Domenico Cipriano


(a Pier Paolo Pasolini)

Si diradano (le nuvole)
con la passione che restituisce la bellezza del creato. Nulla è
immobile, tutto ha un respiro incessante
anche il corpo morto col tempo si dissolve
o si eleva nel ricordo. Le parole
le interminabili visioni

l’anfiteatro della vita che non ostacola il male
e precipita. Le confessioni, i segreti.
Tutto ha un divenire, un’acerba contestazione
o la richiesta di un miracolo. Ferma il paesaggio.
Ciò che convive. La periferia del pensiero
che ci crolla addosso. Ora. In ogni istante.

Sono altri i volti sudici, altre le braccia vigorose
a chiedere pietà al cielo. Cambiano i nomi
l’idioma che non riconosciamo. Resta tutto identico
negli occhi. A queste nuvole
che si deformano umane
sappiamo solo chiedere (ancora) un segno di perdono.

 

© Inedito di Domenico Cipriano

© Foto di Dino Ignani

Un pensiero su “Domenico Cipriano

  1. La bravura di Cipriano nella poesia in questione sta nel disegnare cerchi concentrici,via via più larghi, di sensi e sovrasensi multipli dove caso e necessità, evento e lutto stanno al di là della vita in quanto coerenza e al di qua della vita in quanto movimento. L’autore pare pronto a mutare la coerenza con la morte, rifiuta soluzioni intermedie e lascia propagare il suo scritto senza posa, memore magari della sua origine.
    Dinanzi ad un simile impasto la poesia non può essere disarmata o al contrario investita da una missione di provvidenza. Forse ambedue le cose. E allora sembra che l’esaltazione del tema stesso induce a proiettarsi ovunque per serrare la distanza che ci separa dal ricordo, e l’oggetto del medesimo, Pasolini insomma, sia tutto e parte nel medesimo tempo: nulla per sé ma tutto nel suo apparire conclusivo come il perdono.

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