Anne Stevenson


The Day

The day after I die will be lively with traffic. Business
will doubtless be up and doing, fuelled by creative percentages;
the young with their backpacks will be creeping snail-like to school,
closed in communication with their phones; a birth could happen
in an ambulance, a housewife might freak out and take a train to nowhere,
but news on The News with irrepressible importance will still sweep
everybody into it ¬like tributaries in a continental river system,
irreversible, overwhelming and so virtually taken for granted
that my absence won’t matter a bit and will never be noticed.

Unless, of course, enough evidence were preserved to record
the memorable day of my death as the same day all traffic ceased
in the pitiful rubble of Albert Street, to be excavated safely, much later,
by learned aboriginals, who, finding a file of my illegible markings
(together with the skeleton of a sacred cat), reconstructed my story
as a myth of virtual immortality, along with a tourist view of a typical
street in the late years of the old technological West – a period
they were just learning to distinguish from the time of the Roman wall,
built of stone (so it seemed) long before anything was built of electricity.

 

*

 

Il giorno

Il giorno dopo la mia morte il traffico sarà vivace. Di certo gli affari
andranno a gonfie vele, sospinti da percentuali creative;
zaino in spalla, come lumache i ragazzi strisceranno verso scuola,
chiusi in comunicazione con i loro telefoni; su un’ambulanza qualcuno potrebbe nascere
e una casalinga dar di matto e prendere un treno diretto in nessun luogo,
ma le notizie su The News continueranno a trascinare tutti
con la loro importanza irresistibile – come immissari di un sistema fluviale continentale,
irreversibili, travolgenti e così virtualmente e ciecamente accolte
che la mia assenza conterà meno di un bit, seppure sarà mai notata.

A meno che, certo, non rimanessero tracce sufficienti a identificare
il giorno memorabile della mia dipartita come quello in cui il traffico si fermò
tra le macerie miserevoli di Albert Street, molto tempo dopo, e in tutta sicurezza,
riportate alla luce da colti aborigeni i quali, ritrovato un file di miei illeggibili segni
(accanto allo scheletro di una gatta sacra), ricostruissero la mia storia
come un mito di immortalità virtuale, accanto all’istantanea di una tipica
strada della tarda era tecnologica occidentale – un periodo
che staranno appena imparando a distinguere dall’epoca del Vallo di Adriano,
fatto con pietre (a quel che sembrerà) molto tempo prima che tutto venisse fatto con l’elettricità.

 

Inedito tradotto da Carla Buranello

2 pensieri su “Anne Stevenson

  1. La morte di un individuo non è un avvenimento. Tutto intorno, senza che alcuno se ne avveda, senza che alcuno rallenti il passo, senza che alcuno dei tasselli della consuetudine venga fatto slittare dal suo posto, l’uomo muore.
    Non è assolutamente il primo, non sarà di certo l’ultimo, ma l’eclissarsi del singolo ha una sua microcosmica, drammatica terribilità quotidiana. A dispetto della banalità, della normalità di una giornata che segue lo sciame di altre giornate, di una giornata che prelude la fila lunga di altre albe e di altre strie lasciate sul terreno dagli uomini.
    La vita è la narrazione icastica dell’essere? E’ l’oriente che combacia con l’occaso e lascia invincibili e immortali tracce? La lirica ironizza e canta. E’ classica e contemporanea, è struggente e cinica. Il tempo, edace e inumano, tutto consuma e tutto oblitera, le civiltà e le loro sedimentate differenze, il loro segno sulla pelle della terra dove l’uomo continua a vivere come sa e come può.

  2. Grazie Anne, nella tua poesia ci sono molte immagini di un’ironia leggera, comprensiva e luminosa, è un piacere assaporarle; e anche tu sembri molto divertita da queste buffe scene, fra certa dimenticanza o fortuita immortalità. I ragazzi-lumaca, con le antenne sintonizzati su canali noti solo a loro; la casalinga che molla tutto e se ne va; lo spaccato di vita della straripante caterva di informazioni. E poi la seconda parte, nella quale aleggia lo spirito di un museo di antropologia… con lo scheletro della gatta sacra che presenzia in tutta ilarità.

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