Bella Achmadùlina


Mutismo

Chi è stato tanto forte e astuto?
Chi mi ha preso la voce?
Non sa pianger per lui la nera
ferita della mia gola.

Le tue semplici azioni, o marzo,
sono degne di lode e d’amore,
ma sono morti gli usignoli delle mie parole,
loro giardino è ormai dizionario.

“Canta di noi!” implorano in coro
la nevicata, il dirupo, il cespuglio.
Grido, ma come il respiro d’inverno
si condensa sulle labbra il mutismo.

L’ispirazione è eccessiva, senza posa
l’anima muta inspira l’attimo fuggente,
non la salverà un altro respiro, ma soltanto
la parola da me pronunciata.

Sospiro, e respiro, e mento:
non devo più nulla
agli alberi coperti di neve
perché non so cantarne la bellezza.

Calmare il battito impazzito,
in ogni modo, o per caso!
E in tutto ciò che ho fretta di cantare
m’identificherò per sempre.

Ma ora che son diventata muta –
E amavo i nomi di tutte le cose,
e sono stanca, son come morta –
sarete voi a cantare di me.

 

Poesia (Spirali, 1998), trad. it. Daniela Gatti

Attila József


Gli uomini dell’avvenire

Essi saranno la mitezza e la forza.
Strapperanno la maschera di ferro
del sapere, perché sul volto dell’anima
si veda. Baceranno il pane, il latte:
carezzeranno il capo dei bambini
ed estrarranno con le stesse mani
ferro ed altri metali dalle oietre.
Formeranno città dalle montagne
ed i loro polmoni quieti e immensi
assorbiranno tempeste, uragani;
si placherà ogni oceano. Saranno
sempre in attesa d’ospite imprevisto:
anche per lui prepareranno il desco
e gli apriranno il cuore.

Siate simili ad essi, perché i vostri
piccoli, che han di giglio i piedi, il mare
di sangue che dinanzi a loro giace,
possano da innocenti attraversare.

 

Con cuore puro (Edizioni Accademia, 1972), a cura di Umberto Albini

Umberto Piersanti


Greppi

greppi, non burroni,
colli o fossi,
greppi amati
dove con la sorella per la mano
colsi il muschio gelato
del dicembre
in un’età remota
così remota
che il sogno non uguaglia,
greppi che il pruno
imbianca a marzo
e il lupino ricopre
d’un suo rosso acceso
quando il sole scende
così tardo sul Carpegna
e fa i campi arancioni
giù fino al mare,
greppi attorno alla casa
dell’antico dove scendo
col padre tra i filari
di limpido bianchello,
delle fiamme odorose
di bersigana

quante volte
sdraiato sul falasco
hai visto la poiana
alzarsi in volo,
la biscia scivolare
tra sassi bianchi,
scendere le palombe
alla marina
e tra le nevi di febbraio
fugaci
l’elleboro precedere
ogni altro fiore

e poi gli amori
giocati tra l’erbe
le cosce bionde e brune
i capelli sciolti,
la più felice è l’ora
che s’inoltra
come quel vento azzurro
tra fitti greppi

più d’ogni ruga
che salga alla fronte,
più della vista
che s’appanna e confonde,
è il ginocchio che si piega
e non tende
a fare cupo il giorno
gelato il sangue

greppi, greppi amati
più non salgo
tra voi
col vento in faccia,
anche sul piano
ora arduo è il cammino,
goffo e incerto
striscia il passo
sul terreno,
se tenta di salire
i greppi verdi
non s’inarca il ginocchio
ma si piega,
restano le erbe
e i fiori così distanti

solo un poco
conforta la memoria
dei greppi luminosi
e le vicende
così perse e remote,
così presenti

 

 

© Inedito di Umberto Piersanti (Gennaio 2017)

© Foto di Dino Ignani

Tommaso Tiddia


Ti ricordi la colomba bianca
come ci guardava negli occhi,
col suo sguardo di rima profonda
per noi ha danzato mentre ancora
era altissima l’onda sulla panca
del parco cittadino dov’è facile
costruire un nido coi propri pensieri,
ma noi combattevamo ancora
dentro l’arca mentre il mondo già
si ripopolava dei nostri animali.

© Inedito di Tommaso Tiddia

Francis Ponge

La farfalla

Quando lo zucchero elaborato nei gambi emerge nel fondo dei fiori, come tazze mal lavate, – un grande sforzo si svolge al suolo da cui le farfalle di colpo prendono il volo.
Ma da quando ebbe ogni bruco la testa accecata e lasciata nera, e il tronco dimagrito dalla vera esplosione in cui presero fuoco le ali asimmetrice.
Da quel momento la farfalla erratica si posa più, se non alla ventura, o quasi.
Fiammifero volante, il suo fuoco non è contagioso. Del resto, arriva troppo tardi, e può solo costatare i fiori sbocciati. Non importa: comportandosi da lampista, verifica per ciascuno la provvista di olio. Depone sulla cima dei fiori il cencio atrofizzato che porta con sé e vendica così la sua lunga amorfa umiliazione di bruco ai piedi dei gambi.
Minuscolo veliero dell’aria maltrattato dal vento quale petalo in soprannumero, vagabonda nel giardino.

 

Il partito preso delle cose (Einaudi, 1979), trad. it. Jacqueline Risset

Nazim Hikmet


Benvenuta, donna mia, benvenuta!

certo sei stanca
come potrò lavarti i piedi
non ho acqua di rose né catino d’argento

certo avrai sete
non ho una bevanda fresca da offrirti

certo avrai fame
e io non posso apparecchiare
una tavola con lino candido

la mia stanza è povera e prigioniera
come il nostro paese.

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

hai posato il piede nella mia cella
e il cemento è divenuto prato
hai riso
e rose hanno fiorito le sbarre

hai pianto
e le perle sono rotolate sulle mie palme

ricca come il mio cuore
cara come la libertà
è adesso questa prigione.

Benvenuta, donna mia, benvenuta!

 

Poesie d’amore (Mondadori, 2002), trad. it. J. Lussu, V. Mucci

Franca Mancinelli


Le tue scarpe erano terra asciugata dal sole. Si sgretolavano sul selciato, si scioglievano nelle pozze. Eri scalza, e capivi le foglie. Il freddo ti risaliva nel petto.
A stento trascinavi i piedi. Fino a che ti accorgevi di poggiare sulle caviglie: cercavi equilibrio come l’ uccello di passo dalle zampe sottili. Continuavi ad andare. Non smettevi di perdere corpo. Gli occhi aperti, le labbra chiuse.

 

© Inedito di Franca Mancinelli

© Foto di Dino Ignani

Alberto Bevilacqua


Luminescenze dal profondo

acqua ad acque materne corona
… una donna incinta si bagna la pancia nel mare
il feto scalcia per spezzare l’incantesimo

portandomi per aggiungere mare
alle tue acque materne
ti fu tentazione
l’andare oltre nel sole
sprofondare
… tu sola mandrina
del tuo essere madre
né compagno né marito ad assisterti da riva

ero
il tuo piccolo “sì”
ai “no” della vita
cominciando insieme a balbettare il tuo primo
linguaggio di madre
essenziale
al primo battere delle mie vene
… strategia di affondare
agli ultimi gradini e ai limiti estremi
incanti del profondo
per farmeli poi risalire
con il loro coro abissale

– ancora mi fai paragone
con la vita troppo grande
che non poteva starci tutta nel tuo ventre,
al massimo un’imitazione
a miniatura, un’illusione fondata:
ed eccomi

– io cerco un ventre
orgoglioso e umiliato
per morirci teneramente
come ci sono nato

 

Le poesie (Mondadori, 2015)

Giuseppe Goffredo


Con un’ala sola

Non una lacrima per la felicità
che ho vissuto. Molte cose ho
toccato per non andare ho dato.
Davvero è accaduto che il vero
fosse. Anche mi sono sentito
in volo. Mi ha commosso ogni
albero lungo la strada. E la
fronte dal cielo non ho distolto.
Ogni volta atterrito mi sono fatto
schiena fra le rive. Poco per
quanto ho potuto e con un’ala sola.

 

© Inedito di Giuseppe Goffredo