Charles Wright


Marostica, Val di Ser. Bassano del Grappa.
Madonna del Ortolo. San Giorgio, arc and stone.
The foothills above the Piave.

Places and things that caught my eye, Walt,
In Italy. On foot, Great Cataloguer, some twenty-odd years ago.

San Zeno and Caffè Dante. Catullus’ seat.
Lake Garda. The Adige at Ponte Pietra
– I still walk there, a shimmer across the bridge on hot days,
The dust, for a little while, lying lightly along my sleeve –
Piazza Erbe, the twelve Apostles…

Over the grave of John Keats
The winter night comes down, her black habit starless and edged with ice,
Pure breaths of those who are rising from the dead.
Dino Campana, Arthur Rimbaud.
Hart Crane and Emily Dickinson. The Black Château.

 

*

 

Marostica, Val di Ser. Bassano del Grappa.
Madonna dell’Ortolo. San Giorgio, arco e pietra.
Le pendici collinari alte sul Piave.

Luoghi e cose che mi hanno colpito, Walt,
in Italia. A piedi, Grande Catalogatore, vent’anni e passa fa.

San Zeno e il Caffè Dante. Il sedile di Catullo.
Il Lago di Garda. L’Adige a Ponte Pietra
– ci cammino ancora sopra, scintillio sulle arcate nei giorni d’afa,
la polvere che per un poco mi si posa lieve sulla manica –
Piazza delle Erbe, i dodici Apostoli…

Sulla tomba di John Keats
scende la sera invernale, dall’abito nero senza stelle e bordato di ghiaccio
puri respiri di coloro che risorgono dai morti.
Dino Campana, Arthur Rimbaud.
Hart Crane e Emily Dickinson. Lo Château Nero.

 

Italia (Donzelli, 2017), a cura di M. Egan, D. Abeni

Wisława Szymborska

Wislawa-Szymborska
Un amore felice

Un amore felice. È normale?
È serio? È utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri
che non vedono il mondo?

Innalzati l’uno verso l’altro senza alcun merito,
i primi qualunque tra un milione, ma convinti
che doveva andare così – in premio di che? Di nulla;
la luce giunge da nessun luogo –
perché proprio su questi, e non su altri?
Ciò offende la giustizia? Sì.
Ciò infrange i principi accumulati con cura?
Butta giù la morale dal piedistallo? Sì, infrange e butta giù.

Guardate i due felici:
se almeno dissimulassero un po’,
si fingessero depressi, confortando così gli amici!
Sentite come ridono – è un insulto.
In che lingua parlano – comprensibile all’apparenza.
E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,
quei bizzarri doveri reciproci che s’inventano −
sembra un complotto contro l’umanità!

È difficile immaginare dove si finirebbe
se il loro esempio fosse imitabile.
Su cosa potrebbero contare religioni, poesie,
di che ci si ricorderebbe, a che si rinuncerebbe,
chi vorrebbe restare più nel cerchio?

Un amore felice. Ma è necessario?
Il tatto e la ragione impongono di tacerne
come d’uno scandalo nelle alte sfere della Vita.
Magnifici pargoli nascono senza il suo aiuto.
Mai e poi mai riuscirebbe a popolare la terra,
capita, in fondo, di rado.
Chi non conosce l’amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.

Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.
 

Ogni caso (Scheiwiller, 2009), trad. it. P. Marchesani

Julio Cortázar

cortàzar
Il futuro

E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il “tutto completo” delle sotterranee,
nei libri prestati e nell’arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
né ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all’angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
né qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
né là fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.

 

Le ragioni della collera (Fahrenheit 451, 1995), trad. it. G. Toti

Sergio Solmi

sergio solmi
Preghiera alla vita

Perché più bruci, per meglio sentirti,
perché sempre il cuor mi divida
il tuo taglio assetato di lama,
perché la notte smanioso
invano a cercarti io mi dibatta
e mi raggiunga l’alba
come una morte amica,
tregua non darmi, mia vita,
lasciami l’umiliata povertà,
le nere insonnie, le cure ed i mali.
Lasciami il delirante desiderio
che si gonfia in miraggi
e il timido sangue che s’agita ad ogni
soffio.

Perché più bruci, per meglio sentire
questo tuo bacio che torce e scolora,
ogni mia fibra consuma al tuo fuoco,
ogni pensiero soggioga ed annulla,
ogni tuo dolce, la pace e la gioia,
negami ancora.

 

Poesie (Mondadori, 1950)

Gianluca D’Andrea

gianluca
Alla fine di un’epoca il ricordo
sembra quasi rinnovare gli odori.
Forse svegliandoli da un sogno, allora,
ne riporto le scene suscitate.
Sentivo dire di Franco, in Sicilia
il Tirreno era il mare dell’infanzia,
non sapevo di Ustica, la Spagna,
però, mi dava gioia, quei mondiali,
disprezzo alla parola dittatura.
La TV degli anni Ottanta tentò
di rubarci la memoria, riuscendo
a cancellare ogni velocità
ogni appiglio, distanziando in un limbo
di benessere le generazioni.
Acini in un grappolo, carrellate
ricolme, gli individui al loro fondo,
tutti impegnati, da bolle, a sognare
il proprio mondo. C’era molto sole,
aspettavamo le vacanze estive,
captavamo i messaggi apocalittici
ma mai come segni d’appartenenza,
semmai come un ricordo già avvenuto,
ognuno poi scappava e nella corsa
ogni atomo era un rendiconto.
Infinitesimale allora l’aria
infettata si mescolava al fiato
vegetale. Così noi saltavamo
nella melma come fosse un recinto
trivellato di falle, ma nell’acqua,
non sapendolo, imparavamo il nuovo
nuoto; dall’allergia il contatto affoga
nel desiderio. Così giocavamo
a nascondino nell’erba e l’odore
acerbo del sudore a quell’età
si mischiava alla terra, per non dire
del mare incanalatosi in collina,
oltre quella fiumara, nello spiazzo
in cui trovavi i vermi nelle tasche
e non le mani. Poi le figurine
con cui sfidare i compagni, i cartoni
da cui apprendere lo sport e l’amore,
mentre il gioco già mutava in clangore,
la massa sferragliante, aperitivo
globale. Il naso cadeva coi muri.

 

Transito all’ombra (Marcos y Marcos, 2016)

© Foto di Dino Ignani

Luca Bresciani


Ho partorito senza gridare
in nome di chi ho visto morire
e che ora è un pugnale di carne
incastrato nella fame delle onde.

La mia bambina è così piccola
che sul mio seno è una coccinella
soffocata dal peso di lacrime buie
crollate da volti allevati nel sangue.

Quante volte dobbiamo ingoiare
le agili spine dell’illusione?

Quante volte nel nostro corpo
deve scavare una tana il silenzio?

E ora moriamo un’altra volta
tra queste primavere di malta
noi figli illegittimi della speranza
noi maglie nere del giro dell’urgenza.

 

© Inedito da L’elaborazione del tutto

Elizabeth Bishop

Elizabeth Bishop

The Unbeliever

He sleeps on the top of a mast.
Bunyan

He sleeps on the top of a mast
with his eyes fast closed.
The sails fall away below him
like the sheets of his bed,
leaving out in the air of the night the sleeper’s.

Asleep he was transported there,
asleep he curled
in a gilded ball on the mast’s top,
or climbed inside
a gilded bird, or blindly seated himself astride.

“I am founded on marble pillars”,
said a cloud. “I never move.
See the pillars there in the sea?”.
Secure in introspection
he peers at the watery pillars of his reflection.

A gull had wings under his
and remarked that the air
was “like marble”. He said: “Up here
I tower through the sky
for the marble wings on my tower-top fly”.

But he sleeps on the top of his mast
with his eyes closed tight.
The gull inquired into his dream,
which was, “I must not fall.
The spangled sea below wants me to fall.
It is hard as diamonds; it wants to destroy us all”.

 

*

 

Il miscredente

Dorme sulla cima dell’albero maestro.
Bunyan

Dorme sulla cima dell’albero maestro
con gli occhi serrati.
Sotto di lui si sciolgono le vele
come le lenzuola del suo letto, esponendo
all’aria notturna la testa del dormiente.

Trasportato lassù nel sonno,
nel sonno s’è raccolto
in una palla d’oro in cima all’albero,
o si è arrampicato dentro un uccello d’oro,
o alla cieca s’è seduto a cavalcioni.

“Ho pilastri di marmo a fondamenta”
ha detto una nube. “Non mi sposto mai.
Vedi i pilastri là nel mare?”.
Sicuro nell’introspezione adesso
scruta i liquidi pilastri del proprio riflesso.

Un gabbiano, le ali sotto le sue,
ha osservato che l’aria
“sembrava marmo”. Lui ha risposto “Quassù
torreggio per il cielo perché le ali
di marmo in cima alla mia torretta volano”.

Ma dorme sulla cima del suo albero maestro
con gli occhi sigillati.
Il gabbiano ha frugato nel suo sogno
che era: “Non devo finire tra i flutti.
Il mare luccicante mi vuole tra i suoi flutti.
È duro come il diamante; vuol distruggerci tutti”.

 

Miracolo a colazione (Adelphi, 2006), trad. it. D. Abeni, R. Duranti, O. Fatica

Laureano Albán

Laureano-Alban

VIAJE A LA CENIZA

¿Qué fueron sino rocíos
de los prados?

Jorge Manrique

Vivir es extinguirse,
cargar el cuerpo hacia su soledad.
Mientras en los mercados crece el mundo
y los días van dejando su ración de milagro.

Se escucha la semilla bajar pausadamente
y sus brotes secretos detenerse,
gradualmente gastados
entre la desmemoria de los soles,
girando en lentos ángulos oscuros,
presagiados en el polvo por su sombra.

Cuando el silencio se presenta
y la nada nos vence
y se detiene
la ansiedad deslumbrante de los ojos
y la mirada abarca
la sinrazón total ante la muerte,
algo vuelve a doler,
algo del mundo que se va apagando
aunque todavía brille, esplenda y ame.

 

*

 

VIAGGIO ALLA CENERE

Cosa furono se non rugiada
dei prati?

Jorge Manrique

Vivere è estinguersi,
caricare il corpo verso la sua solitudine.
Mentre nei mercati cresce il mondo
e i giorni lasciano la loro razione di miracolo.

Si ascolta il seme scendere con lentezza
e i suoi germogli segreti trattenersi,
gradualmente consumati
nella dimenticanza dei soli,
girando in lenti angoli oscuri,
presentiti nella polvere dalla loro ombra.

Quando il silenzio si presenta
e il nulla ci sconfigge
e si trattiene
l’ansietà abbagliante degli occhi
e lo sguardo abbraccia
il torto totale della morte,
qualcosa torna a dolere,
qualcosa del mondo che si va spegnendo
malgrado ancora brilli, splenda, ami.

 

© Inedito di Laureano Albán, traduzione di Tomaso Pieragnolo

Valerio Grutt

valerio grutt ignani

Quel qualcosa nel giallo dei campi
o sulle ciminiere, le pale eoliche
quel qualcosa che non si può dire
nei capelli delle ragazze, nei fermagli,
le sciarpe, nei cortili delle scuole
o dentro a una parola incastonata
in un romanzo che ho già letto.

Tu sola in mezzo al nulla
di un parcheggio lontano
ti fermi e ascolti senza capire,
pensi a me o a tua madre
a una cosa che hai dimenticato
di fare e che ti esplode addosso
tutto il tempo.

A volte quel qualcosa è in una musica
e mi trascina in un bar o per strada,
è un’immagine che prende fuoco.
Forse, quel qualcosa ci fa ciò che siamo:
animali strani che non stanno mai fermi,
bagagli dimenticati negli aeroporti
che girano ancora e girano
e nessuno li tira su.

 

© Inedito di Valerio Grutt

© Foto di Dino Ignani

Jacques Prévert

FARA02636

Les enfants qui s’aiment

Les enfants qui s’aiment s’embrassent debout
Contre les portes de la nuit
Et les passants qui passent les désignent du doigt
Mais les enfants qui s’aiment
Ne sont là pour personne
Et c’est seulement leur ombre
Qui tremble dans la nuit
Excitant la rage des passants
Leur rage leur mépris leurs rires et leur envie
Les enfants qui s’aiment ne sont là pour personne
Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans l’éblouissante clarté de leur premier amour.

 

*

 

I ragazzi che si amano

I ragazzi che si amano si baciano in piedi
Contro le porte della notte
E i passanti che passano li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
Ed è soltanto la loro ombra
Che trema nel buio
Suscitando la rabbia dei passanti
La loro rabbia il loro disprezzo i loro risolini la loro invidia
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Loro sono altrove ben più lontano della notte
Ben più in alto del sole
Nell’abbagliante splendore del loro primo amore.

 

Spettacolo (Guanda, 2003), trad. it. F. Bruno