Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Irpinia d’Oriente. Ha pubblicato una ventina di libri. Ricordiamo, tra gli altri, Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza), Terracarne (Mondadori), Cartoline dai morti (Nottetempo) e Geografia commossa dell’Italia interna (Bruno Mondadori), Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere), Resteranno i canti (Bompiani). Si occupa anche di documentari e fotografia. Come “paesologo” scrive sui giornali e in rete a difesa dei piccoli paesi. Ha ideato e porta avanti La casa della paesologia a Bisaccia e il festival “La luna e i calanchi” ad Aliano.
1. Qual è lo stato di salute della poesia oggi?
Non ho fatto studi specifici per dare una risposta attendibile. Si potrebbe dire che la poesia è collegata allo stato di salute dei scriventi in versi. E pure su questo posso andare per impressioni molto vaghe. Forse lo stato di salute è migliore del passato se pensiamo alla voglia di poesia. Ecco, in questo caso mi sembra di intravedere uno spazio maggiore, come se ci fossero più persone che cercano qualcosa pensando di trovare questo qualcosa nella poesia.
2. Ma, prima di tutto, cos’è per te la poesia?
Anche a questa domanda in effetti non so rispondere. Posso solo dire che scrivo versi da quando avevo sedici anni. E lo faccio quasi ogni giorno e c’è stato un tempo in cui lo facevo per molte ore al giorno. Potrei dire che la poesia è una sorta di perenne riparazione, una lotta contro l’evanescenza del tempo, lo sfiatamento della giornata. Potrei anche dire un’arma per scavare nel male tentando di tirarlo fuori, come una chirurgia fai da te.
3. E chi sono i tuoi maestri?
Ho letto e leggo sempre molto poesia. Direi che molto più della metà del tempo passato a leggere lo passo a leggere versi. Ci sono dei libri che in un certo momento ci danno spinte più forti di altri. E sono libri che vanno in direzioni diverse. Mi ha ispirato l’intonazione del primo libro di Valerio Magrelli.E poi l’ultimo Caproni oppure certe pagine di Char e tante altre cose ancora, ma faccio fatica a pensare a un maestro sempre in esercizio. Parlerei di maestri provvisori, di padri cangianti. Anche Michaux ora mi viene in mente e Osip, il russo…..ma in generale leggo molta poesia italiana.
4. Che cosa occorre per diventare un poeta?
Ovviamente non lo so. Penso che siano ingredienti strettamente personali. Non credo si possa programmare un poeta. Il disagio e il lavoro assiduo sono due condizioni importanti. Ma non vanno mai considerati come un binario unico. Il disagio deve anche contenere una certa contentezza di fondo. E il lavoro assiduo non deve escludere una sorta di leggerezza… un rimanere in qualche modo immuni dal lavorio, estranei alle fatiche che stiamo svolgendo.
5. A tuo avviso perché siamo più un paese di poeti che non di lettori?
Forse questa cosa non è più tanto vera. Forse adesso ci sono tanti lettori che cercano poesia e pochi poeti che la offrono.
6. Scuola, librai, media, editori, poeti: di chi è la responsabilità se la poesia si legge così poco?
Non saprei distribuire il peso delle colpe. Forse tutti potrebbero fare qualcosa di più. I librai potrebbero tenere almeno un libro di poesia in vetrina. Gli editori potrebbero promuovere di più i libri in versi. La scuola invitare i poeti e pagarli. La televisione magari chiedere ai poeti quello che troppo spesso viene chiesto solo ai giornalisti.
7. Cosa occorrerebbe fare per appassionare alla poesia?
Mi dispiace esordire sempre con un non so, ma è questa la verità. Forse bisogna portare la poesia in ambiti dove di solito non la porta nessuno. Bisogna leggere poesie al benzinaio che ci mette la benzina, al barista che ci fa il caffè. Bisogna usare la rete per mandare in giro poesie ad amici e amiche. Poi alcuni si appassioneranno e altri no. Ma non vedo altra strada che quella di osare di più. Non capisco perché la poesia debba essere una cosa per addetti ai lavori, per specialisti. La poesia va portata nelle carceri, negli ospizi, nelle scuole di ogni ordine e grado, va portata al cinema, in televisione, in piazza e anche a letto mentre facciamo l’amore. Ogni momento della giornata è buono per metterci dentro qualche verso.
8. Gli Instapoets aumentano le possibilità di avvicinare nuovi lettori agli scaffali di poesia?
Solita risposta: non so. Io metterei la poesia oltre che nei suoi scaffali anche in tutto il resto della libreria. Ogni settore dovrebbe avere sempre almeno un libro di poesia e poi li ritrovi tutti nello scaffale specifico.
9. In futuro si leggerà più o meno poesia?
Credo che se ne leggerà sempre di più, ma in un mondo che legge sempre di meno.
10. Per chiudere l’intervista, ci regali qualche tuo verso amato?
Non ho capito se volete dei versi miei o di altri.
Nel dubbio me la cavo con questo mio distico:
la poesia è un mucchietto di neve
in un mondo col sale in mano.
E poi un Caproni a memoria:
Fermi! Tanto
non farete mai centro.
La Bestia che cercate voi,
voi ci siete dentro.
Intervista a cura di Andrea Cati
Dall’intervista a Franco Arminio emergono alcuni spunti di riflessione significativi.
In primo luogo segna un margine e un discrimine con tutto ciò che possa essere considerato episodico e di convenienza la scelta di definire la poesia come “una sorta di perenne riparazione, una lotta contro l’evanescenza del tempo, lo sfiatamento della giornata. Potrei anche dire un’arma per scavare nel male tentando di tirarlo fuori […]”.
Allusiva anche la condizione secondo cui si può scrivere poesia. La poesia può derivare dalla contemperazione del “disagio” e della “leggerezza”, di una certa soddisfazione di fondo che forse è compagna a latere del dissidio col presente con il quale non è possibile riconciliarsi. Un ‘altro aspetto al quale non è possibile rinunciare è indissolubilmente correlato all’intensità del lavoro creativo, oserei dire alla densità dello scrivere poesia. Dalla messe, di ‘produzione’ quotidiana allora si potrà estrarre quanto distribuito, forse in modo talvolta inconsapevole, come semi nella terra, nella speranza che questi indizi, che questi prodromici barlumi intuitivi possano germogliare.
Un monito per diffondere la poesia, e quasi un ammonimento comportamentale, è infine l’intento di leggere, far ascoltare la poesia, e parlarne di conseguenza, là dove abitualmente non si fa; nei luoghi non deputati, in circostanze inedite e informali.
Un incontro che riconcilia con il contesto attuale in quanto con buon senso, sistematico culto per l’autentico verso, istanza di diffusione sembra possa essere agevole, per Arminio, continuare a dissodare terreni potenzialmente fertili.
Leggo con grande interesse l’intervista con un poeta scoperto da poco. Un poeta che ha saputo coinvolgermi emotivamente come pochi, ultimamente. Ho letto “Cedi la strada agli alberi” due mesi fa e da quella lettura è nata questa piccola cosa. La metto qui senza alcun secondo fine. Solo un omaggio a questo poeta che, a pelle, sento vero.
Di sera
Mi perdo in versi umidi di pioggia
Raccolti dalla polvere di un tavolino
Li accarezzo con la mano
Brividi di vita lungo la schiena.
Piove ancora
Tra i raggi luminosi del lampione
Mi riprendo un’eco di luce sciolta sui vetri.
E’ come lasciare un peso alla fine della strada
Le braccia si sollevano da sole.
Anch’io l’ho conosciuto leggendo “Cedi la strada agli alberi” .
Mi ha commossa l’immediatezza delle immagini evocate ; l’ermetismo di alcuni poeti a volte mi spiazza, e mi irrita.
Non è proprio il caso di questa poesia.
Il 90% delle risposte è: “non lo so”
Vero, l’esordio è questo. Poi la risposta comunque arriva. E questo è da apprezzare, è segno di umiltà, cosa rara oggi.