Charles Bukowski

i piaceri dei dannati

i piaceri dei dannati
si limitano a rapidi momenti
di felicità:
come gli occhi di un cane che ti guarda,
o uno slargo di cera,
come un incendio ghermisce il municipio,
la contea,
il continente,
come un incendio ghermisce i capelli
di vergini e di mostri;
e il mormorio dei falchi sugli alberi di pesco,
il mare che gli scorre fra gli artigli,
il Tempo
ubriaco e madido,
e tutto in fiamme,
tutto bagnato,
tutto va bene.

 

Le ragazze che seguivamo (Guanda, 2006)

Maurizio Cucchi


In questa ruggine desertica,
in questo antico sgagnare e usmare,
su questo marciapiede dove assorbo
la media quiete e la passiva
mediocrità innocua e gentile del mondo,

io vorrei prosperare nell’oblio
che disdegna nella sua salute
l’azione, l’azione che non ricada
nell’inerzia, in proprio dentro un sé.

Muovendo indietro il capo nel saluto,
il più caro, io mi vedevo già, davanti alle vetrine
del sarto e del barbiere chiuse, munito
del mio poco bagaglio di viaggiatore vile.

 

Sindrome del distacco e tregua (Mondadori, 2019)

Foto di Dino Ignani

Vivian Lamarque


Cucchiaini

A tavola
per non parlare da sola
ha parlato con le sue posate
per tutta l’infanzia
per tutta l’adolescenza
con la signora forchetta
e suo marito il coltello
per tutti i pranzi
e tutte le cene
poi è diventata grande
non ha più parlato inossidabile
quasi più è tornata nel cassetto
dei feroci bambini cucchiaini.

 

Una quiete polvere (Mondadori, 1996)

Foto di Dino Ignani

Teresa Murgida


Battiti e radici

A volte di notte
sento il tuo cuore respirare
sotto gli strati di pelle.
Potrei toccarlo con le dita.
Vedo la fragilità del corpo
annuso la potenza dei battiti.
Le tue palpebre abbassate
sono sentinelle stanche
io candela del tuo sonno.
Crescono radici tra le costole
germinano i semi nelle vene.
Aspetto i rumori del risveglio
il vento sulle tende:
folate di luce negli occhi.

 Il filo quotidiano (Compact, 2019)

Juan Rodolfo Wilcock


Consiglio

Ripudiamo la facilità
come si allontana un serpente;
la facilità dissolvente quasi-verità.

Del pensiero troppo ordinato
scoraggiamo la seduzione;
negli eccessi dell’argomentazione
non sperperiamo il nostro legato.

Cerchiamo soltanto di stessere
dal tessuto di ogni ora
ciò che ci nutre, ciò che c’incuora,
l’universalità dell’essere.

 

da Poesie (Adelphi, 1980)

Walter Benjamin

Quale misura dare a questa solitudine?
se il dolore mi impartisse ancora i vecchi colpi
quella nudità essi l’un con l’altro coprirebbero
la sua vesta era il ritmo innominato

ma ora io soffro il tempo inerme
con un moto in cui nulla lascio scorrere
la mia intera marea si perde nella sua misura
più non piange il cuore pur se la bocca grida

quando ci sarà del mio dolore un anno nuovo
e quando sarò vicino ancora alla tristezza
per la quale languisco nei giorni resi sordi

ah quando arderà nel suo colore nero
al capo d’anno come la vidi un tempo
la vasta cicatrice dell’agosto in fiamme?

 

da Sonetti e poesie sparse (Einaudi, 2010)

Giuseppe Conte


Quando sono lontano da te, mare, io ti vedo.
Dove un soffio nell’aria simile a un sibilo
spezza la terrena staticità delle cose.
Ti ho visto tra le cime dei pioppi tremuli
delle Montagne Rocciose
che si piegavano sotto un vento sciamano
con un cupo, continuo fischiare lontano.
Ti ho visto nella distesa del deserto
tinto di viola, sfumante, eclettico
del New Mexico
ondoso sotto l’orizzonte come te.
E nei laghi senza sponde, asciutti, salati,
miraggi rosati che appaiono e scompaiono
tra Kerman e Shiraz, in Iran.

 

Non finirò di scrivere sul mare (Mondadori, 2019)

Giovanni Raboni


Sì, ricordo: chi viene dalla notte
ha il suo segno di luce, vivo o spento,
cerchio ovale o losanga, e il suo lamento
o il suo silenzio nelle appena rotte

tenebre della strada. Ma non sento
se era a dinamo o a pila la tua spora,
anima, quando non essendo ancora
mi sfioravi nel buio come un vento.

Versi guerrieri e amorosi (Einaudi, 1990)

Hilary Tiscione


Barbarie

Incrociano le piastrelle
e fondono i punti
la pelle chiara cattura il caso
e le suole deboli finite vicino il ciglio calvo del muro
hanno le corde ferme gli arnesi quieti
si chiude tutto intorno il telaio e la fortezza
mancanza d’ombra
difetto del chiaro
secreto il vizio d’umore
pregano gli indici
vibra il velo di voce di una maniglia che apre
crolla un filo d’aria
rinvia la luce un pezzo di vetro
si compiono i minuti di un’ora
barbarie

 

Inedito

Jaroslav Seifert

Conversazione con la morte

Tu, che vali più che l’oro vale,
tu, che tutto hai che non torna,
ogni peso del mondo, tu stessa senza peso,
tu, che con crudeltà comandi di portare
a ogni vivo dolore, tu stessa senza dolore,
tu, che giungi sicura della preda,
tu, a cui nessuno mai è pronto,
tu, morte, sempiterna ballerina del vivere,
tu, da cui salvezza non può trovare
l’acciaio, la statua e il tempio,
tu, dei morti la guida nell’ignoto,
tu, senza mutazioni l’unica al mondo,
ecco: questo è il corpo morto sull’affusto,
prendilo, la cosa più bella offre
a te questo popolo che piange
in questo morto più di quanto forse poteva offrirti,
tu, che tutto hai che non torna,
prendilo dentro il grembo profondo
dove nel buio mai l’alba trapela,
che il morto giusto ora trovi riposo.

Sulla tua tomba sta un popolo vivo.

 

Vestita di luce. Poesie 1925-1967 (Einaudi, 1986)