Nella Nobili

al pittore Giorgio Morandi

“Paesaggio 1926”

La casa alta ferma nel tempo
È la mia casa – la mia casa morta,
È la mia casa senza memoria
Senza finestre, senza porta.

Non c’è nessuno dentro.
E io non sono mai stata
Oltre quel muro
Che forse non ha seguito nemmeno –
E forse è solo un muro senza casa
È una ferita che si dilata
Nella memoria.

Tristezza – fammi piangere!
(io vorrei ritornare)

Vorrei con le mani tremanti
Toccare quella casa, quel muro,
Chiamare con voce serena
Un’immagine alla finestra

Un frammento di luce
Una mano sensibile
Che passando mi percuota
La corda del sentimento
Che più non vibra.

Cerco una porta
Un’antichissima porta
Che in altri tempi esisteva.

Nella sera in nita
Che oscilla eternamente
Sulla casa e non discende –
Ti ho perduto adolescenza.

Ma se notte di cielo non viene,
Se non chiudo questi occhi neri,
Se non precipito nel sonno –
Voglio perdere nel mio grido
Anche questa giovinezza.

Non ho nemmeno un filo
Di tristezza da legare
A un ricordo.

 

Ho camminato nel mondo con l’anima aperta (Solferino, 2018), a cura di Maria Grazia Calandrone

Riccardo Canaletti


Al porto i pescatori

i rumori del porto sono jazz
le onde battono e ribattono e battono
sul legno improvvisando.

i pescatori non abbassano lo sguardo
e mettono lucciole alle lenze.
uno bestemmia e l’altro
più giovane lo guarda tacendo.
la radio trasmette la partita
qualcuno perde e c’è chi strappa
la scommessa. vento di piscio e salsedine
al faro. i passanti ignorano la danza
dei pesci all’amo fuori dall’acqua.

le voci anziane raccontano di amori
passati in altre notti all’alto mare.
i ragazzi ascoltano e ancora tacciono
quasi nudi come gli altri prima d’ora.

io vorrei delle comete scrivere
accese d’estate nel traffico serale
mentre osservo queste due generazioni
inciampando come nella vita.

 

La perizia della goccia (Affinità Elettive, 2017)

Grace Paley


Grazie a Dio non c’è nessuno Dio

Grazie a Dio non c’è nessun Dio
o saremmo tutti perduti

se fosse Lui che ci fa gridare
di angoscia feroce di fronte alla tortura
all’odio tre o quattro volte per generazione
non ci sarebbe speranza e seppure Lui permettesse
alla pace di apparire allora un giorno grandi lastre
di pietra sotto i frutteti e il mare potrebbero
muoversi piano una contro l’altra terremoto

se fosse stato Lui a costruire così stretto il ponte
su cui siamo esortati a passare
senza paura mentre intorno a noi
i vecchi gli zoppi i maldestri i
bambini scalpitanti ruzzolano giù
e a volte vengono spinti nell’orrido
precipizio se fosse Lui certo saremmo perduti

se fosse Lui a offrire il libero arbitrio ma
solo ogni tanto strano dono
per un popolo che abbia appena distinto
la mano destra dalla sinistra
ma se siamo noi i responsabili con-
sideriamo il nostro assiduo amore uno per l’altro
perchè questo è il giorno d’oggi ora possiamo
guardarci negli occhi
a grande distanza questo è il tele-
fonico elettronico digitale giorno d’oggi
celebre per il denaro e la solitudine ma noi

abbiamo sconfitto Babele accettando parole
straniere in gloriose traduzioni se

sappiamo essere responsabili se siamo
diventati responsabili

 

Fedeltà (Minimum Fax, 2011), trad. it. L. Brambilla, P. Cognetti

Yang Lian


Il vecchio secolo scopre la fronte
e scuote le spalle ferite
la neve copre le rovine — bianca e inquieta
come schiuma d’onde, si muove in una selva oscura
una voce sperduta ci giunge da quegli anni
non ci sono strade
attraverso questa terra che la morte ha reso misteriosa

Il vecchio secolo ingannando i suoi figli
lascia ovunque scritte irriconoscibili
la neve sulla pietra corregge la sporcizia decorata
io stringo nelle mani la mia poesia
chiamami! Nell’istante anonimo
la barca del vento portando la storia è passata in fretta
dietro di me — come un’ombra
mi segue una fine

Dunque ho capito:
un gemito non è un rifiuto, le dita della fanciulla e
il modesto mirto sono immersi nei cespugli viola
sguardi come meteoriti si tuffano nell’oceano immenso
ho capito che ogni anima infine sorgerà di nuovo
portando il profumo fresco e umido del mare
portando l’eterno sorriso e la voce che non si piega
salendo verso il puro mondo azzurro
e io declamerò il mio poema

Crederò che ogni ghiacciolo è il sole
queste rovine, essendoci io, diffondono una strana luce
tra questi campi pietrosi ho ascoltato un canto
mi nutre un seno pieno di gemme
avrò nuova dignità e sacro amore
sui campi candidi denuderò
un cuore
sul cielo candido denuderò
un cuore
e sfiderò il vecchio secolo
perché sono poeta

Sono poeta
se voglio che la rosa sbocci, la rosa sboccerà
la libertà tornerà, portando la sua piccola conchiglia
in cui risuona l’eco di una tempesta
l’aurora tornerà, la chiave dell’alba
ruoterà nella giungla, i frutti
maturi lanceranno fiamme
anch’io tornerò, a scavare di nuovo
il destino doloroso
a coltivare questa terra nascosta dalla neve

 

 

Nuovi poeti cinesi (Einaudi, 1996), trad. it. Alessandro Russo

Roberto Deidier


Non ho che questi versi da intrecciarti.
Stasera il fondo urbano s’è rappreso
In un murale senza proporzione
Come un secolo storto, come un fiore
Rimasto a galleggiare sull’oceano.
Da un palazzo si affaccia un volto enorme
Ma non può minacciarti ed è incompiuto.
La mezzanotte è soltanto un’illusione.
Mentre aspetto in questa casa sottile
Sono il guardiano che nascosto compie
L’ultima ronda e incauto già s’avverte
Oltre la porta di sentirti ancora
Diteggiare il morse d’una poesia.
Per te m’inventerei un alfabeto,
Ma arriva solo un suono di sirena.
M’accosto al legno scuro, nell’occhiello
Ti chiedo a voce bassa di tornare.

 

Solstizio (Mondadori, 2014)

Foto di Dino Ignani

Raffaele Carrieri


La poesia

La poesia non è pazienza
E non è impazienza.
La poesia non è scrivania
E tanto meno carta.
La poesia è speranza.
Amata o disamata
Produce gelo fuoco
E un certo vuoto
Nel quale uno si riconosce
E un altro fugge.
La poesia non è lana
Per la testa fredda
E solo riscalda
La mano aperta.
La poesia è un ponte
Che sta per cadere
E mai non cade.
La poesia è in alto
E anche in basso
Dove crescono semi
Fiumi e vermi.

 

Poesie scelte (Mondadori, 1976)

Anna Belozorovitch


Usucapione

A volte, quando allo specchio nuda
m’asciugo o mi preparo o mi curo,
mi tiene assieme un unico pensiero:
che quella superficie è altrui,
che ogni forma è donna perché un corpo
un giorno, o più volte, l’ha avuta.
Mi sento, allora, come chi gratuitamente
vive in casa d’altri a patto di curarne la tenuta.
M’asciugo e mi preparo e mi curo
sperando di restituirmi a te e d’essere abitata.
Mi amo, allora, nella misura in cui
ogni mia forma attende d’essere amata.
Mantengo acceso il fuoco nella tua assenza,
lucido i vetri, tengo sgombro il salone:
in questa casa senza eredi nulla
deve mancare in una lunga permanenza.
Occupo, col terrore dell’usucapione.

 

Il pesce rosso (Il seme bianco, 2018)

Wallace Stevens

 


Domination of Black

At night, by the fire,
The colours of the bushes
And of the fallen leaves,
Repeating themselves,
Turned in the room,
Like the leaves themselves
Turning in the wind.
Yes: but the colour of the heavy hemlocks
Came striding.
And I remembered the cry of the peacocks.

The colours of their tails
Were like the leaves themselves
Turning in the wind,
In the twilight wind.
They swept over the room,
Just as they flew from the boughs of the hemlocks
Down to the ground.
I heard them cry – the peacocks.
Was it a cry against the twilight
Or against the leaves themselves
Turning in the wind,
Turning as the flames
Turned in the fire,
Turning as the tails of the peacocks
Turned in the loud fire,
Loud as the hemlocks
Full of the cry of the peacocks?
Or was it a cry against the hemlocks?

Out of the window,
I saw how the planets gathered
Like the leaves themselves
Turning in the wind.
I saw how the night came,
Came striding like the colour of the heavy hemlocks.
I felt afraid.
And I remembered the cry of the peacocks.

 

*

 

Dominio del nero

Di notte, accanto al fuoco,
i colori dei cespugli
e delle foglie morte
replicavano se stessi
girando nella stanza,
come le foglie stesse
che giravano nel vento.
Sì. Ma il colore dei pesanti abeti
venne a grandi passi.
E ricordai il grido dei pavoni.

Erano, i colori delle code,
come le foglie stesse
che giravano nel vento,
nel vento del crepuscolo.
Percorrevano la stanza
così come volavano dai rami degli abeti
fino a terra.
Li sentii gridare – i pavoni.
Era un grido contro il crepuscolo?
O un grido contro le foglie stesse
che giravano nel vento,
che giravano come le fiamme
giravano nel fuoco,
che giravano come le code dei pavoni
giravano nel fuoco vivo,
vivo come gli abeti
pieni del grido dei pavoni?
O era un grido contro gli abeti?

Fuori della finestra,
vidi il modo in cui i pianeti si riunivano
come le foglie stesse
che giravano nel vento.
Vidi il modo in cui la notte veniva,
veniva a grandi passi come il colore dei pesanti abeti.
Ebbi paura.
E ricordai il grido dei pavoni.

 

© Traduzione inedita di Simone Pagliai

Heiner Müller


Tristano 1993

Ieri mio figlio aveva un’aria strana
Una notizia orribile lunga un intero spot
Negli occhi di mio figlio io
Che ho visto troppo ho letto la domanda
Compensa ancora il mondo la fatica di vivere?
Un istante una notizia orribile
Lungo un intero spot io ero il dubbio
Devo augurargli una lunga vita
O per amore una precoce morte

 

Non scriverai più a mano (Scheiwiller, 2006), a cura di Anna Maria Carpi

Vittorio Sereni


Gli squali

Di noi che cosa fugge sul filo della corrente?
Oh, di noi una storia che non ebbe un seguito
stracci di luce, smorti volti, sperse
lampàre che un attimo ravviva
e lo sbrecciato cappello di paglia
che questa ultima estate ci abbandona.
Le nostre estati, lo vedi,
memoria che ancora hai desideri:
in te l’arco si tende dalla marina
ma non vola la punta più al mio cuore.
Odi nel mezzo sonno l’eguale
veglia del mare e dietro quella
certe voci di festa.

E presto delusi dalla preda
gli squali che laggiù solcano il golfo
presto tra loro si faranno a brani.

 

Tutte le poesie (Mondadori, 1995)