Giorgio Santangelo: (Foggia, 1990), studi letterari alle spalle ed esperienze in alcune librerie italiane all’estero, è uno dei due soci fondatori della libreria – cafè – winebar “La confraternita dell’uva”, aperta a Bologna nel dicembre 2016, in omaggio a John Fante. Ama molto viaggiare, il cinema e la letteratura americana.
1. Cosa vuol dire per te svolgere il mestiere di libraio?
Significa fare della mia passione più grande il mio lavoro.
2. Che cosa ti rende felice del tuo mestiere e cosa no?
Cosa mi rende molto felice: poter far leggere a qualcuno un libro che mi ha in primis sconvolto o emozionato particolarmente. Far provare a qualcuno quel che ho già provato io, è quella la molla che mi spinge.
Cosa no: non mi piace la mancanza di meritocrazia che spesso circola nell’industria del libro: non vengono premiati i libri più belli o che meritano di circolare di più, ma quelli che devono circolare per motivi puramente utilitaristici e di commercio.
3. Passiamo ora alla poesia. Intanto: sei un lettore di poesia?
Leggo poesia ma è un mondo che non sento di conoscere appieno. Cerco di rimediare leggendone sempre un po’ ogni giorno.
4. Quanti titoli di poesia ospita tra gli scaffali la tua libreria?
Non troppi e un po’ me ne pento. La nostra sezione dedicata di testi di poesia è però in continua espansione.
5. Ospitate presentazioni dedicate alla poesia?
Sì, specialmente di autori contemporanei. Per me è come andare a scuola, ho modo di conoscere sempre meglio la scena odierna e di rinfoltire il reparto di libri di poesia con tanti italiani interessanti.
6. E come vanno le presentazioni, le vendite, in generale quanto seguito ha la poesia nella tua libreria?
La poesia è un mondo strano, attrae gente che ruota solo intorno alla poesia. Ci sono presentazioni molto partecipate ma quel pubblico lo si vede solo durante gli incontri di poesia, mai negli altri. Inoltre di solito le vendite di poesia sono minori rispetto a quelle di narrativa.
7. Scuola, librai, media, editori, poeti: di chi è la responsabilità se la poesia si legge così poco?
Non so se la poesia si legga di meno ma noto che molti giovani poeti italiani puntano molto su tecnicismi e virtuosismi linguistici che rendono la materia ostica a chi non ne mastica molta. Penso all’America dove invece ci sono tantissimi poeti che riescono a mantenere platee intere con il fiato sospeso grazie anche alla loro capacità interpretativa.
8. Cosa occorrerebbe fare per appassionare alla poesia?
Secondo me ci sarebbe bisogno di sdoganare il mondo della poesia, ai miei occhi molto spesso chiuso su se stesso e un po’ autoreferenziale. Far capire che la poesia non è qualcosa di noioso relegato a circoli di soli appassionati ma può essere un fuoco sconvolgente. C’è bisogno di apertura per un ricambio continuo.
9. Gli Instapoets avvicinano nuovi lettori agli scaffali di poesia?
Non penso. Mi sembrano un prodotto fine a sé stesso che, può attrarre qualche occasionale che, oltre a questa lettura, non leggerà molto altro durante il resto dell’anno. É lo stesso ragionamento dell’ebook: se i non lettori non leggono, non lo inizieranno a fare solo perché gli si dà una nuova tecnologia per farlo.
10. Per chiudere l’intervista, ci regali qualche tuo verso amato?
Eccoli qui, i primi versi di una poesia – forse la più famosa – di un poeta italiano non troppo conosciuto. Sono tratti dal libro Un solitario amore, edito da Fandango. Me l’ha fatto scoprire apprezzare un amico scrittore.
Beppe Salvia, Cuore
A scrivere ho imparato dagli amici,
ma senza di loro. Tu m’hai insegnato
a amare, ma senza di te. La vita
con il suo dolore m’insegna a vivere,
ma quasi senza vita, e a lavorare,
ma sempre senza lavoro. Allora,
allora io ho imparato a piangere,
ma senza lacrime, a sognare, ma
non vedo in sogno che figure inumane.
Non ha più limite la mia pazienza.
Non ho pazienza più per niente, niente
più rimane della nostra fortuna.
Anche a odiare ho dovuto imparare
e dagli amici e da te e dalla vita intera.
Intervista a cura di Andrea Cati
Foto di Stanislav Magay