Interno Poesia a Più Libri Più Liberi

Care lettrici, cari lettori,
da mercoledì 6 a domenica 10 dicembre vi aspettiamo a Più Libri Più Liberi, al centro congressi “La Nuvola” di Roma, con il nostro catalogo, le novità editoriali e le shopper di Interno Poesia.

Dove trovarci? STAND G08

I nostri 3 incontri in programma:

🔴 Mercoledì 6 dicembre, ore 14:00 – Sala Giove
“La via delle comete” di Marina Cvetaeva
Presentano Valeria Bottone e Gisella Blanco
Link evento: https://plpl.it/event/la-via-delle-comete/
Link libro: https://internopoesialibri.com/libro/la-via-delle-comete/

🟠 Giovedì 7 dicembre, ore 14:30 – Sala Nettuno
“Mio cuore” di John Keats
Presentano Luca Alvino e Carlo Carabba
Link evento: https://plpl.it/event/mio-cuore/
Link libro: https://internopoesialibri.com/libro/mio-cuore/

🟡 Venerdì 8 dicembre, ore 12:00 – Sala Giove
“Metroromantici III” di Poeti der Trullo
Presentano Graziano Graziani, Francesco Giordano, Lorenzo Parrotto, Riccardo Parravicini e Roberta Azzarone
Link evento: https://plpl.it/event/poeti-der-trullo-i-metroromantici/
Link libro: https://internopoesialibri.com/libro/metroromantici-vol-3/

Firmacopie previsti nel nostro stand:

Giovedì 7 dicembre:
Giacomo Rech con “Melitta”, ore 10:00
Lorenzo Maragoni con “Poesie, però non troppo”, ore 18:00

Sabato 9 dicembre:
Andrew Faber con “Ti passo a perdere”, ore 11:00
Anna Segre con “La distruzione dell’amore”, ore 12:30
Matteo Pelliti con “Scrivere sul margine”, ore 15:30

 

A presto ❤️

Emily Brontë

Illustrazione: © Valeria Puzzovio

Io vedo intorno a me sepolcri grigi
allungare profili d’ombre scure.
Sotto la terra che preme il mio passo
soli e profondi i morti silenziosi
riposano nel grembo della zolla,
per sempre oscuri, gelidi per sempre.
E dai miei occhi sgorgano le lacrime
che alla memoria hanno serbato gli anni.
Tempo, Morte e dolore al cuore danno
ferite che non so rimarginare.
Se rammento anche solo la metà
delle sventure che ho patito, il cielo
così puro e beato non darà
al mio spirito stanco alcun sollievo.
Dolce campo di luce! I tuoi bei figli
non conoscono la disperazione:
non han provato, non posson sapere
da quali ospiti tetri sia abitata
ogni umana prigione, quali lacrime,
folli tormenti e torbidi peccati!
Vivano pure la sublime ebbrezza
di un’infinita eternità di gioia;
noi non vogliamo certo trascinarli
a rodersi con noi dei nostri tarli.
No, la Terra non vuole che altre sfere
assaporino il suo liquore amaro;
lei distoglie dal Cielo il suo incurante
sguardo e si duole perché noi moriamo!
Quale conforto ti si potrà dare,
madre, in questa miseria senza fine?
Per allietare i nostri ansiosi occhi
ti vediamo sorridere affettuosa,
ma chi non legge dietro quella luce
la tua profonda indicibile pena?
In verità nessun cielo radioso
ti ruberà l’amore dei tuoi figli.
Noi tutti nel congedo dalla luce
coi tuoi mischiamo i desideri estremi,
e ancora ci struggiamo di comporre
l’amato viso con occhi annebbiati.
Questa casa nativa non vorremmo
lasciare per un luogo oltre la tomba.
No, ma piuttosto nel tuo grembo mite
distenderci in un lungo quieto sonno;
o svegli, condividere con te
la nostra parte d’immortalità.

 

*

 

I see around me tombstones grey
Stretching their shadows far away.
Beneath the turf my footsteps tread
Lie low and lone the silent dead;
Beneath the turf, beneath the mould,
Forever dark, forever cold.
And my eyes cannot hold the tears
That memory hoards from vanished years.
For time and Death and mortal pain
Give wounds that will not heal again.
Let me remember half the woes
I’ve seen and heard and felt below,
And heaven itself, so pure and blest,
Could never give my spirit rest.
Sweet land of light! thy children fair
Know nought akin to our despair;
Nor have they felt, nor can they tell
What tenants haunt each mortal cell,
What gloomy guests we hold within,
Torments and madness, tear and sin!
Well, may they live in ecstasy
Their long eternity of joy;
At least we would not bring them down
With us to weep, with us to groan.
No, Earth would wish no other sphere
To taste her cup of suffering drear;
She turns from Heaven with a tearless eye
And only mourns that we must die!
Ah mother, what shall comfort thee
In all this boundless misery?
To cheer our eager eyes awhile
We see thee smile, how fondly smile!
But who reads not through the tender glow
Thy deep, unutterable woe?
Indeed no darling land above
Can cheat thee of thy children’s love.
We all in life’s departing shine,
Our last dear longings blend with thine,
And struggle still and strive to trace
With clouded gaze thy darling face.
We would not leave our nature home
For any world beyond the tomb.
No, mother, on thy kindly breast
Let us be laid in lasting rest,
Or waken but to share with thee
A mutual immortality.

La musa tempestosa (Interno Poesia Editore, 2023), a cura di Silvio Raffo

Acquista ora

Pierluigi Cappello

Ph. L. d’Agostino

Piangere non è un sussulto di scapole
e adesso che ho pianto
non ho parole migliori di queste
per dire che ho pianto
le parole più belle
le parole più pure
non sono lo zampettio delle sillabe
sull’inverno frusciante dei fogli
stanno così come stanno
né fuoco né cenere
fra l’ultima parola detta
e la prima nuova da dire
è lì che abitiamo.

Assetto di volo (Crocetti, 2006)

Edith Irene Södergran


La mia anima era un vestito azzurro color del cielo;
l’ho lasciato su una rupe, presso il mare,
e nuda son venuta a te, somigliando a una donna.
E come una donna mi son seduta alla tua tavola
e ho bevuto una coppa di vino, ho respirato il profumo di rose.
Mi hai trovato bella, che somigliavo a qualcosa visto in sogno,
ho dimenticato tutto, dimenticato la mia infanzia e la mia patria,
sapevo soltanto che le tue carezze mi tenevano prigioniera.
E tu sorridente hai preso uno specchio, m’hai invitato a guardarmi.
Io ho visto che le mie spalle erano di polvere e andavano in briciole,
io ho visto che la mia bellezza era malata e senza più volontà – svaniva.
Oh, tienimi chiusa fra le tue braccia, così forte ch’io non abbia bisogno di nulla.

La luna e altre poesie (Via del Vento, 1995) trad. it. Daniela Marcheschi)

Michael Krüger


Cosa c’è ancora da fare

per il settantesimo di Peter Handke

Raccogliere le noci
prima che se le prenda lo scoiattolo;
mettere l’ombra in sicurezza,
parlare con la matita
quando questa rifiuta le parole;
non voler trovare il nemico
che cova nel non-pensato;
leggere nelle nuvole
nell’interminabile epos
su forma e trasfigurazione;
togliersi il sasso dalla fronte;
fare allo stupore la grazia di una proroga.

E non dimenticare: di andare nel posto
dove si è cacciato il libro,
il libro con le pagine vuote,
il libro vuoto, il libro.

Spostare l’ora (Mondadori, 2015), trad. it. A. M. Carpi

Giuseppe Ferrara


Carpe locum

Ho detto che resterò qui ad amarti
e non che t’amerò per sempre
perché al tempo preferisco lo spazio,
cogliere un posto invece dell’attimo.
Non tanto dunque quanto durerà,
ma dove e come ti sarò vicino:
è più confacente a ingannare il tempo.

Vertrebe sacrali (Interno Libri Edizioni, 2023)

Acquista ora

Mauro Liggi


Punto
Croce
Seduta nel divano
gli occhiali in bilico sul naso
in terra gomitoli blu
divorati dai tuoi ferri da maglia
le dita instancabili
ogni tanto un sorriso per misurarmi
o un rimbrotto se giocavo a distrarti
mentre controllavi l’intreccio bisbigliando
in grembo il disegno che doveva guidarti.
Punto.
Croce.
Vorrei ora quel maglione caldo,
che pizzicava sempre un po’,
con i nodi a grana di riso
il blu accecante.
Punto.
Il colletto ampio
che a me non piaceva
i polsini enormi
io che pesavo quaranta chili
le spalle troppo larghe.
Croce.
Poi alla fine
Sferruzzavi anche di notte
a tempo delle preghiere
fino a sfinirti
e la mattina era dopo perfetto.
Punto.
Croce.
Come vorrei indossarlo ancora
per scaldare la tua mancanza
e sulle spalle portare
il gravoso cercarti
la mia pesante
Croce
Punto.

 

Inedito

Giuseppe Conte


Lettera a Giuseppina Biondo

Anch’io la ringrazio cara Giuseppina
Biondo per avermi ringraziato come uno
dei primi lettori “ufficiali” del suo
Lingua di mezzo:
ma creda, io un tipo tanto ufficiale
non sono, neppure come lettore.
Leggo talvolta in fretta, senza cuore,
saltando pagine, fiutando appena
quando intuisco la lagna, la tiritera,
l’ineffabilità programmata
e un’anima narcisa e piccolina.
Non è il suo caso, cara Giuseppina
Biondo. Il suo libro l’ho letto
tre volte, l’ho appuntato con la biro
scarabocchiandolo di asterischi
di sottolineature tremolanti e di punti
interrogativi. L’ho letto e riletto
immerso nella vita e nel linguaggio, sporcato
dalla mia angoscia e dalla mia gioia
(oh i poeti che non puntano alla gioia,
come posso credere al loro dolore?)
dal mio pansessualismo, dalla mia
sacra erotomania
di cui non mi pento né vergogno,
no davvero non mi sogno
di rinnegare il da tutti incompreso
Sesso e apocalisse a Istanbul
o poesie come quell’apocrifo
Cantico dei Cantici ipersensuale
che comincia: “Vuoi venire con me
sino alle vigne di Noè?”
Lei ha scritto un libro fresco, magnifica-
mente giovane e ambiguo e nitido e cruciale.
È un libro d’amore che fa mondo
dove si sente la voce di Catullo sullo sfondo
con sovrana chiarezza latina,
non un libro di lirismo tradizionale, niente
di effusivo, piangente, oracolare
un libro di baci, di sguardi, di brame
ambigue e fluide, sapiente e innocente,
dove lingua di mezzo è certo in primis
quella che introduce la schwa
a saldare vecchi conti con il maschilismo
della grammatica, per carità,
ma dove lingua di mezzo finalmente
è anche la lingua che uscendo da una bocca
si mescola a un’altra lingua, nell’atto più
torbido e lieve e intimo sulla via dell’eros.
“Da grande vorrei rubare baci”
è un suo strepitoso proposito monello,
“se oggi riuscissi a baciare le labbra”
non c’è per un umano sogno più bello.
C’était le jour béni de ton premier baiser,
ricorda Mallarmé?
Come dare di lei Giuseppina una definizione:
principessa, maschiaccio, una che in ovulazione
beve tanta acqua, una cui piace sorridere
maliziosamente (cosa che mi sorprende,
io sul suo volto avevo sempre visto
una infantile e sana
fiera innocenza siciliana).
È lei che ha inventato la “collaudatrice
di labbra”, figura metaforica straordinaria,
con un affondo etimologico sul rapporto
con laudare, giusto per mantenere
alto il livello di auto consapevolezza del suo
nuovo linguaggio. Fatto anche di
aule di scuola, studenti, metropoli,
e comunicazione social,
forse ormai inevitabili?
Persefone è giustamente una ragazza di oggi
ed ha un caschetto castano ed è permalosa,
(epifania mitomodernista bella e golosa)
Whitman nel suo libro appare gigante,
letto in tre traduzioni tra le tante
di cui almeno una spero sia la mia.
E la schwa, la donna dello schermo,
il sapiente espediente, il tributo
alla sessualità fluida del tempo
che ha acceso – così mi ha scritto
lei e mi hanno detto giovani poeti
un po’ platonicamente innamorati
di Joséphine – intorno al libro tanta polemica.
Ma perché? La schwa in mano a Giuseppina
non è mica così ideologica e brutale
è aerea, giocosa, tormentosa, bambina,
non una rivendicazione ma una pratica
comunicativa e non priva di astuzie
e di garbo poetico, ludico, festoso:
“tutt*, ma davvero tutt*
guardavano il cellulare”
ragazze e ragazzi, senza eccezione
(mi scusi, non ho la e rovesciata
o non la trovo sulla mia tastiera
mentre scrivo ascoltando in cuffia
Radio swiss jazz, Speak to me of you
di Freddy Cole in questo preciso momento).
Ho provato a leggere ad alta voce
mi è venuto fuori un mezzo accento
abruzzese o pugliese che non mi riguarda,
più da coglione
che da Checco Zalone.
Oh Giuseppina Biondo, autrice
di un libro così nuovo e importante
Oh Giuseppina Biondo, le parolacce sono tante
e per mia esperienza le dicono * ragazz*
e le diciamo tutti, e che cazz*
e anche a me piacciono in letteratura
ma clamorose, precise, gioiose
per intenderci alla Henry Miller
non rastremate e rivendicative
come quelle che usano Valduga e Nove.
Ma il trash no, quello no, lei, proprio lei
così elegantemente sospesa sulla neutralità
della lingua, sulla fluidità del sesso,
il trash all’italiana no, la prego, mi ci manca
più Tommaso Labranca.
E se trash deve essere, che sia
quello del primo film della trilogia
di Paul Morrisey prodotta da Andy Wharol,
Trash, seguito da Flesh e Heat
in cui giganteggia il non attore
e tutto cazzo Joe Dallesandro,
da riscoprire.
Lei Giuseppina, non si spaventi.
Vada per la sua strada contro i venti
delle polemiche e contro la calma piatta
del presente. Sia oscura, solare, ambigua
e chiara. Scriva quello che sente.
Sorrida ancora maliziosamente!
Scriva d’amore, non c’è mica tanto altro
su cui scrivere al mondo.
“Ogni verso è un lungo precipitare.
E io voglio amare, amare, amare”.
Così, con queste urla rimate
lei che è capace di assonanze sofisticate
come quella tra “snitcha” e “addice”.
Continui così, glielo dice
in questa lettera del tutto innocente
il vecchio barbuto Doktor Conte
suo lettore non ufficiale
che l’amore per la poesia
non l’ha tradito mai.
Scriva ancora così:
“Innamorati. Innamorati, dai”.

Inedito

Francesca Serragnoli

Ph. Daniele Ferroni

Camera 9

Si sono accorti della mia disperazione
loro lo sguardo
cioè niente

lo sguardo di ognuno
che non sa chi è l’altro

quella bifora gelata

quel portone fermato
dal legnetto delle tue mani

l’arcata viva della tua schiena
i fiori di plastica
davanti a Sant’Antonio

loro che non sanno chi è l’altro
che accendono una candela
sfregandosi i capelli

loro l’ospedale dei guardati
gli intubati di Dio

in quel viso sgangherato
legato a una cordicella
qualcuno getta
un pugno di semi
e li chiama con un fischio.

Non è mai notte non è mai giorno (Interno Poesia Editore, 2023)

Acquista ora

Innokentij Fëdorovič Annenskij


Io sono al fondo, sono un triste frantume,
sopra di me l’acqua verdeggia.
Ma non vi sono strade per uscire
dalle pesanti tenebre di vetro.

Rammento il cielo, i zigzag del volo,
il bianco marmo con la sua vasca,
rammento il fumo degli zampilli,
tempestato di azzurro fuoco…

Se debbo credere ai bisbigli di delirio
che angosciano la mia detestabile quiete,
lassú per me si strugge Andromeda
dal bianco braccio mutilato.

Poesia russa del Novecento (Guanda, 1954), trad. it. A. M. Ripellino