Éric Sarner

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Vuoto
nella stanza in alto
sente il suo corpo sordo
un po’ come fosse sordo
la prima volta
lui non sa
batte
c’è come una menzogna soffocata
tutto è fermo
una sirena
guarda il suo viso allo specchio
il riflesso
si passa dell’acqua limpida
sugli occhi e ancora e ancora
si riunisce
in una sola
onda rossa
flusso feroce
un intaglio
per diventare
egli stesso
il Vuoto

 


Salto nel sole oscuro
(Terra d’ulivi, 2016), trad. it. E. Macadan

© Foto di Claudio De Sat

Laura Corraducci

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alla fine anche tu ci sei arrivato
a guardare il bicchiere dal suo fondo
a spegnere il telefono dentro la tasca
a scrostare tutti i muri per vedere
quali segreti possono nascondere
in mezzo al rosso spento de i mattoni
a cercarla nelle pagine dei libri
ad annusarla nell’aria della notte
a scoprirti felice su di un letto dove
le lenzuola sono barche per il mare
con un’unica vela che si spiega
a soli pochi centimetri dal collo

 

© Inedito di Laura Corraducci

Tess Gallagher

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Bollettino Meteorologico

I poeti romeni
ai tempi di Ceausescu, diceva
Liliana, codificavano

la loro opposizione ai despoti
in questo modo: siccome
mancava il gas e avevano freddo, come
tutti, non dovevano fare altro che scrivere

che freddo che fa… tanto freddo e i loro
lettori capivano esattamente cosa volevano dire.
Nessuno finì in galera
per una cosa del genere.

Liliana, nel cuore della notte
scriveva le poesie
indossando i guanti.

Io mi sa che me li tolgo.
Qui si gela.
Un ghiacciaio mi schiaccia il cuore.

 

 

Viole nere (Einaudi, 2014), trad. it. R. Duranti

© Foto di Brian Farrell

Jiří Orten

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Di chi sono?

Io sono dei piovaschi e delle siepi
e delle erbe chinate dalla pioggia
e della chiara canzone che non gorgheggia,
del desiderio che sta chiuso in lei.
Di chi sono?
Io sono di ogni piccola cosa smussata
che mai spigoli ha conosciuto,
dei piccoli animali che reclinano la testa,
sono della nuvola quando è straziata.
Di chi sono?
Io sono del timore che mi ha tenuto
con le sue trasparenti dita,
del coniglietto che in un giardino in penombra
esercita il suo fiuto.
Di chi sono?
Io sono dell’inverno ostile ai frutti
e della morte, se il tempo lo chieda,
io sono dell’amore, di cui sbaglio la porta,
al posto di una mela ai vermi lasciato in preda.

 

La cosa chiamata poesia (Mondatori, 1991) a cura di G. Giudici, V. Mikes

Giuseppe Ungaretti

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Natale

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.

 

Vita d’un uomo. Tutte le poesie (Mondadori, 2009)

 

Post originale del 24 dicembre 2016

Davide Rondoni

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Sei un amore perché sei
un racconto

e partono in te
i velieri della fine,

appaiono
un attimo sui parabrezza bagnati
i nomi di città sconosciute

i violinisti si sono addormentati
e sognano e suonano e sognano

sbagliando qualche nota ma
portano il pianto inaudito dei cristalli

custodisci i miei
respiri
lasci impronte così nascoste
che le troverà solo il demonio o l’ultimo
degli angeli prima di mettere il cappello e
spegnere la luce

co gli occhi di un ferito è entrato
travestito alla festa
chiedendo c’è da bere qualcosa
e alzava brindisi da lontano strappandoci
il cuore.

Amore che non riesce a chiudere
il ventaglio dei baci

si confonde come uno in stazione
che guarda i treni, non sa mai partire
sperduto e felice –

sei un amore e sei un racconto
che ogni notte mi dimentico

e leggo nelle nuvole che lo scrivono

inquiete nei venti contrari
rubando luce ai visi attoniti di santi dipinti
e alle bici abbandonate sui binari

tutte le morti che hai traversato e le nascite
ti porgono il braccio –

sono lo stesso momento di sempre
da quando hai alzato lo sguardo

e il tuo respiro ha reciso il mio nome dal niente

 

 

La natura del bastardo (Mondadori, 2016)

© Foto di Viviana Nicodemo

Alessandro Canzian

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La ragazza di nome Olga
è una ragazza che non conosco
né me ne sono mai innamorato.
Ma se me la immagino la penso
con la pelle bianca come i capelli
di mio padre, e il seno grosso
– ma la memoria non fa vedere –
e con l’utero profondo
come il buio dentro un uomo.

 

*

 

L’odore di Olga passa in mezzo al piano
anche se lei è assente ormai da giorni.
Fa la tromba delle scale, l’ascensore
che non funziona, fa l’entrata
che sembra quella di un albergo
anni sessanta, non esiste, come Olga,
anche se si ostina a credere il contrario.

 

Il colore dell’acqua (Samuele, 2016)

© Foto di Dino Ignani

Boris Pasternak

L’alba

Tu eri tutto nel mio destino,
poi vennero la guerra e lo sfacelo,
e a lungo, a lungo di te
non si seppè più nulla.

E dopo molti, molti anni
la tua voce di nuovo mi ha turbato.
Tutta la notte ho letto i tuoi precetti,
rianimandomi come da un deliquio.

Voglio andar tra la gente, nella folla,
nell’animazione mattutina.
Sono pronto a ridurre tutto in schegge
e a mettere tutti in ginocchio.

Scendo di corsa le scale,
come se uscissi per la prima volta
su queste strade coperte di neve
e sul selciato deserto.

Spuntano ovunque fiammelle accoglienti,
la gente beve il tè, s’affretta il tram,
nel giro di alcuni minuti
l’aspetto della città è irriconoscibile.

Nei portoni la bufera intreccia
una densa rete di fiocchi,
e per giungere in tempo tutti corrono,
senz’aver finito di mangiare.

 

Poesie (Einaudi, 2009), trad. it. A. M. Ripellino

Maria Borio

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Prospettiva

La linea dell’orizzonte sembrava il confine del mondo
fermato tra il tuo polo e il mare. Il mare si curva
perché la terra è un globo, come le tue mani
sospese tra naso e orizzonte danno pugni,
spingono contro l’orizzonte immagini di incoerenza.

Adesso in un viaggio di due ore taglio a metà il paese
passando a fil di lama la nebbia al nord e l’azzurro
al centro quattrocentesco come l’affresco
di Piero della Francesca che vorrei trasparente,
sopra al mondo la sua prospettiva.

Ma oggi nel vulcano sgranate le persone rincorrono
un punto di fuga interiore, dalla cornea alla pupilla,
e le scie rosse sottili schizzano elettriche;
ma un bisogno di verità dovrà pur correre
come la lama aguzza del Freccia Rossa
ci toglie soli da noi stessi (io, noi?),
e mentre corre ti vedo in una casa vuota
ancora con i pugni paralleli spingendo
immagini che fanno sciami di insetti e polveri.

Dietro il vetro della finestra l’alba ha tagliato il cortile:
le ombre dei vestiti asciutti corrono sui muri,
i nostri confini invecchiando invertono la prospettiva
l’uno nell’altro come i poli antipodi e uniti
del pianeta strappano l’orizzonte l’uno all’altro.

Nel vetro tagliente dell’alba la lama del treno
è una prospettiva aerea. Esseri fragili
hanno occhi che si toccano.

 

© Inedito di Maria Borio

© Foto di Dino Ignani

Patrizia Cavalli

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Questa notte perfetta, questa ora così dolce,
il silenzio, e nessuno che disturbi
in questa casa esposta solo al mare e al cielo
nella temperatura giusta della carne,
io senza carne qui di fronte a te
mentre mi annoio e mentre tu ti annoi e credi
che rompere il silenzio rompa la noia
che invece ogni parola accresce. E adesso?
Annoiarsi da soli forse è un lusso,
ma annoiarsi in due è disperazione
– non è noia che placida risieda,
ma attivamente lavora nel mio sangue
e mi fa scarsa e debole, mi estingue.

 

Datura (Einaudi, 2013)

© Foto di Dino Ignani