Anna Achmatova

Achmatova
Dio non ha pietà di mietitori e ortolani,
cadono sghembe piogge tintinnando,
screziano i larghi manti alle acque
che già specchiavano il cielo.

Prati e campi in un regno subacqueo,
cantano, cantano liberi rivi,
sui rami enfiati scoppiano le prugne
e le erbe, piegate, imputridiscono.

E attraverso la fitta grata d’acqua
scorgo il tuo caro viso,
il parco tacito, il chiosco cinese
e la tonda veranda innanzi casa.

 

La corsa del tempo (Einaudi, 1992) a cura di M. Colucci

Anna Achmatova


Ho imparato a vivere con semplicità, saggezza,
A guardare il cielo e pregare il Signore,
E prima di sera vagare lungamente
Per stancare un’inutile angoscia.

Quando fruscia nel burrone la bardana
E il grappolo del sorbo giallo-rosso appassisce,
Compongo versi pieni di gaiezza
Sulla vita caduca, caduca e bella.

Ritorno. Mi lecca la mano un piumoso
Gattino, fa le fusa più lusinghevole,
E un lume vivo si accende
Sulla torretta alla segheria del lago.

Solo di rado rompe la quiete il grido
Della cicogna che si posa sul tetto.
– E se tu picchi allora alla mia porta,
Mi pare che nemmeno potrò udire.

Rosario, 1914, traduzione di Bruno Carnevali e Paolo Galvagni

Anna Achmatova


Dedica

Davanti a questo dolore si curvano monti,
Non scorre un gran fiume,
Ma sono solide le serrature del carcere,
E dietro di esse i “covi dei forzati”,
E una malinconia di morte.
Per quanto alita un vento fresco,
Per qualcuno si addolcisce il tramonto,
Non sappiamo, siamo ovunque le stesse,
Sentiamo solo l’odioso scricchiolio delle chiavi
E i passi pesanti dei soldati.
Ci alzavamo come una messa mattutina,
Camminavamo per la capitale inselvatichita,
Là ci incontravamo, più esanimi dei morti,
Il sole più basso, e la Neva più nebbiosa ,
Ma la speranza canta sempre in lontananza.
La condanna…E subito scorrono le lacrime,
Da tutti ormai allontanata,
La vita è come strappata dolorosamente dal cuore,
Gettata brutalmente supina,
Ma va avanti… Barcolla… Sola…
Dove sono ora le amiche occasionali
Dei miei due anni infernali?
Cosa scorgono nelle nevi siberiane?
Cosa intravedono nel disco della luna?
Mando loro il mio addio.

Marzo 1940

Traduzione di Paolo Galvagni, “Rivista Poesia” n. 57, dicembre 1992

Anna Achmatova

In giardino la musica suonava

In giardino la musica suonava
un suo inesprimibile dolore.
Fresco ed aspro sentore di mare
esalavano le ostriche nel ghiaccio.

Mi ha detto: “Sono un amico fedele!”
ed ha toccato il mio vestito.
Com’è diverso da un abbraccio
il contatto di queste mani.

Così si lisciano gatti o uccelli,
così si guarda a flessuose amazzoni…
Solo un riso negli occhi tranquilli
sotto l’oro leggero delle ciglia.

Ma le voci di mesti violini
cantano, dietro un velo di fumo:
“E dunque benedici i cieli: sei
la prima volta sola con l’amato”.

 

La corsa del tempo. Liriche e poemi (Einaudi, 1992), trad. it. Michele Colucci

Arsenij Tarkovskij


Il manoscritto

Ad Anna Achmatova

Ho finito il libro ed ho detto basta
non posso più rileggere il manoscritto.
Il mio destino si è bruciato tra le righe
mentre l’anima cambiava rivestimento.

Così il figliol prodigo si strappa la camicia dalle spalle
così il sale dei mari e la polvere delle strade terrestri
benedice e maledice il profeta,
che da solo camminava sugli angeli.

Io sono quello che ha vissuto al suo tempo
ma non ero io. Io il più giovane della famiglia
degli uomini e degli uccelli, io ho amato insieme a tutti

e non abbandonerò il banchetto dei viventi –
diretto sigillo del loro onore familiare,
diretto vocabolario dei legami di radice.

 

Stelle sull’Aragaz (Erevan, 1988), trad. it. Donata De Bartolomeo

Anna Achmatova

Anna Achmatova

Risposta

a V. A. K.

Quali strane parole mi ha portato
la serena giornata di aprile.
Lo sai, dentro di me era ancora viva
l’orrenda settimana di passione.

Non ascoltavo i suoni che fluivano
per il limpido azzurro.
Echeggiò sette giorni: ora un riso di bronzi,
ora un pianto argentino.

Ed io, coprendomi il viso,
quasi per un eterno abbandono,
giacevo ed attendevo quella cosa
che ancora non si chiamava tormento.

 

La corsa del tempo (Einaudi, 1992), trad. it. M. Colucci

Anna Achmatova

anna ach

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il giorno d’estate

Anelo le rose di quel giardino unico,
dove sta la migliore cancellata del mondo,

dove le statue mi ricordano giovane,
e sull’acqua della Nevà io ricordo loro.

Nel silenzio fragrante, fra tigli regali,
quasi avverto il cigolio di alberi di nave.

E, innamorato della bellezza del suo sosia,
come prima il cigno, nuotando, solca i secoli.

E dormono esanimi mille e mille passi
di nemici e amici, di amici e nemici,

e non scorgi la fine del corteo di ombre,
dal vaso di granito alle porte del palazzo.

Là le mie notti bianche mi sussurrano
di un amore alto e segreto.

E tutto arde di madreperla, diaspro,
ma arcana e nascosta è la fonte di luce.

 

La corsa del tempo (Einaudi, 1992), trad. it. M. Colucci