Nazim Comunale


Venezia non esiste

La bellezza intatta del mondo
sta nelle vene limpide
e nelle mani forti del giovane contadino di Nyaungshwe,
nel suo carretto stracolmo di agli e pomodori,
nel suo sguardo rotondo, capiente, esatto.

La bellezza intatta del mondo
sta nella sponda sinistra del lago,
nel cane zoppo che gioca con la merda di un bufalo,
nell’odore acre del pesce essiccato,
nella lenta serieta’ del vecchio all’angolo di Main Road
nell’allestire il suo stand di palloncini colorati.

La bellezza intatta del mondo
sta negli occhi di chi esce di casa a fumare
e vedere la città svegliarsi
tra benzina, coriandolo e frittelle,
nelle pose assorte della piccola dea del mercato,
nei mondi semplici e paralleli
del guidatore di risciò immerso nel suo
libro prezioso e sgualcito.

La bellezza intatta del mondo sta
nelle venditrici di fiori
accovacciate sul marciapiede,
perfettamente all’altezza
del tubo di scappamento dei motorini,
nel fumo dolce dei sigari verdi,
nel sipario perfetto della foschia
e delle quinte dei monti.

La bellezza intatta del mondo sta
nella devozione del monaco
che medita nella grotta,
nell’estasi della sua sofferenza,
nella polpa stopposa del tamarindo,
nel frastuono celeste
della barca a motore,
nel silenzio della pagoda.

Con le dita del mio sguardo imperfetto
ti sfioro, mondo,
e per la tregua di un più largo respiro
sono semplice e puro
come ieri.

Mondo, vienimi addosso lento,
sottrai il tempo alle smanie dei fessi,
alle ansie del calendario.
Mostrami la foto, la fine, la fauna.

Perché la tua bellezza intatta sta
nella scrittura arcana,
in questa intraducibile pace,
nell’indicibile voce,
nelle bugie della luce,
nella fortuna dell’esploratore
e nell’oro segreto dell’Amazzonia,
che è il luogo della metafora.

Porgimi gli spigoli con mano lieve,
arancia boreale,
dimmi di Orwell, di Verne, di Kipling,
mostrami la foce a gambe aperte dell’Irawaddy,
raccontami tutte le ipotesi di cui
non sarò mai capace.

Poiché Venezia non esiste
ed è impossibile non essere circolari qui in Oriente.

E allora da levante a ponente
levami di dosso la malinconia,
ponimi in ascolto,
che la bellezza intatta del mondo sta
nelle vene limpide e nelle mani forti
del giovane contadino di Nyaungshwe,
nel dorso della sua mano
d’argilla cotta al sole,
nella gloria del bambù,
nella bava azzurra del loto.

La bellezza intatta del mondo
sta in quella voce che sai
alla radio,
nell’arte paziente delle tessitrici,
nella foga dolce dei fabbri,
nei fatui furti della retorica umana.

Un cielo ch’è sputo stupefatto di stelle
forse saprà salvarti dalla tua furia animale
intrappolato nella disciplina di
un’impossibile foresta.

Perché la bellezza intatta del mondo sta
nella scienza esatta dei metalli,
nel polpaccio del barcaiolo,
nel fango sul fondo del lago.

La bellezza intatta del mondo sta
nella visita,
nel viaggio,
nel dono.

Fammi dono di un’altra visita,
mondo,
vienimi addosso lento,
portami in viaggio,
mi slaccerò l’anima
e proverò a dirti.

Perché la tua bellezza intatta del mondo sta
in ciò che ci aspetta dopo la pagina,
nel latrato randagio dei cani,
nel cibo di strada,
nelle bucce di oggi,
nei semi di domani.

Perché gli uccelli ignorano
le costellazioni di Galileo
e le illusioni della Buddità
ma sanno dove finisce
la collera del mare.

E la bellezza intatta del mondo sta
nelle vene limpide…
(ad libitum)

 

© Inedito di Nazim Comunale

Shu Ting

Il muro

Non ho modo di resistere al muro
ho solo il desiderio di resistergli.

Cosa sono io?
Lui cos’è? Forse è lui
la mia pelle che pian piano invecchia
insensibile alla pioggia e al vento
come insensibile al profumo dei fiori,
o forse anche,
io sono solo un ciuffo di piantaggine
che decora le sue crepe fangose,
io sono il caso, lui la necessità.

Di notte, il muro si anima,
stende i suoi molli tentacoli,
mi stringe, mi soffoca,
mi adegua a ogni forma.
Spaventata corro in strada,
e scopro che lo stesso incubo
è legato al tallone d’ogni uomo.
Sguardi orribili,
muri di ghiaccio.
Ah, ho capito,
ciò cui devo resistere anzitutto è:
un compromesso col muro,
e l’insicurezza di fronte a questo mondo.

 

 

Nuovi poeti cinesi (Einaudi, 1996), trad. it. C. Pozzana, A. Russo

Max Jacob


Cappello

Uno stormo di piccioni sopra un melo,
uno stormo di cacciatori, niente piccioni,
uno stormo di ladri, niente mele,
non rimane che un cappello di ubriaco
appeso al ramo più basso.
Bel mestiere il mercante di cappelli,
mercante di cappelli di ubriachi.
Se ne trovano un po’ ovunque dentro i fossi,
sui prati, sopra gli alberi.
Ce ne son sempre di nuovi da Kermarec
mercante di cappelli a Lannion.
Il vento lavora per lui.
Da piccolo sarto quale sono
mi farò cappellaio,
il sidro lavorerà per me.
Quando sarò ricco come Kermarec
acquisterò un frutteto di mele da sidro
e dei piccioni domestici,
se fossi a Bordeaux berrei del vino
e me ne andrei a testa nuda sotto il sole.

 

Poesia francese del novecento (Bompiani, 1985), trad. it. V. Accame

Giovanna Rosadini


Infanzia

I.

Un tempo la vita era larga e non si sottraeva,
nella città luminosa, spolverata dall’aria leggera –
viva del mare sospeso nell’intaglio del golfo,
scampoli di blu tramati ad ogni scorcio

E le strade prendevano per mano, portavano
lontano – l’approdo era sicuro, la nonna il parco
il Lido, mai un muro, le cose avevano
un nome solo, nessun agguato ci attendeva al varco…

 

© Inedito da “Fioriture capovolte”, di prossima uscita Einaudi

© Foto di Dino Ignani

Vittorio Sereni


In me il tuo ricordo

In me il tuo ricordo è un fruscio
solo di velocipedi che vanno
quietamente là dove l’altezza
del meriggio discende
al più fiammante vespero
tra cancelli e case
e sospirosi declivi
di finestre riaperte sull’estate.
Solo, di me, distante
dura un lamento di treni,
d’anime che se ne vanno.

E là leggera te ne vai sul vento,
ti perdi nella sera.

 

Poesie e prose (Mondadori, 2013)

 

Paola Casulli


Tu sai
come baciarmi dentro
mordermi dalle costole le ali che fanno male.
Voglio strade che dormono vuote
mentre io resto insonne
a chiedermi se godi o tremi
lontano dalla mia notte.
Il mio corpo disabitato gocciola resina,
ho fiori sulla fronte e brina
e mille pianure che cantano di te.

 

Sartie, lune e altri bastimenti (La Vita Felice, 2017)

Fëdor Tjutčev


Taci, nasconditi ed occulta
i propri sogni e sentimenti;
che nel profondo dell’anima tua
sorgano e volgano a tramonto
silenti, come nella notte
gli astri; contemplali tu e taci.

Può palesarsi il cuore mai?
Un altro potrà mai capirti?
Intenderà di che tu vivi?
Pensiero espresso è già menzogna.
Torba diviene la sommossa
Fonte: tu ad essa bevi e taci.

Sappi in te stesso vivere soltanto.
Dentro te celi tutto un mondo
d’arcani, magici pensieri,
quali il fragore esterno introna,
quali il diurno raggio sperde:
ascolta il loro canto e taci!…

 

Poesie (Adelphi, 2011), trad. it. di Tommaso Landolfi

Francesca Serragnoli

Non dire mai il tuo sogno
A chi non ti ama

Joyce Mansour

è spettrale e improvvisa
la visione dell’acqua
sul finestrino dell’auto ferma
tutto scivola, tremolanti gli alberi i viali
chi hai amato scende
apre l’ombrello s’incammina
la sua figura comincia a disfarsi
ti sembra che sia laggiù
per i colori della giacca
ne vedi due forse quattro
poi più niente

 

© Inedito di Francesca Serragnoli

Alessandro Ghignoli

a babbo, per sempre

quante le domande quando c’eri
o non eri lì o chissà era solo ieri
il tuo rimanere purché non finisse
in un forse nell’oppure di un mai
o di quelle volte rimaste nel mezzo
che non era che questo non senso
se penso alla storia di noi cosa vuoi
adesso ed ora che dica per dirtelo
direi che il tempo e il luogo il vento
erano la voce il mio inverno insieme
al gelo la fatica dei passi tutti
gli assi nascosti e dentro e fuori
i rancori il bene si misura e sai
che so che dura che gli anni in noi
si fanno nei minuti nelle scelte
d’ogni tanto in giorni per sempre
e poi ancora soltanto il poi
senza ora senza il noi

 

© Inedito di Alessandro Ghignoli