Hans Magnus Enzensberger

Enzensberger3
Giovanni de’ Dondi da Padova
per tutta la vita
costruì un orologio.

Un assoluto prototipo, insuperato
per quattrocento anni.
Un meccanismo plurimo, di ruote
ellittiche e dentate,
connesse ad ingranaggio,
e il primo bilanciere;
un’inaudita fabbrica.

Sette quadranti
mostrano la postura dei cieli
e le mute rivoluzioni
d’ogni pianeta.
L’ottavo,
il meno appariscente,
segna l’ora, il giorno e l’anno:
A.D. 1346.

Forgiò di propria mano:
una macchina celeste,
inutile e industre come i Trionfi,
un orologio verbale
che fabbricò Petrarca.

A qual uopo sciupate il tempo vostro
con il mio manoscritto,
se a grado non siete
di rifarlo?

Sorgere e tramontar del sole,
congiunzioni dell’orbita lunare,
feste mobili.
Unità logico-aritmetica, e al contempo
un’altra volta il cielo.
D’ottone, d’ottone.
Sotto codesto cielo
oggi ancora viviamo.

La gente di Padova
non badava alla data.
Un golpe dopo l’altro,
carri d’appestati sul selciato.
I banchieri
pareggiavano il bilancio.
Scarseggiavano i viveri.

L’origine di quella macchina
è problematica.
Un computer analogico.
Un menhir. Un astrarium.
Trionfi del tempo. Sopravanzi.
Inutili e industri
come un poema d’ottone.

Guggenheim non mandava
a Francesco Petrarca l’assegno
a fine mese.
De’ Dondi non aveva contratti
col Pentagono.

Altre belve. Altre
le parole e le ruote. Eppure
il medesimo cielo.
In codesto Medioevo
oggi ancora viviamo.

 

Mausoleum (Einaudi, 2017), trad. it. V. Alliata

© Foto di Isolde Ohlbaum

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