Vicente Aleixandre


Si amavano.
Pativano la luce, labbra azzurre nell’alba,
labbra ch’escono dalla notte dura,
labbra squarciate, sangue, sangue dove?
Si amavano in un letto battello, mezzo tra notte e luce.

Si amavano come i fiori le spine profonde,
o il giallo che sboccia in amorosa gemma,
quando girano i volti melanconicamente,
giralune che brillano nel ricevere il bacio.

Si amavano di notte, quando i cani profondi
palpitano sotterra e le valli si stirano
come arcaici dorsi a sentirsi sfiorare:
carezza, seta, mano, luna che giunge e tocca.

Si amavano d’amore là nel fare del giorno
e tra le dure pietre oscure della notte,
dure come son corpi gelati dalle ore,
dure come son baci di dente contro dente.

Si amavano di giorno, spiaggia che va crescendo,
onde che su dai piedi carezzano le cosce,
corpi che si sollevano dalla terra e fluttuando…
Si amavano di giorno, sul mare, sotto il cielo.

Mezzogiorno perfetto, si amavano sí intimi,
mare altissimo e giovane, estesa intimità,
vivente solitudine, orizzonti remoti
avvinti come corpi che solitarî cantano.

Che amano. Si amavano come la luna chiara,
come il mare che colmo aderisce a quel volto,
dolce eclisse di acqua, guancia dove fa notte
e dove rossi pesci vanno e vengono taciti.

Giorno, notte, occidente fare del giorno, spazi,
onde recenti, antiche, fuggitive, perpetue,
madre o terra, battello, letto, piuma, cristallo,
labbro, metallo, musica, silenzio, vegetale,
mondo, quiete, la loro forma. Perché si amavano.

La distruzione o amore (Einaudi, 1970), trad. it. F. Tentori Montalto

Alfonso Brezmes


Poetica dello sfratto

Mi piacciono quelle poesie
dove non accade nulla
o ciò che accade
resta fuori scena.

Come quelle case vuote
che sono più grandi
dentro che fuori
e ancora conservano i segni
dei loro vecchi inquilini.

O quei vecchi quadri di Hopper
dove sempre accade qualcosa
che sa soltanto lui.

Quando non ci sono (Einaudi, 2021), trad. di Mirta Amanda Barbonetti

Carlos Marzal


Declaración de principios

Todo lo que ha empezado ya no importa,
lo que estrené dejó de interesarme,
regalos abiertos de nuestras ilusiones,
inocencia perdida a quién le importa cuándo.
El principio es el fin, y cualquier medio
para empezar de nuevo nos es lícito.
Lasa palabras se agotan al pensarlas,
qué cansancio insistir, nos han anticipado
cuál será el desenlace de la trama.
No hay posible sorpresa, y lo que nos aguarda
son unos aburridos minutos de basura.

 

*

 

Dichiarazione di principi

Tutto ciò che ho cominciato già non conta,
ciò che sfoggiai cessò d’interessarmi,
doni aperti delle nostre illusioni,
l’innocenza perduta a chi importa quando.
Il principio è la fine, e ogni mezzo
per cominciare di nuovo ci è lecito.
Le parole si sciolgono al pensarle,
i libri si finiscono nei titoli,
che stanchezza insistere, ci hanno anticipato
quale scioglimento della trama.
La sorpresa impossibile, e quello che ci aspetta
sono noiosi minuti di sporcizia.

 

Poesie scelte (Pagliai Polistampa, 2007), a cura di Francesco Luti

Juan Vicente Piqueras

Tutto è pronto: la valigia,
le camicie, le mappe, la fatua speranza.

Mi spolvero le palpebre.
Ho messo all’occhiello
la rosa dei venti.

Tutto è pronto: il mare, l’atlante, l’aria.

Mi manca solo il quando, il dove,
un diario di bordo, le carte
di navigazione, venti a favore,
il coraggio e qualcuno che mi ami
come non so amarmi io.

La nave che non c’è, le mani attonite,
lo sguardo intento, le imboscate,
il filo ombelicale dell’orizzonte
che sottolinea questi versi sospesi…

Tutto è pronto. Sul serio. Invano.

*

Todo está preparado: la maleta,
las camisas, los mapas, la fatua esperanza.

Me estoy quitando el polvo de los párpados.
Me he puesto en la solapa
la rosa de los vientos.

Todo está a punto: el mar, el aire, el atlas.

Sólo me falta el cuándo,
el adónde, un cuaderno de bitácora,
cartas de marear, vientos propicios,
valor y alguien que sepa
quererme como no me quiero yo.

El barco que no existe, la mirada,
los peligros, las manos del asombro,
el hilo umbilical del horizonte
que subraya estos versos suspensivos…

Todo está preparado: en serio, en vano.

Palme (Edizioni Empirìa, 2005), trad. it. M. Canfield, N. Von Prellwitz, L. Blini

Emilio Prados


Possessione luminosa

Come questo vento voglio
essere figura del mio calore
e, lentamente, entrare
dove riposa il corpo tuo
dell’estate, avvicinarmi
a lui senza che mi veda;
arrivare, come polso aperto,
pulsando nell’aria, essere
figura del pensiero mio di te, in sua presenza:
carne aperta di vento,
dimora d’amore nell’anima.
Tu – delicato avorio di sogno,
neve di carne, quiete
di palma, luna in silenzio –
seduta, addormentata, in mezzo
alla stanza. E io, entrando
come acqua chiara, inondarti tutto il corpo
fino a coprirti e, restare
così, integro dentro,
come l’aria in un lampione,
incendiandoti nel mio corpo,
illuminando la mia carne
tutta, ormai, carne di vento.

 

Memoria dell’oblio (Einaudi, 1966), trad. F. Tentori Montaldo

Agustín Fernández Mallo

Si es verdad que un cuadro no es más que una mancha interpretada, fue verdad que tus labios eran peces resucitados al masticar el pescado. Fue verdad aquel meditado movimiento de los cubiertos entre tus dedos. Fue verdad el bisbiseo de la fuente. Fueron verdad tus labios en la mousse, y la copa triangular de cuello alto [pubis transparente], y la esfericidad de tus ojos, y el infinito azul de los pezones, aquella noche. Si es verdad que un cuadro no es más que una mancha interpretada, yo era el intérprete y tú la mancha. [Ahora me pregunto cómo fue posible tanta belleza.]

*

Se è vero che un quadro non è che una macchia interpretata, è stato vero che le tue labbra erano pesci resuscitati nel masticare il pesce. È stato vero quel tuo movimento studiato delle posate tra le dita. È stato vero il bisbiglio della fontana. Vere le tue labbra sulla mousse, e il calice triangolare dal lungo stelo [pube trasparente], e la sfericità dei tuoi occhi, e l’infinito azzurro dei capezzoli, quella notte. Se è vero che un quadro non è che una macchia interpretata, io ero l’interprete e tu la macchia. [Ora mi domando come sia stata possibile tanta bellezza].

Io ritorno sempre ai capezzoli e al punto 7 del Tractatus (Interno Poesia Editore, 2023), cura e traduzione di Lia Ogno

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Ángel Crespo



La voce

In ogni dove emerge una lingua
che in mezzo agli alberi canta, canta.
Sale un voce. Ignoro quanti uccelli
ha la mia voce che vive tra gli alberi.
Ignoro quanta voce ha la mia voce.
Canta al di sotto dei rami più verdi.
Con quei voli che nascenti dalla bocca
mia, canta in fretta in cima alle mie labbra.

Una voce è quel filo che si rompe
quando un uccello passa con volo contorto,
quand’anche un volo non ha voce umana
e affonda il vento in cui un soffione vola.

E non so quanto filo ha la mia voce,
né chissà lasciasse un alone
l’ala della mia voce
che ascende come un volo.
Ma sale fino ai rami
verdi e così li popola
da spezzarli all’istante e calda linfa piove
proprio sulle mie labbra,
uguali alle mie fauci.

 

Rivista “Poesia” (n.195, giugno 2005), traduzione di V. Nardoni

Jaime Siles


Il luogo della poesia

Non sta il poema
nelle tenebre oscure del linguaggio
ma in quelle della vita.
Non sta nelle perfezioni del suo corpo
ma nelle emorragie della sua ferita.
Non sta là dove credevamo che ci fosse
né è immagine unica né fissa.
Sta là dove fugge quel che amiamo:
sta nella sua partenza.
E’ il nostro dire addio a noi stessi
ogni volta incrociando lo stesso angolo.
E’ pagina che muove solo il tempo
con il suo inchiostro uguale ma diverso.
Il poema non sta, no, nel linguaggio
ma nell’alfabeto della vita.

Poesia spagnola del secondo Novecento (Vallecchi 2008) a cura di F. Luti

Pedro Salinas


MUERTO inicial y víctima primera:
lo que va a ser y expira en los umbrales
del ser. ¡Ahogado coro de inminencias!
Heráldicas palabras voladoras
–«¡pronto!», «¡en seguida!», «¡ya!»– nuncios de dichas
colman el aire, lo vuelven promesa.
Pero la anunciación jamás se cumple:
la que aguardaba el éxtasis, doncella,
se quedará en su orilla, para siempre
entre su cuerpo y Dios alma suspensa.
¡Qué de esparcidas ruinas de futuro
por todo alrededor, sin que se vean!

Primer beso de amantes incipientes.
¡Asombro! ¿Es obra humana tanto gozo?
¿Podrán los labios repetirlo? Vuelan
hacia el segundo beso; más que beso,
claridad quieren, buscan la certeza
alegre de su don de hacer milagros
donde las bocas férvidas se encuentran.
¿Por qué si ya los hálitos se juntan
los labios a posarse nunca llegan?
Tan al borde del beso, no se besan.

Obediente al ardor de un mediodía
la moza muerde ya la fruta nueva.
La boca anhela el más celado jugo;
del anhelo no pasa. Se le niega
cuando el labio presiente su dulzura
la condensada dentro, primavera,
pulpas de mayo, azúcares de junio,
día a día sumados a la almendra.

Consumación feliz de tanta ruta,
último paso, amante, pie en el aire,
que trae amor adonde amor espera.
Tiembla Julieta de Romeos próximos,
ya abre el alma a Calixto, Melibea.
Pero el paso final no encuentra suelo.
¿Dónde, si se hunde el mundo en la tiniebla,
si ya es nada Verona, y si no hay huerto?
De imposibles se vuelve la pareja.

¿Y esa mano –¿de quién?–, la mano trunca
blanca, en el suelo, sin su brazo, huérfana,
que busca en el rosal la única abierta,
y cuando ya la alcanza por el tallo
se desprende, dejándose a la rosa
sin conocer los ojos de su dueña?

¡Cimeras alegrías tremolantes,
gozo inmediato, pasmo que se acerca:
la frase más difícil, la penúltima,
la que lleva, derecho, hasta el acierto,
perfección vislumbrada, nunca nuestra!
¡Imágenes que inclinan su hermosura
sobre espejos que nunca las reflejan!

¡Qué cadáver ingrávido: un mañana
que muere al filo de su aurora cierta!
Vísperas son capullos. Sí, de dichas;
sí, de tiempo, futuros en capullos.
¡Tan hermosas, las vísperas!
¡Y muertas!

 

*

 

IL primo morto, vittima iniziale:
quel che verrà ma spira sulla soglia
dell’essere: soffocate imminenze.
Araldiche parole volatrici
– «ora!» «subito!», «già» –, nunzi di gioia
colmano l’aria, che si fa promessa.
Ma quell’annunciazione non si compie:
colei che attende l’estasi, fanciulla,
su quella riva resterà per sempre,
tra Dio e il suo corpo, anima sospesa.
Quante rovine di futuro sparse
vi è tutt’intorno, senza che si veda!

Il primo bacio di futuri amanti.
È cosa umana così tanta gioia?
Riusciranno le labbra a replicarla?
Già volano al secondo; più che un bacio
ricercano chiarezza, la certezza
della capacità di far miracoli
dove le bocche fervide s’incontrano.
Perché se sono gli aliti già uniti
le labbra più non riescono a toccarsi?
Così vicine al bacio non si baciano?

Obbediente all’ardore di quel giorno
la ragazza già addenta il frutto nuovo.
La bocca anela il più segreto succo;
ma resta desiderio: le si nega,
quando già ne avvertiva la dolcezza,
la condensata, dentro, primavera,
polpa di maggio, zuccheri di giugno
sommati in tanti giorni attorno al seme.

Consumazione dopo tanta strada,
ultimo passo del felice amante
che porta amore dove amore attende.
Freme Giulietta: prossimi i Romei;
apre il cuore a Callisto, Melibea.
Ma il piede in aria suolo più non trova.
Se sprofonda il mondo nelle tenebre,
dov’è Verona? E non c’è più orto!
Impossibili incontri nell’alcova.

E una mano – di chi? –, la mano tronca
bianca, per terra, senza braccio, sola,
l’unica aperta cerca nel roseto,
e quando infine ne raggiunge il gambo
si stacca e lascia orfana la rosa
degli occhi accesi della sua padrona.

Supreme contentezze tremolanti,
gioia immediata, spasmo che s’appresta:
la penultima frase, più difficile,
che porta, dritto dritto, verso il giusto,
perfezione intravista, ma mai nostra!
Immagini chinate su uno specchio
che non riflette la loro bellezza!

Che leggero cadavere: un domani
che muore al bordo di un’aurora certa.
Vigilie son germogli. Sì di gioia;
sì di tempo: sono futuri in boccio.
Così belle, le vigilie.
Ora morte.

Zero (Interno Poesia Editore, 2021), a cura di Lia Ogno

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Luis Alberto De Cuenca


Consolatio ad se ipsvm

Cuando te veo triste y melancólico,
próximo ya a la ruina cenicienta,
me permito decirte (en estos versos,
porque a la cara no me atrevería)
que aún respiras (lo que es inevitable
cuando se sigue vivo), que hay películas
todavía que ver, y geologías
caprichosas y océanos en llamas
y tesoros escitas y crepúsculos
que admirar, y novelas que leer,
y connivencias mágicas, y copas
feéricas que apurar. Y aunque no haya
emociones fortísimas, pasiones
consuntivas ni tíos en América
esperando a las puertas del futuro,
hay que intentar vivir hasta la última
bocanada de aire en los pulmones
sin perder la esperanza, sin hundirse
demasiado, sabiendo que la vida
es un horror, y que termina siempre
fatal, y que el silencio está al acecho,
y que la enfermedad nos va minando,
pero que hay que vivir la decadencia
con buen humor, que nuestro praedicabilis
no es otro que la risa –acuérdate
de los viejos autores escolásticos–,
por más que nuestro proprium sean las lágrimas.

 

*

 

Consolatio ad se ipsvm

Quando ti vedo triste e malinconico,
vicino alla rovina delle ceneri,
mi permetto di dirti (in questi versi,
perché in faccia non oserei)
che ancora respiri (cosa inevitabile
quando si è vivi), che ci sono film
ancora da vedere, e geologie
capricciose e oceani in fiamme
e tesori scitici e crepuscoli
da ammirare, e romanzi da leggere,
e connivenze magiche, e coppe
feeriche da vuotare. E nonostante non ci siano
emozioni fortissime, passioni
logoranti né zii in America
in attesa sulla porta del futuro,
bisogna cercare di vivere fino all’ultima
boccata d’aria nei polmoni
senza perdere la speranza, senza sprofondare
troppo, sapendo che la vita
è un orrore, e che finisce sempre
uno schifo, e che il silenzio è in agguato,
e che la malattia ci sta minando,
ma che bisogna vivere la decadenza
di buon umore, ché il nostro praedicabilis
non è altro che il riso –ricordati
dei vecchi autori scolastici–,
per quanto il nostro proprium siano le lacrime.

 

Trad. it. Flora Saki Giordani, Giuseppe Nibali