Cominciai presto, a grande distanza,
quando le mie parole erano ancora solo parole.
A ora di pranzo erano diventate pietre,
quando le pietre sembravano troppo leggere
e i miei passi continuavano la memoria
che non riusciva più a tenergli dietro.
La strada era ancora al suo inizio
più incerta a ogni istante
che superava le stesse grigie rocce.
Venni scoperto dalla mia ombra,
quando l’ombra scomparve sotto di me
ma non abbastanza a lungo da fermare il mio discorso.
Ciò che dicevo non riusciva più
a sopportare il peso del tempo che passava.
Perciò avanzavo camminando all’indietro.
Lancio dopo lancio le pietre mi raccoglievano
dal paesaggio sul quale cadevano.
Il senso di tutto divenne il suono
della mia mezza impresa. Non andava.
Non era più possibile camminare
laddove l’incedere era ascoltare la propria fine.
Laddove le pietre pronunciavano forte il proprio peso
e ogni parola soppesava la sua particolare pietra
man mano che le raccoglievo.
Così abbiamo costruito la Casa di Dio.
La casa di Dio (Kolibris, 2014)
Stupenda! Buona giornata.
Giusy
Mi arrischio ad un commento di questi versi che già sono perfetti, per provare a condividere ciò che mi trasmettono. Memoria, parole, il suono (ma solo della propria mezza impresa o della fine) ci tengono lontani dalla luce: l’istante in cui la nostra ombra si ferma e siamo scoperti. Con le pietre costruiamo la casa di dio.
mi affascina il tuo commento e credo non vada lontano dal senso esatto trasmesso dall’autore. grazie a te!
Questa poesia mi fa riflettere sul peso emotivo e sulla via di trasmissione di un testo. Ci sono poesie che mi arrivano dritte al cuore colpendomi e comunicandomi qualcosa. Questa, invece, è più complessa e intellettuale. Almeno nel mio caso, ci vuole uno sforzo per apprezzarla. Banale questione di gusti?