Nasci in un tempo lavato, nel mezzo volto
delle foto, nel mezzo piano di uno schermo.
Nasciamo tutti così, nascosti in un dondolo
di negazioni ed affitti, una trincea della febbre.
Poi si arriva a vedere l’inganno ed era con te, da prima
che tutto fosse un bisbiglio, anche ottuso,
prima che ci incantasse la serie dei sorrisi
io nel tuo senso di fuga, dove non c’è affondo, o radura
tu nei miei giorni in eccesso che hanno troppe voci da capire.
Così per fondare la città che era noi, fu battaglia
ho provato a vendere case senza porte.
E nella città insicura noi soli ad abitare, come profughi
nei cubi di ferro occupati, per primi. Fu poi un difetto
l’attesa di un ritornello della storia, o un destino.
Da sempre non siamo che farina di luce.
Lampeggia, ognuno disperso, il pulviscolo
che siamo stati, come noi nei viali dove né armi
né insegne, riparano, dove né l’oro ci trova, né alla fine la resa.
© Inedito di Mario De Santis
bella poesia ricca di senso e di linguaggio evocativo
L’ha ribloggato su l'eta' della innocenza.