Emily Dickinson


If I can stop one Heart from breaking
I shall not live in vain
If I can ease one Life the Aching
Or cool one Pain

Or help one fainting Robin
Unto his Nest again
I shall not live in vain.

 

*

 

Se posso impedire a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano
Se posso alleviare a una vita il dolore
o smorzare una pena

o aiutare un languente pettirosso
a rientrare nel nido
non avrò vissuto invano.

 

La mia lettera al mondo (Interno Poesia Editore, 2019), cura e traduzione di Andrea Sirotti

Ksenja Laginja


Di tutte le parole scritte e pronunciate
restano alcune lettere stipate in fondo a un cassetto
minuscole geografie riposte tra le pagine
quelle di cui avevamo sentito il bisogno
scritte perché se ne facesse buon uso
la cui attesa era l’ambito premio.

Il cassetto è chiuso da allora
della chiave non abbiamo più saputo nulla
e ora solo la pietra ha memoria di tutto questo
come una radice che si ostina a non voler morire.

 

Inedito

Foto di Giulio De Paoli

Nicanor Parra


Il premio nobel

Il Premio Nobel per la Lettura
lo dovrebbero dare a me
che sono il lettore ideale
e leggo tutto ciò che trovo:

leggo i nomi delle strade
e le insegne luminose
e le pareti dei bagni
e i nuovi elenchi dei prezzi

e la cronaca nera
e i pronostici del Derby

e le targhe delle auto

per un tipo come me
la parola è una cosa sacra

signori membri della giuria
che ci guadagno a mentirvi
sono un lettore incallito
leggo tutto – non salto
neppure gli annunci economici

certo che ora leggo poco
non dispongo di molto tempo
ma cavolo se ho letto
per questo chiedo che mi diate
il Premio Nobel per la Lettura
al più presto impossibile

 

L’ultimo spegne la luce (Bompiani, 2019), a cura di Matteo Lefèvre

Dannie Abse

Visita d’inverno

Ora che lei ha novant’anni passeggio nel parco
dove i soliti pavoni non stridono dal gran freddo
e luci vicine si accendono prima che diventi buio.

Avrò il coraggio di affermare, con lei così debole e anziana,
che da un pallido puntino di sperma di pavone
vengono tutti i colori di una coda di pavone?

Lo faccio. Ma lei come la Sibilla dice, “Vorrei morire”;
poi si lamenta, “Sono quasi morta, quest’inverno, figlio mio”.
E poiché è vero mi viene da piangere.

Ma non devo (solo il Nulla dura),
perché io abito il camice bianco non quello nero,
anche adesso – e non sono abilitato a piangere.

Così parlo di piccole cose approssimative,
di quattro fenicotteri che ho visto nel parco,
stavano su una zampa, sul ghiaccio, la testa sotto l’ala.

 

C’era due volte (Mobydick, 2003), trad. it. A. Bianchi, S. Siviero

Leonardo Sinisgalli


È nostro ancora questo fioco
lume della sera, un barbaglio
sulle cime dei lecci. Il fuoco
nella stanza si consuma;
(un sommesso
brusìo disperde la tua vigilanza)
e appena ti lambisce svampa
la veste: un ardore
ti difende dalla fiamma come la foglia
sempreverde. Tremi
ora che gli orti
devasta la tramontana
e ne patisce dietro i lividi vetri
la pigra passiflora.

 

Tutte le poesie (Mondadori, 2019)

Giovanna Bemporand


L’anima mia che ha tristezze d’aurora
e di tramonto, e il gusto della morte,
non più tenuta viva da illusioni
piange sommessa al clamoroso mare
come un fanciullo triste, abbandonato
senza difesa a tutti i suoi terrori.
Ma quando il sole un riso di rubini
mi semina tra i solchi della fronte,
spiegano i sogni un volo di gabbiani!
Persa in un mondo di gocce d’azzurro
e di freschezza verde, annego in questo
mare più dolce dell’oblio l’angoscia
cupa degli anni tardi, in cui presento,
rammaricando, che il mio tempo è morto.

 

Esercizi vecchi e nuovi (Sossella, 2010)

Gianni Montieri


Mi interessa il futuro
sapere come diventeranno
le sedie, le poltrone
con cosa le sostituiremo
se ci invecchieremo sopra
immaginare i libri a venire
accanto a quali staremo
sapere se tutto questo
precipitare finirà
se arrivati sull’orlo
tireremo indietro il piede
e voltandoci vedremo punti
grigioazzurri ognuno mancanza
ognuno cosa perduta.

 

Le cose imperfette (LiberAria, 2019)

Heinrich Böll


La mia musa sta sull’angolo della via
dà a ciascuno quasi per niente
ciò che io non voglio
quando è allegra
mi regala ciò che vorrei
rare volte l’ho vista allegra.

La mia musa è una suora
nella casa oscura
dietro doppie inferriate
mette presso il suo Diletto
una buona parola per me.

La mia musa lavora in fabbrica
quando ha finito di lavorare
vuol andare a ballare con me
ma io
non finisco mai di lavorare

La mia musa è vecchia
mi picchia sulle dita
strilla con bocca coriacea
è inutile matto
matto è inutile

La mia musa è una donna di casa
non biancheria
nell’armadio ha parole
Raramente ne apre le ante
e me ne porge una.

La mia musa ha la lebbra
come me
ci baciamo via la neve
dalle labbra
ci dichiariamo mondi

La mia musa è una tedesca
non mi dà alcuna protezione
solo se mi bagno nel sangue del drago
mi posa la mano sul cuore
cosí resto vulnerabile.

 

La mia musa (Einaudi, 1974), trad. it. A. Chiusano

Marija Sukovic


Neka meso ispašta

ja nisam ono što bi poželio voljeti
tek što možeš da me vidiš valjalo je truda

jer ne zalistah u saksiji gdje me posadiše
ja sam divlja biljka
odbjegla u drumove da diše
kamene cipele i razlog buntovnika
apstraktna slika
isklijala avangarda u bašti krompira
uskok preko reda, utroba nemira

dok vaše stvarnosti zaziru od isteka
ja sam rijeka, ja sam hladna rijeka

zaobiđite me uštirkani, ovo je pjesma smrada
ja sam nokat koji urasta i ne marim

neka meso ispašta

 

*

 

Che la carne marcisca

Non sono quella che io vorrei amare
ma riuscire appena a vedermi è valsa la pena

perché non sono sbocciata nel vaso in cui mi hanno interrata
io sono una pianta selvatica
che fugge, per respirare, sulla strada
sono scarpe di pietra e ragione indomita
immagine utopica
avanguardia germogliata tra le patate del verziere
che travalica il confine, con l’agitazione nelle viscere

mentre le vostre realtà destinate sono ad una fine
io sono un fiume, un freddo fiume

girate alla larga fighetti, questa è una poesia puzzolente
sono l’unghia incarnita, e me ne infischio

che marcisca la carne

 

(traduzione di Paolo Maria Rocco)

Umberto Fiori


Località

Dopo lo svincolo,
dove la provinciale incomincia a stringersi
tra i filari di gelsi, ti viene incontro
la cancellata di un condominio
e poi – sulla sinistra – una cascina
con un distributore,
un bar, una bottega di orologiaio.

Non è un paese,
neppure una frazione: dodici case
saranno, su un lato e l’altro del rettilineo.
Una località.

Lì tutte le mattine
siamo in colonna.

In mezzo a una cucina, a pianterreno,
una donna sta ferma
con un vassoio in mano.
Da un marciapiede largo
meno di uno zerbino
due ragazzine ci vedono
chiusi dentro le macchine,
i motocarri, le corriere, i camion.
Da vicino, ci vedono, e anche noi
le vediamo
dondolare sui tacchi.

Passare non si può.
Stare, nemmeno.

Niente si muove, nessuno. Solo la luce
sui cofani, sui muri, sui capelli,
diventa sempre più chiara.

 

Poesie 1986 -2014 (Mondadori, 2014)