Rossella Tempesta

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Napoli, balcone di via Orazio

Guarda quel che fa la natura, se la lasci in pace.
Fa un suo ordine disordine
tra i vasi trascurati sul balcone, crea legami
di menta rampicante, di ortica
e altre erbe rigogliose,
le malerbe.

In mezzo al caso una scopa di saggina,
l’annaffiatoio rovesciato,
la conca rossa dei panni che ho già stesi
ed il triciclo del mio maschietto piccolo.

Niente vorrei toccare, vorrei abdicare.
Cederei l’arbitrio alla natura,
finalmente.

 

da L’impaziente (Boopen, 2009)

Charles Simic

SIMIC

 

Ragazzo prodigio

Sono cresciuto chino
su una scacchiera.

Amavo la parola scaccomatto.

Il che sembrava impensierire i miei cugini.

Era piccola la casa,
accanto a un cimitero romano.
I suoi vetri tremavano
per via dei carri armati e caccia.

Fu un professore di astronomia in pensione
che m’insegnò a giocare.

L’anno, probabilmente, il ’44.

Il Re bianco andò perduto,
dovemmo sostituirlo.

Mi hanno detto, non credo sia vero,
che quell’estate vidi
gente impiccata ai pali del telefono.

Ricordo che mia madre
spesso mi bendava gli occhi.
Con quel suo modo spiccio d’infilarmi
la testa sotto la falda del soprabito.

Anche negli scacchi, mi disse il professore,
i maestri giocano bendati,
i campioni, poi, su diverse scacchiere
contemporaneamente.

 

Hotel insonnia (Adelphi, 2002), trad. it. Andrea Molesini

Alberto Bertoni

alberto bertoni

 

Vedo i coetanei di mio padre
orientarsi, scrivere, viaggiare
e lui quasi niente
purissimo bianco memoriale
buco vivo che ripete in poco tempo
sei-sette volte la stessa frase
e dopo che mi adora
come l’amore più grande non si sogna

Penso che è lui il poeta
io l’archivista muto
della sua foto con ferrari
in officina, la tua macchiata
di sudore e di unto

 

da Ricordi di Alzheimer (Book, 2007)

Yehuda Amichai

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Quand’ero bambino

Quand’ero bambino
i fili d’erba e gli alberi maestri s’innalzavano sulla riva
e per me lì disteso erano
tutti uguali,
perché salivano al cielo più in alto di me.
Avevo solo le parole di mia madre
come una fetta di merenda avvolta in carta frusciante
e non sapevo quando sarebbe tornato mio padre,
perché oltre la radura c’era un altro bosco.

Ogni cosa porgeva la sua mano,
cozzava un toro nel sole
e di notte la luce delle strade
accarezzava le mie guance e i muri,
e la luna, una grossa anfora, si chinava su di me
a spegnere la sete del mio sonno.

 

Poesie (Crocetti, 2001), trad. it. Ariel Rathaus

Luis Palés Matos

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Mulatta – Antilla

In te, ora, mulatta,
mi rifugio nel tiepido mare delle Antille,
acqua sensuale e lenta di melassa,
porto di zucchero, calda baia,
con la luce in riposo
che indora l’onda pura,
e il ronzio sonnolento di alveare
che fanno i lavori sulla riva.

In te, ora, mulatta,
attraverso il mare delle isole.
Elettrici, felini uragani
nelle tue curve si allungano e raccolgono,
mentre sulla mia barca sta cadendo
la notte dei tuoi occhi, come inchiostro.

In te ora, mulatta…
Oh risveglio glorioso delle Antille!
Forte colore che il do di petto raggiunge,
musica al rosso vivo d’allegria,
calde cantaridi di aroma
– limone, tabacco, pigna –
che fan ronzare ai sensi
le loro voci ebbre di delizie.

Mulatta, ora tu sei
tutto il mare e la terra delle isole,
sinfonia di frutta le cui scale
erompono furiose nel tuo profumo.
Nel suo verde vestito di guanábana
con i fini e molli calzoncini
di mussolina, ecco il caimito,
col suo lette di soprano… Tutti
i frutti, oh mulatta!, tu mi offri
nella chiara baia del tuo corpo
dai soli del tropico brunita.

Oh Cuba! Oh Portorico!
Focose terre liriche…
Oh i caldi rum della Giamaica!
Oh l’aguacate di San Domingo,
e il brodo denso della Martinica!

Ora tu sei, mulatta,
glorioso risveglio delle mie Antille.

 

da Poeti delle Antille (Guanda, 1963), trad. it. Giuseppe Bellini.

Azzurra D’Agostino

azzurra d'agostino

 

Il buio riempie le conchiglie,
unisce i grani della sabbia chiude
gli occhi docili dei cormorani.
Stanno a galla le stelle nell’acqua nera
stropicciate nelle pozze, negli scoli.
Abitare qui è fatica. La fragile domanda,
lo scuro. Tutto questo è fatica.
Nel durissimo del nome solo ci è concesso
di stare. Non distogliere lo sguardo.
Attendere. Non muoversi. Non cercare.

 

da D’aria sottile (Transeuropa, 2011)

Jack Hirschman

jackhirschman

 

L’arcano delle Torri Gemelle

Un lutto tale dal quale
potremmo svegliarci
(essendo stati risvegliati da una tale luce)
per vedere la luce
alla fine:

che noi siamo ora
non più
né meno
ma siamo stati più di altri

una terra violenta

nei nostri mercati monetari
nella nostra “legge ed ordine”
nei nostri “Quotidiani” quotidiani
nei nostri letti

una vita violenta

fingendo un’innocenza impenetrabile
e il potere simbolizzato
da quelle gigantesche
Twins.

La loro distruzione:
sogno di Hitler, sognato persino
prima che fossero costruite,
prima che il suo suicidio
cominciasse a combattere al fianco
del fanatismo religioso.

E noi
che avevamo ereditato tanto
della sua violenza ed anti-comunismo,
noi, che infine abbiamo persino
finanziato l’attacco
alla nostra pretesa innocenza
– noi così a nostro agio
con il fascismo (negato, naturalmente)
con la brutalità (rinnegata naturalmente)
con la libertà sentimentalizzata
da un nucleo di vuoto distruttivo,
disperazione,
cinismo in fondo,

figli di un nichilismo
a stelle e strisce (naturalmente negato e rinnegato)

“dalla California
all’isola di New York”

fratelli e sorelle,
i miei
così tristemente colpiti,
così profondamente colpiti.

 

 

Piera Oppezzo

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La grande paura

La storia della mia persona
è la storia di una grande paura
di essere me stessa,
contrapposta alla paura di perdere me stessa,
contrapposta alla paura della paura.
Non poteva essere diversamente:
nell’apprensione si perde la memoria,
nella sottomissione tutto.
Non poteva
la mia infanzia,
saccheggiata dalla famiglia,
consentirmi una maturità stabile, concreta.
Né la mia vita isolata
consentirmi qualcosa di meno fragile
di questo dibattermi tra ansie e incertezze.
All’infanzia sono sopravvissuta,
all’età adulta sono sopravvissuta.
Quasi niente rispetto alla vita.
Sono sopravvissuta, però.
E adesso, tra le rovine del mio essere,
qualcosa, una ferma utopia, sta per fiorire.

 

da Donne in poesia (Savelli, 1976)

Jan Twardowski

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Ode allo sconforto

Povero sconforto
mostro onesto
t’infastidiscono terribilmente
i moralisti ti fanno lo sgambetto
gli asceti ti prendono a calci
i santi ti fuggono come la peste
i medici prescrivono bustine per farti andar via
ti chiamano peccato
eppure senza di te
sarei sempre sorridente come un maialino nella pioggia
cadrei in un’estasi bovina
disumana
terribile come un’arte senz’uomo
immaturo davanti alla morte
sola accanto a me

 

da Sullo spillo (Ancora, 2012), trad. it. Stefano Radaelli.

Andrea Cati

 

andrea cati

È un pomeriggio di fine estate.
La città è un termitaio abbandonato.
Noi, come sempre, siamo in casa tra libri ed aria condizionata.
Un sottofondo di musica scozzese culla le nostre solitudini.

Ti sfioro appena con la mano ed inizi a piangere.
Poi la commozione diventa piacere.
Il tuo corpo nudo è una tigre bianca
una poesia che insanguina la malinconia.

Luci spente. Sudore. Forse amore.
Tutta la casa, la nostra vita
risucchiata, inghiottita
testimone di questa furia
che spariglia e ci conquista.

 

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