Franco Fortini


Forse il tempo del sangue ritornerà.
Uomini ci sono che debbono essere uccisi.
Padri che debbono essere derisi.
Luoghi da profanare bestemmie da proferire
incendi da fissare delitti da benedire.
Ma piú c’è da tornare ad un’altra pazienza
alla feroce scienza degli oggetti alla coerenza
nei dilemmi che abbiamo creduto oltrepassare.
Al partito che bisogna prendere e fare.
Cercare i nostri eguali osare riconoscerli
lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati
con loro volere il bene fare con loro il male
e il bene la realtà servire negare mutare.

 

L’ospite ingrato (De Donato, 1966)

Eleonora Rimolo


Come scende la vita queste scale
come si sottrae all’incontro, come
affonda dentro la ferita cava, pulsante
quando terminato il giorno guaisce
il cane disperato col seme in eccesso.
Vorrei che fossi tu, vorrei
che nulla restasse inviolato,
bere quanto trabocca ed infine

ubriachi, prossimi alla partenza
con le code che salutano e le lingue
asciutte, noi educati viaggiatori noi
bestie turbate, incontaminate.

 

La terra originale (LietoColle, 2018)

Foto di Daniele Ferroni

Philip Morre


A Priestess
after Callimachus

She had been, as she put it, a “priestess”
– at the altars of love! First Cairo,
then Klagenfurt: “a low point”,
latterly Peckham: “better than you’d guess”.
“I’ve outlived them all, those nervous boys”.
Still kept her hand in: “grooming
– isn’t that the word?” austerity amateurs
to top up the housekeeping: “their choice!”.
Two lads of her own, inadvertently got,
respectable to a fault, as the way is:
“They can keep me on their pensions
in my dotage” (she was then in her eighties).
“Can’t wait to bury their terrible mum”.

Well, now they have. She went quite suddenly
– after a sneezing fit, so I heard. I’ll miss her:
the greatest company, game as they come,
and wiser than the philosophers.

 

*

 

Una sacerdotessa
alla maniera di Callimaco

Era stata, come diceva lei, una “sacerdotessa”
– sugli altari dell’amore! Prima il Cairo,
poi Klagenfurt: “un periodo deprimente”,
ultimamente Peckham: “meglio di quanto ti aspetteresti”.
“Sono sopravvissuta a tutti quei ragazzi timorosi”.
Qualche lavoretto lo faceva ancora: “istruisco,
– non si dice così?” le casalinghe intraprendenti
a integrare il bilancio familiare; “scelta loro!”.
Due figli suoi, incautamente avuti,
fin troppo perbene, come spesso succede:
“Con le loro pensioni potranno mantenere
la mia vecchiaia” (era sull’ottantina allora).
“Non vedono l’ora di seppellire la mamma tremenda”.

Beh, adesso l’hanno fatto. Se n’è andata di colpo
– dopo un attacco di starnuti, ho sentito dire. Mi mancherà:
un’ottima compagnia, coraggiosa come poche,
e più saggia dei filosofi.

 

© Traduzione di Giorgia Sensi

Mary Barbara Tolusso


Molti se ne sono andati, singoli individui,
famiglie intere, generazioni di tetti a punta
che si spingono. In sogno li dipingo
alla Van Dick, con una luna poco
lunare. Tubature, soppalchi,
pareti non sono più che rammendi.
Lo spazio dà rilievo al soggetto,
una civetteria dell’epoca, una fine
di diaboliche impertinenze.
Le stagioni morte diventano eterne
e durano sempre più a lungo. Vanno
ripetendo che hanno avuto un cuore
con gli occhi fissi al sogno. Ma la vita
mica è una questione di cuore.

 

Disturbi del desiderio (Stampa2009, 2018)

Verusca Costenaro


Solitramonti (al mondo)

Pare che senta soltanto
le mani e i piedi
Sofia quando sale tra monti.
S’infila negli anfratti degli abbracci
di fuoco, culla il passo e il riposo
sui palmi di un fiore
colore che nasce bruciante negli occhi,
si partorisce all’ombra dell’ultimo raggio
dal sole ricava coraggio
per nuove salite
tra soli tra monti.
Sofia non regge
le soglie del buio, soffia aurore
nei volti, sbuccia croste dai cuori
più soli.
Non mette al mondo clamori Sofia,
mette al mondo sé stessa.

 

Sofia ha gli occhi (Interno Poesia, 2018)

© Foto di Francesco Spagnuolo

Roberto Portas


La farfalla sulla bilancia

Sono tornato, usando il mezzogiorno,
al giardinetto, bonsai involontario,
tra parentesi di bellico cemento
(un’extrasistole del cemento:

in città contrae un virus d’arcano
qualunque inezia esente da automobile )
dove, bambino sorretto di vento
ariosa cartilagine di giochi, avevo

la Lineare B delle farfalle.
E io ch’ero volare senza acapo
e mansueto per essere intangibile
qui strinsi tra le dita la mia prima farfalla

(oh le due ali insieme non facevano
lo spessore di un foglio di quaderno!
le dita faticavano ad adempiere
il compito di avere senza rompere):

in quella perfetta economia d’essere sentii
me tutto eccedente; pesai l’hybris d’essere
uomo, additata da due aliene dita; seppi
d’essere insieme la farfalla, le dita.

 

© Inedito di Roberto Portas

David Cappella


XXVIII

Finally, Giacomo leaves home

The falconer had released the falcon.
My father has given me up to the world!
He stood at the door of the library,
pale and unsure, eyes wide with concern.
I flew down the marble staircase, away
toward the doorway and my waiting family.
In front of my mother, whose hand I kissed,
in front of my brother, whom I hugged hard,
in front of my sister, whose hug I drank.
A thermal of anxiousness swept me
up into the waiting carriage. At last,
uncaged; at long last, golden-winged
and light, the thin air of the horizon
before me as I traveled toward Roma.

*

XXVIII

Infine, Giacomo va via di casa

Il falconiere aveva liberato il falco.
Mio padre m’ha ceduto al mondo!
Sulla soglia della biblioteca stava,
pallido e dubitoso, occhi sgranati d’apprensione.
io scesi in volo la scalinata in marmo, via,
verso l’entrata e la famiglia in mia attesa.
Dinanzi a mia madre, cui baciai mano,
dinanzi a mio fratello, che forte abbracciai,
dinanzi a mia sorella, di cui l’abbraccio bevvi.
Una calda corrente d’ansietà mi sospinse
nella carrozza in attesa. Infine,
fuor di gabbia; finalmente, ali-dorata
e lieve, l’aria impalpabile dell’orizzonte
davanti a me in viaggio verso Roma.

 

Giacomo: A Solitaire’s Opera, trad. it. Angela D’Ambra

Yamaguchi Seishi


悲しさの極みに誰か枯木折る
kanashisa no kiwami ni tare ka kareki oru

al culmine del dolore
qualcuno spezza
un ramo appassito

da Haiku kenkyū, Volume 44, 1977, p. 77

*

海に出て木枯帰るところなし
umi ni dete kogarashi kaeru tokoro nashi

giunto al mare
il vento gelido non può
tornare a casa

da Haiku nyūmon, 1971, p. 237

*

一人行く女の旅や閑古鳥
hitori yuku on’na no tabi ya kankodori

il viaggio solitario
di una donna –
cuculo

da Gendai haiku sajiki, Vol, 2, 1973, p. 129

*

風雪に満州黄旗白く褪せぬ
fūsetsu ni manshūki hata shiroku asenu

nella tormenta
la bandiera della Manciuria
scolorita di bianco

da Bunrui Seishi kushū, 1979, p. 234

*

塹壕は浅くことしの草も枯れぬ
zangō wa asaku kotoshi no kusa mo karenu

trincea angusta –
anche quest’anno l’erba
appassisce

da Yamaguchi Seishi to koten, 1989, p. 59

 

© Traduzione in italiano di Luca Cenisi

Alessandro Bergonzoni


Amor abbeverato
alza comunque le mani,
ti son dietro.
Ho una pistola in vita
poi tu la erediterai
quando non ci sarò più.
Slacciare
è da concubine
da barellieri
da chiunque scenda alle mani.
Nasconditi
tra le tue braccia
come un pavimento
tra i piedi.
Impara a correggere ciò che è giusto:
fa che l’errore l’ammiri.
Operati da sveglia
fa’ che diventino tuoi
tutti i bambini senza mondo,
e poi mangiali,
in segno di fierezza.
Per averli protetti
dentro.

 

L’amorte (Garzanti, 2018)