Damiana De Gennaro


Se adesso arrivasse un terremoto,
saremmo tutti insieme

ha detto, e poi subito ha riso,
divertita, in un lunghissimo silenzio.

Siamo tutti impalliditi
nello stesso tremito animale,
in quell’istante sordo-muto
che aboliva i lineamenti.

Poi è tornata a interrogarci,
chiamandoci per nome.

 

Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90. Vol. 1 (Interno Poesia Editore, 2019)

William Shakespeare


How can I then return in happy plight,
That am debarred the benefit of rest?
When day’s oppression is not eas’d by night,
But day by night and night by day oppressed,
And each, though enemies to either’s reign,
Do in consent shake hands to torture me,
The one by toil, the other to complain
How far I toil, still farther off from thee.
I tell the day, to please him thou art bright,
And dost him grace when clouds do blot the heaven:
So flatter I the swart-complexion’d night,
When sparkling stars twire not thou gild’st the even.
But day doth daily draw my sorrows longer,
And night doth nightly make grief’s length seem stronger.

 

*

 

Come posso riavere la mia pace
se al riposo non faccio mai ritorno,
la diurna oppressione non si tace,
il giorno opprime notte, e notte il giorno,
e, pur se sono regni concorrenti,
per torturarmi i due si danno mano,
l’uno mi affanna, l’altra dà i lamenti,
perché mi affanno e tu sei più lontano?
Tu sei una luce spazzanubi, dico
al giorno pur di farmelo mio amico;
dico alla notte senza stelle e nera
che arrivi tu a far brillar la sera.
Ma il giorno invece allunga il mio dolore,
e ogni notte più forte ho male al cuore.

 

Tutte le opere. Volume 4 (Bompiani, 2019), traduzione di Massimiliano Palmese

André Breton


Au beau demi-jour de 1934
L’air était une splendide rose couleur de rouget
Et la forêt quand je me préparais à y entrer
Commençait par un arbre à feuilles de papier à cigarettes
Parce que je t’attendais
Et que tu te promènes avec moi
N’importe où
Ta bouche est volontiers la nielle
D’où repart sans cesse la roue bleue diffuse et brisée qui monte
Blêmir dans l’ornière
Tous les prestiges se hâtaient à ma rencontre
Un écureuil était venu appliquer son ventre blanc sur mon cœur
Je ne sais comment il se tenait
Mais la terre était pleine de reflets plus profonds que ceux de l’eau
Comme si le métal eût enfin secoué sa coque
Et toi couchée sur l’effroyable mer de pierreries
Tu tournais
Nue
Dans un grand soleil de feu d’artifice
Je te voyais descendre lentement des radiolaires
Les coquilles même de l’oursin j’y étais
Pardon je n’y étais déjà plus
J’avais levé la tête car le vivant écrin de velours blanc m’avait quitté
Et j’étais triste
Le ciel entre les feuilles luisait hagard et dur comme une libellule
J’allais fermer les yeux
Quand les deux pans du bois qui s’étaient brusquement écartés s’abattirent
Sans bruit
Comme les deux feuilles centrales d’un muguet immense
D’une fleur capable de contenir toute la nuit
J’étais où tu me vois
Dans le parfum sonné à toute volée
Avant qu’elles ne revinssent comme chaque jour à la vie changeante
J’eus le temps de poser mes lèvres
Sur tes cuisses de verre

 

 

*

 

 

Nella bella penombra del 1934
L’aria era una splendida rosa color triglia
E la foresta quando mi preparavo ad entrarci
Cominciava con un albero dalle foglie fatte di cartine di sigarette
Perché ti attendevo
E perché se te ne vieni con me
Da qualsiasi parte
La tua bocca è volentieri il niello
Dal quale riparte continuamente la ruota azzurra diffusa e spezzata che sale
A impallidire nella rotaia
Tutti i prodigi s’affrettavano a venirmi incontro
Uno scoiattolo era venuto ad applicare il suo ventre bianco sul mio cuore
Non so come ci stava
Ma la terra era piena di riflessi piú profondi di quelli dell’acqua
Come se il metallo avesse finalmente scosso il suo guscio
E tu coricata sullo spaventoso mare di pietre dure
Roteavi
Nuda
In un gran sole di fuoco d’artificio
Ti vedevo far discendere lentamente dai radiolari
Le conchiglie stesse del riccio di mare c’ero
Chiedo scusa non c’ero già più
Avevo alzato la testa perché lo scrigno vivente di velluto bianco m’aveva lasciato
Ed ero triste
Il cielo tra le foglie riluceva feroce e duro come una libellula
Stavo per chiudere gli occhi
Quando le due pareti del bosco che s’erano bruscamente divaricate si sono abbattute
Senza rumore
Come le due foglie centrali d’un mughetto immenso
D’un fiore capace di contenere tutta la notte
Ero dove mi vedi
Nel profumo suonato a tutto spiano
Prima che quelle foglie tornassero come ogni giorno alla vita cangiante
Ho avuto il tempo di posare le labbra
Sulle tue cosce di vetro

 

Poesie (Einaudi, 1967), trad. it. G. Falzoni

Daria De Pellegrini


non era gioco la neve / né candore
il silenzio / rare e preziose le sere
che sola in casa facevo per me
tutta nuova una fede / resistere
per essermi degna / sul balcone
offrire nuda la pelle alla crosta
gelata / amarne gli aghi come prova
d’amore / la bocca aperta trasfonde
la vita / in un punto / uno solo / è
disgelo / la lingua quando sente
bagnato il sapore del legno non teme
le schegge / si cede e si tace / impegna
al segreto la comunione coi santi

 

Altalena sui larici (Interno Poesia Editore, 2019)

Intervista al poeta: Umberto Piersanti

Umberto Piersanti è nato a Urbino nel 1941, dove tuttora vive e insegna. Ha pubblicato numerose raccolte poetiche (I luoghi persi, Einaudi 1994; Nel tempo che precede, Einaudi 2002; L’albero delle nebbie, Einaudi 2008; Nel folto dei sentieri, Marcos y Marcos 2015), saggi e opere di narrativa (L’uomo delle Cesane, Camunia 1994; L’estate dell’altro millennio, Marsilio 2001; Olimpo, Avagliano 2006; Cupo tempo gentile, Marcos y Marcos 2012 ); è anche autore di film (L’età breve, 1969-1970; Sulle Cesane, 1982; Ritorno d’autunno e Un’altra estate, 1988 ). Tutte le raccolte precedenti le tre sillogi edite dalla Einaudi sono uscite in un unico volume dal titolo Tra alberi e vicende, Archinto 2009. La sua ultima opera è un libro di racconti: Anime perse, Marcos y Marcos 2018.

 

1. Qual è lo stato di salute della poesia oggi?

A mio parere il livello medio della produzione poetica è nettamente superiore a quello della narrativa. Quest’ultima ha visto il predominio assoluto dei generi: giallo, horror, fantasy ecc. Senza contare le centinaia di commissari in giro per la penisola. La poesia è ancora capace di una resistenza nei confronti della commercializzazione e della banalizzazione che hanno investito il mondo delle lettere.
Pier Vincenzo Mengaldo riteneva che dopo la terza generazione (Luzi, Bertolucci, Caproni, Sereni ecc..) e suoi immediati dintorni (Zanzotto, Giudici, Raboni ecc.) non ci fossero autori dello stesso livello nelle generazioni seguenti. Non so se è vero: ritengo comunque che anche dopo questa terza generazione, si siano affacciati vari autori di valore. I nomi sarebbero vari, ma per non farmi oggetto dell’ira dei trascurati, faccio un solo nome: Milo De Angelis.
La presenza di internet, se da una parte ha aperto a possibilità e conoscenze che magari si trovavano al di fuori delle strette cerchie editoriali, dall’altra ha invaso l’etere con un profluvio di versi tra i quali non è facile districarsi.

 

2. Ma, prima di tutto, cos’è per te la poesia?

Nessun critico può dire con sicurezza questo è o non è un poeta. Ognuno ha un setaccio attraverso il quale passano solo certi grani; lo deciderà il tempo, lo decideranno altri uomini prima o dopo chi è un poeta e che come tale rimarrà nelle memorie. Per me la poesia è il tentativo di cogliere il senso delle cose e delle vicende con parole giuste e precise. La vita e i libri sono alla base della poesia stessa. Bisognerà essere capaci di riuscire ad avere una visione del mondo ed un sentimento delle cose. Inoltre trovare un proprio accento, una propria pronuncia che non si basi su una velleitaria originalità.

 

3. Chi sono i tuoi maestri?

Sono tantissimi e sono vissuti lungo l’arco dei secoli. Per rimanere all’antichità classica: Virgilio, la pietas e la sua percezione della natura mi hanno da sempre coinvolto e commosso. Venendo a tempi più recenti, gli autori tra ‘800 e ‘900: Leopardi in primis e poi Carducci, Pascoli, D’Annunzio. Debbo moltissimo a questa generazione. Nel pieno ‘900 grande è il mio amore per il primo Montale, da “Ossi di seppia” alla “Bufera”. Bertolucci l’ho avvertito fraterno nel suo amore per la terra e le stagioni. Ho conosciuto e frequentato Mario Luzi e Giorgio Caproni. Anche i miei compagni di viaggio mi sono stati e mi sono un po’ maestri. Dei non poeti, due grandi nomi che mi hanno anche seguito: Carlo Bo e Rosario Assunto che rappresentano il miglior tempo della vita e della cultura urbinati.

 

4. Che cosa occorre per diventare un poeta?

La voglia di raccontare e di capire. E ancora di più quella di fermare il tempo, di fissare in parole o immagini qualcosa che possa resistere al flusso inarrestabile dei giorni. E per far questo è necessaria tanta tenacia, tanta voglia di non arrestarsi di fronte agli insuccessi ed alle difficoltà che si incontrano nel nostro cammino. E poi naturalmente bisogna leggere tanti libri, non solo di poesia. La propria cifra non nasce da qualche fantasiosa e mitica purezza, ma dalla conoscenza e dalla fatica.

 

5. A tuo avviso perché siamo più un paese di poeti che non di lettori?

Un romanzo lo puoi leggere tenendo magari solo conto dell’intreccio. Una qualche trama è presente anche nelle narrazioni più difficoltose. La poesia pretende un corpo a corpo con il testo, necessita di un’educazione della sensibilità e di una specifica attenzione alla parola. L’Italiano è abbastanza pigro: è mancata inoltre quell’educazione letteraria presente in altri grandi paesi. Nel ‘700 inglese per le strade c’erano i venditori ambulanti di libri. Se leggiamo Proust, vediamo come la nobiltà e l’alta borghesia che pure sono oggetto di vari strali da parte dell’autore, parlano più o meno consapevolmente e più o meno futilmente di letteratura, arte e musica. Immaginiamo di trovarci nello stesso periodo in qualche salotto della nobiltà nera romana: credo che non avremmo questo tipo di bei “conversari”.

 

6. Scuola, librai, media, editori, poeti: di chi è la responsabilità se la poesia si legge così poco?

Escono migliaia di libri di poesie che vengono letti solo dai parenti e dagli amici: si tratta di una lettura fatta solo, se è fatta, per compiacere il parente o l’amico. E questo non può essere considerato un pubblico della poesia. Se vado in una scuola e chiedo a docenti ed alunni quante raccolte di poesia hanno acquistato, la stragrande maggioranza riferirà di aver letto poesie solo nelle antologie prevalentemente scolastiche. Quasi tutti invece, avranno acquistato o letto qualche romanzo. Il che non toglie che anche per la narrativa, la vita sia piuttosto grama: le opere che non sono state sufficientemente promosse dalla televisione e dai social rimangono negli scaffali delle librerie. Se chiedete ad un rumeno, studente o commessa od operaio, chi è Marin Sorescu, moltissimi lo conosceranno. Tonino Guerra non ci credeva: lo chiedemmo a due cameriere di un ristorante di Senigallia e perse la scommessa. Per quel che riguarda le scuole elementari ai pampani bugiardi di cui parlava Eco sono seguiti i giochetti verbali alla Rodari. Nelle superiori (non sempre ci sono professori bravissimi) la poesia è stata affogata o in una melassa sentimentale o in una lezione di retorica e metrica. Tutti sanno che nelle librerie, gli scaffali di poesia sono i più piccoli e i più nascosti. Gli editori più grandi vedono le collane di poesia come un semplice fiore all’occhiello su cui non investire. Per quel che riguarda la televisione, da Fazio o nella rubrica di Luverà non ricordo di aver mai visto un poeta. A ognuno la sua parte di colpa. Non credo che la poesia potrà mai avere un pubblico di massa, ma non dovrebbe averne neanche uno da archeologia assira.

 

7. Cosa occorrerebbe fare per appassionare alla poesia?

I poeti dovrebbero andare nelle scuole per dimostrare con la loro stessa presenza che si tratta di un’arte che non appartiene solo al passato, ma è presente ed opera anche nell’oggi. Dovrebbero andare nelle scuole poeti non solo bravi, ma capaci di coinvolgere e commuovere. Festival e letture pubbliche dovrebbero aumentare la loro presenza e la loro capacità di attrazione. Anche i premi, quelli seri, che prevedono una giuria tecnica alla quale, per la scelta finale subentra una giuria popolare, servono ad allargare la platea di lettori non superficiali ed occasionali. Portare la lettura di poesia anche in luoghi non deputati come ospedali, carceri ecc. senza per questo banalizzarla in un mero impegno sociale.

 

8. Gli Instapoets aumentano le possibilità di avvicinare nuovi lettori agli scaffali di poesia?

Un poeta si giudica dai suoi testi ed anche un Instapoets può scrivere un bel testo. Nella stragrande maggioranza dei casi, ci troviamo di fronte a banalità ed improvvisazioni: della poesia resta l’andare a capo. Non è il numero dei followers quello su cui si può misurare l’importanza di un poeta. Anche in passato, alle quattrocento copie di “Ossi di seppia” potevano essere contrapposte le migliaia di copie dei romanzi di Guido Da Verona. Solo che in questa società liquida dove tutto può passare attraverso internet, la terra piatta, le piramidi su Marte ed altre amenità del genere, questo non è un fenomeno da sottovalutare con cipiglio aristocratico. Vari grandi editori danno spazio a questo sottogenere di poesia: ho letto gli orrendi testi di Francesco Sole. Ed anche quando non si arriva a livelli così bassi, la ricerca del personaggio, a cui non si sottraggono neanche le case editrici più prestigiose come la Mondadori e l’Einaudi, varie volte prevale sul valore: del resto i consulenti editoriali non sono più i Bassani, i Sereni, i Vittorini che pure potevano fare i loro sbagli, ma altri ben più modesti guidati da un mercantilismo spiccio o dalle complicità amicali.

 

9. In futuro si leggerà più o meno poesia?

Non ho la sfera di cristallo, ma sono convinto che, a meno di una mutazione genetica, la poesia resisterà. Rimane il pericolo, per quanto remoto, della mutazione genetica.

 

10. Per chiudere l’intervista, ci regali qualche tuo verso amato?

In un tempo remoto, quando ero piccolo e Rodari e seguaci non imperversavano, ho avuto, come migliaia di italiani, un primo profondo impatto emotivo con la poesia grazie a questi versi di Carducci: “La nebbia agli irti colli /piovigginando sale, e sotto il maestrale / urla e biancheggia il mar”. E poi, dell’amatissimo Leopardi: “Primavera dintorno / brilla nell’aria, e per li campi esulta, / sì ch’a mirarla intenerisce il core”. Ed ancora: “Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea / tornare ancor per uso a contemplarvi / sul paterno giardino scintillanti”. Passando al ‘900, questi due versi di Montale: ”Tu non ricordi la casa dei doganieri / sul rialzo a strapiombo sulla scogliera”.

 

Intervista a cura di Andrea Cati

Nicola Gardini


L’ultima foglia

Io sono per il tempo,
che tolga e non rimetta
e non ricolma un’orma.

Il nulla non è tanto
povero se assomiglia
all’opera del vento.

Io sono con il tempo,
e la morte sarà
solo l’ultima foglia,

del vortice la forma
finalmente perfetta,
la sete senza voglia.

Io do ragione al tempo.
Lo guardo mentre prende
tutto, manco si sente.

E tutto prenda, il moto
e i volti e, un giorno, il vuoto.
Io non rivoglio niente.

 

Istruzioni per dipingere (Garzanti, 2018)

Giovanni Ibello


La mia estasi rimane
lettera morta sul greto.
Brindo al disamore
al cuore profanato nell’acquaio
agli insetti fulminati nell’insegna.
Ci lega la parola feroce,
una giostra di penombre.
L’incanto di una teleferica,
l’esatto perimetro di un grido.
Tu che muori
in quell’assillo di aranceti
che ritorna.
Era l’affanno antico,
l’anemone del giorno
divelto sopra i silos.

 

Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90. Vol. 1 (Interno Poesia Editore, 2019)

Foto di Dino Ignani

Charles Simic

Il mio ineludibile entourage

Non siamo mai stati presentati formalmente.
Non avevo idea di quanti fossero.
Era come un discreto entourage
di angeli e demoni nostrani
che avessi incontrato prima
e poi in gran parte dimenticato.

Nei momenti di pericolo si facevano vedere poco.
Dove sparivano tutti?
Una notte lo domandai a un criminale
che mi puntava un coltello alla gola,
ma anche lui era spaventato,
e mi lasciò andare senza una parola.

Sconcertante, agghiacciante
dover pensare alla propria solitudine,
come aprire un libro per bambini –
non avendo niente di meglio da fare –, leggere delle stelle,
che possono permettersi di impiegare secoli
per giungere fino a noi su un barbaglio di luce.

 

Club Midnight (Adelphi, 2008), trad. it. Nicola Gardini

Oscar Vladislas de Lubicz Milosz


Tutto sarà esattamente come in questa vita. La stessa stanza.
– Sì, bambino mio, la stessa. All’alba, l’uccello dei tempi tra il fogliame
Pallido come una morta: le serve allora si alzano
E si sente il rumore diaccio e cavo dei secchi

Alla fontana. Oh terribile, terribile giovinezza! Cuore vuoto!
Tutto sarà esattamente come in questa vita. Ci saranno
Le voci povere, le voci d’inverno dei vecchi faubourg,
Il vetraio col suo canto alternato,

La nonna decrepita che da sotto la cuffia sudicia
Urla nomi di pesci, l’uomo dal grembiule azzurro
Che sputa nella mano consumata dalle stanghe
E grida chissà cosa, come fosse l’Angelo del giudizio.

Tutto sarà esattamente come in questa vita. Lo stesso tavolo,
La Bibbia, Goethe, l’inchiostro e il suo profumo di tempo,
Il foglio di carta, bianca donna che legge nel pensiero,
La penna, il ritratto. Figlio mio, figlio mio!

Tutto sarà esattamente come in questa vita! – Lo stesso giardino,
Profondo, profondo, fitto, oscuro. E verso mezzogiorno
Felici di essere lì si riuniranno
Persone che non si sono mai conosciute e che non sanno

Le une delle altre se non questo: che ci si dovrà vestire
A festa e avviarsi nella notte
Degli scomparsi, da soli, senza amore e senza lume.
Tutto sarà esattamente come in questa vita. Lo stesso viale:

E (in un pomeriggio d’autunno), dove il viale curva,
Là dove il bel sentiero scende paurosamente, come la donna
Che coglierà i fiori della convalescenza – ascolta figlio mio –
Ci rincontreremo come un tempo qui;

E tu, hai dimenticato il colore del tuo abito di allora;
Io, invece, ho conosciuto solo pochi istanti di felicità.
Sarai vestito di viola pallido, incantevole dolore!
E i fiori sul tuo cappello saranno piccoli e tristi

E io non ne conoscerò il nome: perché nella vita ho conosciuto
Solo il nome di un fiore piccolo e triste, il nontiscordardimé,
Vecchio dormiglione delle forre nel paese di Nascondino, fiore
Orfano. Sì, sì, cuore profondo! come in questa vita.

E il sentiero oscuro sarà là, umido
Di un’eco di cascate. E io ti parlerò
Della città sull’acqua e del Rabbi di Bacharach
E delle Notti di Firenze. Ci sarà anche

Il muro basso e fatiscente dove sonnecchiava l’odore
Delle vecchie, vecchie piogge, e un’erba putre,
Grassa e fredda che scuoterà i suoi fiori cavi
In un ruscello muto.

 

Sinfonia di novembre e altre poesie (Adelphi, 2008) a cura di M. Rizzante

Alfonso Berardinelli


Esperienze

Nessuno può raccogliere esperienze
che non sono state compiute.
Nessuno può compiere esperienze
senza raccoglierle.

Non bisogna compiere esperienze
per poterle raccogliere.
Non bisogna raccogliere esperienze
se non se ne vogliono compiere.
Sarebbe inutile raccoglierle.

Le esperienze raccolte
non sono esperienze compiute.
Le esperienze compiute
non possono essere raccolte.

Si può raccogliere ciò che è incompiuto.
Ciò che è compiuto non esiste più.

 

Lezione all’aperto e altre poesie (1968-1992), Elliot, 2018

Foto di Dino Ignani