Charles Simic


L’amico qualcuno

Un improvviso sbuffo d’aria fresca,
da qualche parte forse una porta
si è aperta nella quiete della sera.
Qualcuno esita sulla soglia
con un tenue sorriso
di lieto presentimento.

In questo giorno senza data,
in un vicolo oscuro,
se non fosse per qualche
sporadico bagliore di TV
e per un solitario albero in fiore
che si trascina dietro un lungo corteo
di bianchi petali e di ombre.

 

Hotel insonnia (Adelphi, 2002)

Patrick Williamson


Outhouse

Open, the air chills my neck,
pare the gloom, take down
the old scythe. Papers damp.
This is the burden. Burn them.

Blinkers, halters, take them
off the hook. These boxes,
yellow with crumbling stone,
collapse at the sides. Smoke.

That clock has struck its last,
but irons still clatter, look
through a glass, darkly, love,
billowing, more acrid. Be rid.

Emerge into sunlight. Squint.
you stand there, you swish
as tracks shuffle, light up,
outstretched hands. Ask me in.

 

*

 

Capanno

Apri, l’aria mi rinfresca il collo,
sbuccia le tenebre, tira giù
la vecchia falce. Giornali umidi.
Ecco il fardello. Bruciali.

Paraocchi, briglie, levali
dall’uncino. Queste scatole,
gialle di pietra in briciole,
si sfasciano ai lati. Fumo.

L’orologio ha battuto l’ultimo colpo,
ma i ferri tintinnano ancora, guarda,
attraverso un vetro, oscuro, amore,
in volute, più acre. Liberatene.

Emergi nel sole. Strizza gli occhi.
Te ne stai lì, un fruscìo mentre i brani
scorrono a caso, accendi una sigaretta,
le mani spalancate. Invitami.

 

Traversi (Samuele, 2018), traduzione di Guido Cupani

Foto di Dino Ignani

Fabio Pusterla


Cara acqua, ma io ti guardo sempre
anche se tu non ci sei, se corri altrove
o ti rintani nel cavo della roccia.
Ti vedo anche quando fai
l’invisibile, la goccia infingarda,
perché ti ho vista brillare
in certe albe. C’era come
un fumo sottile che saliva da te,
e piccole foglie carezzavi lentamente;
insetti e molte ali ti sfioravano, le mille
elitre sfavillanti. E mi fido di te
anche quando minacci, e ti gonfi
anche quando porti via
tutto con te.

I giorni, i ponti, i tetti.
E anche me.

 

Cenere, o terra (Marcos y Marcos, 2018)

Anna Maria Ortese


Più necessario della notte

Più necessario della notte, ascolti
godendo la mia pena.
Sola come le rocce che tranquille
emergono dai flutti, io prego il mare
delle tue labbra di placarmi. È giorno
senza bellezza o grido. Tu potresti
mutarmi in onda, se volessi, tu
se t’accostassi a cingermi. Reclino
il capo immaginando, ed ardo e tremo.
Come non torni? Come non ti accoglie
questo richiamo di fanciulla? Dove
trovare la pietà, se tu che dolce
sei come il vento, non mi sfiori? Assorto,
vociferando mitemente il mare
mi lambe, e io penso le tue mani, e gemo.

 

La luna che trascorre (Empiria, 1998)

Elisa Ruotolo


Ho desiderato

Ho desiderato essere come voi.
Oggi mi sono distratta
e l’ho fatto ancora.
Il sonno dell’animale che non sa
e prende forza dal possesso – questo ho domandato.
E poi l’inferno di ogni febbre terrena
la morte
la guerra
la malattia
– pur di sentirmi parte vostra.

Stenti e purezza furono pasto quotidiano
la mia carne cresceva assieme alla cura
di schivare i muri a cui chiedevo
un rimedio d’ombra.
Ogni esperienza m’impoveriva
ogni sapere foraggiava la mia ignoranza
i nervi provati dall’esercizio
s’allentavano nell’inabilità.
Il contagio arrivava a dirmi la fatica
del bene
della pace
della salute.

È fin troppo facile farsi bestia
in un’ora qualsiasi
non essere come gli altri eppur morire come tutti
strappati al campo prima del raccolto
nella stoltezza d’aver dimenticato
che ogni mostro
fu bambino.

 

Inedito di Elisa Ruotolo

Harald Hartung


Chiavi perdute

Fra lattine di cocacola arrugginisce una sedia da giardino
nel piatto della fontana mentre contro un albero
il vecchio barbone orina e canta
È il mio ennesimo giro e
al secondo piano ancora niente luce
Arriva il vecchio coi suoi jeans consunti
farfuglia qualche cosa, sguardo fraterno umido
Anche tu figlio mio! anche tu sarai presto fra noi

 

Sogna più lento (Libri Scheiwiller, 2006), a cura di Anna Maria Carpi

Ben Lerner


Accudire con cura Celan nel terminal dell’aeroporto.
Ammirare l’abutilon nell’atrio. Questo aggettivo
per quell’angoscia. Le pose innaturali
del turista addormentato. Ricordate

gli anni ’80? Schiacciavano rewind
e la neve rifiutava la terra.
Tutti parlavano tedesco,
tutti indossavano tenute sportive non taroccate.

Alcuni hanno preso di petto la tua assenza. Altri l’hanno presa
da sdraiati. Altri ancora l’hanno presa con latte
e zucchero. Solo tua moglie l’ha presa da uomo.

Il mio volo è partito da Danver.
Il mio volo sta imbarcando. Il mio volo ora lentamente
si sta staccando dal gate.

 

Le figure di Lichtenberg (Tlon, 2017), trad. di Damiano Abeni e Moira Egan

Alessandro Burbank


Infanzia

Gli amici dell’infanzia
si ricordano di me
perché ero grasso ma
giocavo bene a calcio.
Avevo dribbling. E allora penso
che non c’è niente di più bello
se si viene ricordati
all’interno di un contrasto.

Salutarsi dagli aerei (Interno Poesia, 2018)

© Foto di Eddie Kaza

Amelia Rosselli


Perdonatemi perdonatemi perdonatemi
vi amo, vi avrei amato, vi amo
ho per voi l’amore più sorpreso
più sorpreso che si possa immaginare.

Vi amo vi venero e vi riverisco
vi ricerco in tutte le pinete
vi ritrovo in ogni cantuccio
ed è vostra la vita che ho perso.

Perdendola vi ho compreso perdendola
vi ho sorpresi perdendola vi
ritrovo! L’altro lato della pineta
era così buio! solitario! rovinoso!

Essere come voi non è così facile;
sembra ma non lo è sembra
cosa tanto facile essere con voi ma
cosa tanto facile non è.

Vi amo vi amo vi amo
sono caduta nella rete del male
ho le mani sporcate d’inchiostro
per amarvi nel male.

Cristo non ebbe così facile disegno
nella mente tesa al disinganno
Cristo ebbe con sé la spada e la guaina
io non ebbi alcuna sorpresa.

Candore non v’è nei vostri occhi
benevolenza era tanto rara
scambiando pugni col mio maestro
ma v’avrei trovati.

Vi amo? Vi amerei? Tante cose
nel cielo e nel prato ricordano
amore che fugge, che scappa
dietro le case.

Dietro ogni facciata vedere quel
che mai avrei voluto sapere; dietro
ogni facciata vedere
quel che oggi non v’è.

 

Impromptu (S. Marco dei Giustiniani, 1981)

Foto di Dino Ignani

Ángelo Néstore


E io chi sono?

Por la mañana abandono mi sexo.
Al atardecer vuelvo
cuando me desnudo para entrar en la ducha.

Mi madre siempre dice que tengo los hombros de mi padre.
Con el vaho en el espejo el contorno es más ancho, más generoso.
Dibujo una línea recta con los dedos, con la mano la deshago.

En los ojos guardo la tristeza de las muñecas
que jugaron a ser hijas
y que mis padres acabaron regalando.
El agua fría me trae a mi cuerpo,
escondo el pene entre las piernas.

Mamá, ¿a quién me parezco?

 

*

 

¿E io chi sono?

La mattina lascio il mio sesso.
All’imbrunire ritorno
quando mi denudo per entrare in doccia.

Mia madre dice sempre che ho le spalle di mio padre.
Con il vapore sullo specchio il profilo è più ampio, più generoso.
Traccio una linea retta con le dita, con la mano la cancello.

Negli occhi custodisco la tristezza delle bambole
che giocarono a esser figlie
e che i miei genitori finirono per regalare.
L’acqua fredda mi riporta al mio corpo,
nascondo il pene tra le gambe.

Mamma, a chi somiglio?

 

Actos impuros (Hiperión, 2017)

© Traduzione di Federico Mario Telli

© Fotografia di Martín de Arriba