Bernard O’Donoghue

The Definition of Love

It’s strange, considering how many lines
Have been written on it, that no one’s said
Where love most holds sway; neither at sex
Nor in wishing someone else’s welfare,
But in spending the whole time over dinner
Apparently absorbed in conversation,
While really trying to make your hand take courage
To cross the invisible sword on the tablecloth
And touch a finger balanced on the linen.

A young curate of a parish in West Cork
Was told his mother was seriously ill
And he must come home to Boherbue
(In fact she was dead already; they had meant
To soften the blow). He drove recklessly
Through mid-Kerry and crashed to his death
In the beautiful valley of Glenflesk.
This was because he fantasised in vain
About touching her fingers one last time.

*

Definizione di amore

Strano, considerando quanto sull’amore
è stato scritto, che nessuno lo abbia detto
dove l’amore signoreggia: non nel sesso,
né nel volere il bene degli altri,
ma nell’occupare tutto il tempo a cena,
in apparenza assorti nel discorso,
a cercare invero di far prendere coraggio
alla mano affinché oltrepassi l’invisibile spada
sulla tovaglia e tocchi un dito in equilibrio sul tessuto.

A un giovane curato di una parrocchia di West Cork
fu detto che sua madre era gravemente ammalata
e che lui doveva venire a casa a Boherbue
(di fatto era già morta, ma l’intendimento era
di attenuare il colpo). Corse in auto mezzo Kerry
spericolatamente, per schiantarsi e lì morire
nella bella valle di Glenflesk.
Così avvenne, per quel suo fantasticare vano
di toccarle un’ultima volta le dita della mano.

 

© Rivista Poesia (N. 330, ottobre 2017), trad. it. Alessandro Gentile

Cristina Campo

Solo resiste al tempo
quel che si fa
col tempo.
E quello che si fa
con l’eternità?
La poesia viene
quando restiamo
nell’inesauribile
compagnia della solitudine.
Viene come un sùbito
taglio, dove si mischiano
con fredda febbre,
sangue con sangue,
due separati
mondi.

 

La tigre assenza (Adelphi, 1991)

© Poesia di Hector Murena, tradotta da Cristina Campo

Guido Mazzoni

Essere con gli altri

È una festa, sono persone che non vede da anni,
raccontano cose che non può comprendere, le parole
come segni e come feltri, la propria faccia fra i mobili degli altri.
Io sono soltanto questo aneddoto, anche voi vi schermate,
rincorrete i figli fra i tavoli
dentro i ricordi d’infanzia. I saluti nel parcheggio, le auto.

Guardo le nuvole sopra di me, sono un’idea,
sono l’immagine di un intero che mi sovrasta,
vedo me stesso come qualcuno che coglie
l’immagine di un intero dentro le nuvole che lo sovrastano,
nell’aria volano animali impercettibili, scosse elettriche
nella calotta della mente, seguo le spie
illuminare l’abitacolo, la striscia continua, le strade esistere dopo di noi.

 

La pura superficie (Donzelli, 2017)

© Per gentile concessione di Donzelli Editore

© Foto di Dino Ignani

John Ashbery

Paradossi e ossimori

Questa poesia si occupa del linguaggio a un livello alquanto piano.
Guardala che ti parla. Guardi da una finestra
o affetti irrequietezza. La sai ma non la sai.
Ti manca, la manchi, le manchi, ti manca. Vi mancate a vicenda.

La poesia è triste perché vuole essere tua, e non può.
Cos’è un livello piano? È quella cosa e altre,
e ne mette in gioco un sistema. Gioco?
Beh, di fatto, sì, ma io ritengo che il gioco sia

una più profonda cosa esterna, un modello di ruolo sognato,
come nella ripartizione della grazia queste lunghe giornate agostane
senza dimostrazione. A finale aperto. E prima che te ne accorga
si perde nel vapore e nel cicaleccio della macchina da scrivere.

È stata giocata un’altra volta. Penso tu esista solo
per tormentarmi a farlo, al tuo livello, e poi tu non ci sei
o hai adottato un atteggiamento diverso. E la poesia
mi ha deposto dolcemente accanto a te. La poesia è te.

 

Un mondo che non può essere migliore (Luca Sossella, 2008) trad. it. D. Abeni, M. Egan

Andrea Cati


a M.

Ti ho perso nel traffico di corso Buenos Aires
accanto alle vetrine il tuo sguardo si è mescolato
alla ferocia della notte, uomini in abiti eleganti
ti hanno portato via, eri la prova perfetta
una mano letale contro il mio sguardo
la perizia di una scossa, parabola
futura, luce che non attende
noi due, un vizio del caso, dadi
tirati a sorte. Tutti a guardare
cosa la vita promette
un equilibrio lungo un bacio
il nostro addio nella metro.

 

© Inedito di Andrea Cati

Renzo Paris


Come sarà il mattino di domani,
sarò ancora in piedi e la poesia
sarà pur sempre una cosa da ragazzi?

Lo chiedo a te, mia Sibilla,
accucciata sopra un platano frondoso
del Lungotevere, che come un fuso

volteggiavi in un capodanno di bicchieri,
lanciati nel cortile. La poesia
è tornata bambina, indossa la tua

vestaglietta blu, con il muso serrato,
in quel polverso ballo del Settantatre.
Sfoglia adesso, mi dici, le crude primavere

invernali, le schizofreniche estati autunnali,
dove termina ciò che non ha mai avuto fine.
Albeggia, il canto dell’allodola fuga

le ombre della notte. Vita mia, presto
volerò da te. Ma io perché indugio,
che cosa mi trattiene ancora?

 

Il mattino di domani (Elliot, 2017)

© Foto di Andrea Auletta

Rita Pacilio


Capiterà a tutti di essere una boa
in mezzo al mare, una boa
dalla forma di pesce supino
dalla voce umana con braccia di violino

al posto delle branchie l’anima
spugna polposa e fili d’erba i capelli.

Si diventa così quando si va via

un nome senza nome
rimasto tra le palpebre e la mente
giovinezze disperse in un altro viaggio.
Quando anche le viscere svuoteranno

residui della traversata
resteranno bucce vuote
involucri rancidi, mezzi sorrisi,
il seno ormeggiato.

Questo siamo quando lasciamo
una casa, un fiore, chi abbiamo amato.
Capiterà a tutti di essere una boa

in mezzo al mare, pesci, uccelli dal ventre tremante.

 

Prima di andare – poesie e lettere d’amore (La Vita Felice, 2016)

Maria Luz Albuja Bayas


Sfiorami con le tue ali per sapere che esisto
anche se non so di coordinate
ed ho perso i segnali che potrebbero essere il mondo

Sento il latte caldo a punto di schizzare dal mio petto
ma non posso vedere.
Non trovo gli orifizi che mi lascino scorgere la luce.

Intuisco il ventre abitato
a punto di ballare con la musica
che solo io sento dentro
ma non posso vedere.

Aspetto nella strada vuota
sotto lo sguardo omnisciente della città.

Sfiorami con le tue ali
con le tue mani allevia il mio fuoco
per sapere se ancora esisto.
Per sapere se per caso devo continuare ad aspettare.

 

*

 

Rózame con tus alas para saber que existo
aunque no sé de coordenadas
y he perdido las señales que podrían ser el mundo.

Siento la leche caliente a punto de saltarme del pecho
pero no puedo ver.
No encuentro los orificios que me permitan atisbar la luz.

Intuyo el vientre habitado
a punto de bailar con la música
que sólo yo escucho hacia adentro
pero no puedo ver.

Espero en la calle vacía
bajo la mirada omnisciente de la ciudad.

Rózame con tus alas
con tus manos alivia mi fuego
para saber si aún existo.
Para saber si acaso debo seguir esperando.

 

© Versione italiana di Antonio Nazzaro

Valerio Grutt


Non dimenticarti mai che sei viva
anche quando tramonta la stanza
e le voci si fanno lontane
anche quando il dolore ti copre
ti chiude la faccia e si blocca
il film dei figli, dei pochi amanti.
Tu non dimenticare mai che sei qui
dove non c’è morte
e lo spettacolo non lascia in pace.
Si moltiplica il sole
al di là dei monti, si aprono
nuove porte negli occhi degli incontri
e questo mio cuore batte solo
mentre si alza il tuo respiro.

 

© Inedito di Valerio Grutt

© Foto di Daniele Ferroni

Annarita Rendina


Vieni amore,
c’è un lago di sale senza fine
per le nostre ferite aperte e tufo
per ingessare i nostri baci e vento
per spaccarci le labbra e sgretolare
tanta bellezza che frana sul cuore.

Vedrai come tutto qui è bruciato
e crederai a un’estate perenne.
Imparerai allora a riconoscere la mia pelle
riarsa tra tutte le altre
e finalmente leggerai le macchie sparse,
banchi d’alghe scure alla deriva,
come la mappa dei miei luoghi,
cronistoria colorata
dei miei naufragi più riusciti.

Vieni,
chiudiamoci in una casa di mare
dov’è sempre vacanza
e la domenica odora
dell’umido di pietra bagnata
e di basilico appena colto.
Passeggeremo tra malinconie
malcelate, gioie sbraitate
e anche a te i pescatori insegneranno
mille nomi nuovi per un vecchio amore,
ti diranno del mare come un bambino
fa del fratello più grande:
misto di rancore ed urgenza che secca la gola
e fa più roca la voce.

 

Nasse (Interno Poesia, 2017)