune e non fa sconti.

 

Limonio (Pietre Vive, 2019)

Osip Mandel’štam


Ariosto

In Europa fa freddo. In Italia è buio.
Il potere è repellente come le mani d’un barbiere.
Oh, se si spalancasse, ma al più presto,
un’ampia finestra sull’Adriatico.

Sulla rosa muschiosa il ronzio di un’ape,
nella steppa a mezzogiorno un grillo muscoloso,
sono grevi i ferri del cavallo alato,
la clessidra è gialla e aurata.

Il linguaggio delle cicale irretisce col suo miscuglio
di mestizia puskiniana e di fretta mediterranea,
come un’edera fastidiosa, che s’avviticchia tutta
egli mente con coraggio, combinandone con Orlando di tutti i colori.

La clessidra è gialla e aurata,
nella steppa a mezzogiorno un grillo muscoloso,
e dritto alla luna spicca il volo il contafole spalluto.

Gentile Ariosto, volpe d’Ambasceria,
felce in fiore, veliero, aloe,
tu udivi sulla luna i versi dei calenzuoli,
e a corte eri savio consigliere dei pesci.

Oh, città di lucertole, in cui non v’è anima viva,
dalla strega e dal giudice hai partorito prole siffatta,
Ferrara dal cuore di pietra, alla catena lo tenevi:
e l’astro del rosso intelletto si levò dal folto del bosco.

Noi ci stupiamo del banchetto del macellaio,
del pargolo appisolatosi sotto una rete di mosche azzurre,
dell’agnello sul monte, del monaco sull’asinello,

dei soldati del duca, un po’ folli in Dio,
per le bevute di vino, la peste e l’aglio,
e della recente perdita, come l’aurora, ci stupiamo…

1933; 1935

 

L’opera in versi (Giometti & Antonello), cura e traduzione di Gario Zappi

Gëzim Hajdari


Il mio migliore amico è un asino,
un animale buono e serio.
Quando siamo tristi e amareggiati
ci guardiamo l’un l’altro negli occhi
per consolarci.

Insieme parliamo delle nostre cose,
mentre portiamo le pietre dalla cava
o andiamo nel bosco a far legna.
Meglio dar retta al mio ciucci o
che agli slogan del Partito.

Della nostra stretta amicizia,
le spie vigili del villaggio,
informarono la polizia segreta:
“Gëzim Hajdari e il suo asino
minacciano di rovesciare il socialismo”.

Poesie scelte (Besa-Controluce, 2014)

Nanni Balestrini


Prologo epico

Eccomi qua ancora una volta
seduto di fronte al pubblico della poesia
che seduto di fronte a me benevolmente
mi guarda e si aspetta la poesia

come sempre io non ho niente da dirgli
come sempre il pubblico della poesia lo sa benissimo
certamente non si aspetta da me un poema epico
visto anche che non ha fatto niente per ispirarmelo

l’antico poeta epico infatti come tutti sappiamo
non era il responsabile della sua poesia
il suo pubblico ne era il vero responsabile
perché aveva un rapporto diretto

con il suo poeta
che dipendeva dal suo pubblico
per la sua ispirazione
e per la sua remunerazione

la sua poesia si sviluppava dunque
secondo le intenzioni del suo pubblico
il poeta non era che l’interprete individuale
di una voce collettiva che narrava e giudicava

questo non è certamente il nostro caso
non è per questo che siete qui oggi in questa sala
purtroppo quello che state ascoltando non è
il vostro poeta epico

e questo perché da tanti secoli
come tutti sappiamo
la scrittura prima
e successivamente la stampa

hanno separato con un muro di carta e di piombo
il produttore e
il consumatore della poesia scritta
che si trovano così irrimediabilmente separati

e perciò oggi il poeta moderno
non ha più un suo pubblico da cui dipendere
da cui essere ispirato e remunerato
solo pubblici anonimi e occasionali

come voi qui ora di fronte a me
non più una voce collettiva
che attraverso la sua voce individuale
racconta e giudica

il suo rapporto col pubblico ha perso ogni valore dicono
non gli rimane che concentrare il suo interesse
sui problemi dell’individuo singolo
sui suoi comportamenti particolari

il poeta moderno è autosufficiente
praticamente mai remunerato
non pronuncia alcun giudizio
ciò che conta per lui ci dicono

è soltanto il suo
immaginario
le sue ossessioni consce
e inconsce

perché per lui non esiste ci dicono
che l’individuo come singolo
irriducibilmente diverso
e separato dagli altri

e così il poeta moderno
solo
o anche davanti al pubblico della poesia
dialoga individualmente con la sua poesia

la immagina naturalmente come un’affascinante signorina
e vorrebbe che anche voi la immaginaste così
che si trova in questo momento qui di fianco a lui
cioè a me e cioè dunque lì di fronte a voi.

 

Il pubblico del labirinto (Scheiwiller, 2007)

Silvia Rosa


Fino al cuore

I giorni, questi animaletti bizzarri
chiassosi che dormono con palpebre
brevi quando mi scrivi un saluto
messi a tacere non abbastanza
disciplinati, corrono tutte le strade
verde cinabro dei miei pensieri,
hanno fame, hanno sete, sono curiosi
scavano senza sosta giù a ritroso
dove il passato è una figura scomposta
lo scheletro di quello che eri, i giorni
che miagolano un canto, un lamento
come se tutta la terra fremesse in un coro,
sono troppi da perdere il conto: potessi
almeno metterli in fila, distrarli, portarli
a pascolare altrove mentre mi graffia
un’unghia di vento sulla schiena, sono così
in quest’attesa che domani è già ieri e
il calendario si muove al contrario
si morde la coda, gira in tondo, sbrana
i minuti lentamente spolpandomi
fino al cuore.

Tempo di riserva (Ladolfi, 2018)

Anne Sexton

Una sola volta

Una sola volta compresi lo scopo della vita.
Accadde a Boston, inaspettatamente.
Camminavo lungo il Charles
e vidi le luci duplicarsi, tutte
con il cuore al neon e vibrante,
spalancando la bocca come cantanti d’opera;
e contai le stelle, le mie piccole veterane,
cicatrici fiorite, e capii che stavo portando
il mio amore sulla sponda verde notturna, e in lacrime
aprii il cuore alle auto dirette a est e a ovest
e feci passare un ponticello alla mia verità
e la condussi a casa in fretta col suo fascino
e fino all’alba accumulai queste costanti
per scoprire poi che se n’erano andate.

 

L’estrosa abbondanza (Crocetti, 1997), a cura di R. Lo Russo, Satta Centanin A., E. Zuccato

Hugh MacDiarmid


Glasgow 1960

Returning to Glasgow after long exile
Nothing seemed to me to have changed its style.
Buses and trams all labelled “To Ibrox”
Swung past packed tight as they’d hold with folks.

Football match, I concluded, but just to make sure
I asked; and the man looked at me fell dour,
Then said, “Where in God’s name are you frae, sir?
It’ll be a record gate, but the cause o’ the stir

Is a debate on ‘la loi de l’effort converti’
Between Professor MacFadyen and a Spainish pairty.”
I gasped. The newsboys came running along,
“Special! Turkish Poet’s Abstruse New Song.

Scottish Authors’ Opinions” – and, holy snakes,
I saw the edition sell like hot cakes!

 

*

 

Glasgow 1960

Tornavo a Glasgow dopo una lunga assenza
niente sembrava aver mutato aspetto.
Autobus e tram erano diretti a “Ibrox”,
e passavano, strapieni come un tempo.

C’è una partita, pensai, ma per sicurezza,
lo chiesi a un tale che mi guardò
severo e disse: Ma dove vive, lei?
Allo stadio sarà record di incassi,

ma la causa di questa agitazione
è una discussione su “la loi de l’effort converti”
tra il professor MacFayden e uno spagnolo.
Boccheggiai. Poi giunse trafelato uno strillone:
Edizione straordinaria! Il Nuovo
Carme Astruso del Poeta Turco col Commento

dei Critici Scozzesi! – e, santo cielo,
vidi quel giornale vendere come se fosse pizza.

 

Hardy a Davie – Antologia della poesia inglese moderna (Accademia, 1976), trad. it. Giorgio Miglior

Gabriella Leto


Io amo vorrei dire
l’animale dallo sguardo sgomento
che senza colpa accetta di soffrire.
E amo anche la pioggia quando viene
in cadenza secondo il proprio accento
e il cielo che contiene
assai lontano il volto della luna
pallida per le molte sue nottate
e la viola la viola gialla e bruna
simile nel disegno a una farfalla
dalle ali spalancate.

 

L’ora insonne (Einaudi, 1997)