Marco Tornar


Al buio

Al buio, nella sorpresa di annuncio
ti saluto tre volte. Tra la materia
e il soffitto si traducono fuochi
per sempre stranieri. L’essenza di una scala
vuole forme compiute, silenzi che formano un viso.
La vita stessa si trattiene
nell’amore di una goccia, respira il labirinto
che diventa mattino e panico della sorpresa. Esci
in un tempo di pura attesa
che non ha stirpe, buio senza una diga.
Gli atleti sono già tutti apparsi
e non possono fermare il miracolo.

 

La scelta (Jaca Book, 1996)

Alberto Pellegatta


Lasciare tutto in ordine per fare finta di niente –
pastiglie e terrazze meglio che fucili e rasoi.

Asciuga sotto cespugli di mirto.
Si inarca inconsolabile
l’azzurro ruffiano degli ospedali.
Non dorme mai
neppure quando cedono le bestie
sembra un cuore robusto.
La pena ha un orario di visite.
Non basta questa superficie
se pure si allungasse in un miracolo.
Troppo rudimentale, di poche pretese
ancora troppo acustica, ancora non
impronta di animali nella neve. Senza verbi
funzionerebbe lo stesso, puro stile
senza significato. Senza mani da lavare.

Sempre un bene di circostanza, una fantasia
su cotone. Dimentica di essere un telefono
per diventare affetto. Scrivimi indietro.

Sparirebbe anche da altri appartamenti
coperto da un bianco sfibrato – eccidi che accelerano
le armonie naturali. Pure con altri atteggiamenti.

Nei tuoi bicchieri l’acqua diventa asma.
Forse un esaurimento, su grandi ali
come un sollievo. Si battono i bisonti nella nebbia.

Il dolore esce oleoso dal rubinetto chiuso male.
Nell’incavo del ginocchio dove prude.
Per questo le scariche, il trauma, non per ritrovare
l’equilibrio, non per formare piazze o tendenze
ma per disobbedire alla natura, che poco a poco
diventi libertà. Dolci sparatorie rischiarano la notte.
Per ogni forma il suo contrario. Andare in pezzi
per migliorare.

 

Ipotesi di felicità (Mondadori, 2017)

Georg Trakl


Al fanciullo Elis

Quando il merlo nel nero bosco chiama, Elis
questo è il tuo tramonto.
Le tue labbra trincano la frescura della azzurra sorgente.

Lascia, quando la tua fronte lieve sanguina,
le antiche leggende
e l’oscuro significato del volo degli uccelli.

Ma tu con tenui passi entri nella notte
piena di tralci purpurei
e tu più bello muovi le braccia nell’azzurro.

Un roveto risuona
dove sono i tuoi occhi lunari.
Oh, da quanto tempo, Elis, sei morto!

Il tuo corpo è un giacinto
in cui un monaco immerge le ceree dita.
Una nera caverna è il nostro silenzio.

Ne fuoriesce talvolta un mite animale
lungamente abbassa le pesanti palpebre.
Sulle tue tempie sgocciola nera rugiada,

l’ultimo oro delle tramontate stelle.

 

Poesie (Rizzoli, 1990), trad. it. Ervino Pocar

Joumana Haddad


Sono così

Sono così
non ho tempo per i rimpianti
gioco con i destini, mi annoio facilmente
prometto e non mantengo.
Inutile cambiarmi:
La certezza mi è estranea
per l’imbarazzo dell’amore
per l’immaginazione
perché sono devota
solo all’indolenza.
Imprevedibili i miei appuntamenti
sono una fuga prima del tempo
un sole che non basta
una notte che mai si schiude
sono impetuosi sussulti tra la sete e il dissetarsi.
Sono così, un silenzio per raccogliermi,
un lento terrore per disperdermi,
un silenzio e un terrore per curare una crudele memoria
non c’è luce che possa guidarmi:
possiedo solo i miei peccati.

 

Il ritorno di Lilith (L’Asino d’Oro, 2009), trad. it. O. Capezio

Franca Mancinelli


Sei stanca. Stai facendo spuntare le gemme. Le scorze si frangono, non resistono più. Con gli occhi chiusi continui a lottare. La terra è una roccia, si sbriciola in ghiaia sottile. È una parete e una porta. Continua a dormire. Le foglie si parlano fraterne. Dal cuore alla cima della chioma, stanno iniziando una frase per te.

 

© Inedito di Franca Mancinelli

© Foto di Dino Ignani

Angelo Maria Ripellino

Vorrei che tu fossi felice, cipollina, vorrei
che tu non conoscessi il cane nero della sventura,
quando sarai uscito dal blu dell’infanzia.
Vorrei che tu non debba portare bazooka,
che tu non debba tremare nel folto di un bombardamento,
che tu non debba pagare per le mie colpe
né vergognarti di me, del mio cicaleggio
e dei miei vani versi e della mia professura.
Vorrei che tu non fossi mai gramo o malato
o maldestro come Scardanelli,
vorrei vivere nella tua voce, nei tuoi gesti, nei tuoi occhi,
anche quando mi avrai dimenticato.

 


Notizie dal diluvio
(Einaudi, 1969)

Alessandro Moscè


Stazione di Roma

L’ombra immobile di Roma Termini
dove i maghrebini fumano sigari
scorre nell’aldilà
e si sente la purezza
nelle facce occhialute di chi si affretta ai binari,
di chi si affaccia dal finestrino dell’Intercity
che sfila via indolente.
La messicana chiede l’elemosina al binario 6
e sui capelli corvini si posa una mosca
mentre l’abusivo vende giornali e fazzoletti
agli studenti che si accodano.
Nella metropolitana buia
ci sono amori da reinventare
in una routine che non è più
nel ritardo della Freccia Rossa,
nel canto di un barbone senza fiato,
nella morsa di un biglietto da timbrare

 

© Inedito di Alessandro Moscè

Mark Haddon


Una Rough Guide

Sii educato alla reception.
Non tutti i coltelli sono nel museo.
Le cameriere sanno che un bravo ragazzo
è fatto nello stesso modo di una sdraio.
Paga la birra e spedisci fiori.
Presentati come Richard.
Non fare riferimento a quello che qualcuno ha fatto
in un momento particolare del passato.
Ricorda, ogni venerdì eravamo soliti
fare una passeggiata. Io passeggiavo. Tu passeggiavi.
Tutto nel passato è irregolare.
Questa bistecca è molto buona. Siediti.
Non c’è vino, ma gelato.
Mangia lentamente. Ho molti fiammiferi.

 

Il cavallo parlante e la ragazza triste e il villaggio sotto il mare (Einaudi, 2005) trad. it. Elisa Biagini

Giovanna Rosadini


“– È stato solo un bacio, Libby –”
Philip Roth, Lasciar andare

Ogni cosa ha occhi e ali in questa
notte romana che pare contenere
un annuncio, sono contagiata dalla tua
leggerezza, ma seduti a cena nella sera
estiva, al Ghetto in mio onore,
parliamo con altre voci, pur specchiandoci
nelle pupille dilatate dell’altro.
Ha fatto freddo nelle nostre vite,
e forse questa sera è una parentesi
dovuta, di una mai avuta grazia passeggera.
Non mi sorprende il tuo tocco sulla mano,
è la conferma di una domanda
che chiede assoluzione, punto di arrivo
di una rincorsa che parte da lontano.

Cuore catafratto che prova a uscirsi fuori
e non risolve lo spavento redivivo,
avremo tempo per tornare ad esser soli…

 

© Inedito da Fioriture capovolte

© Foto di Dino Ignani

Antonio Porta


Telefoni dall’autostrada domenica mattina
per dirmi degli sprazzi di luce
la pioggia battente e passaggi rapidi
di nuvole cariche di blu poi ancora
sprazzi di luce e gli alberi s’infiammano
di nuovo scrosci di pioggia primoautunno
attraversano l’Italia Centrale
ma tu passi tra i bagliori dei temporali
e mi telefoni per dirlo: «non c’è
traffico, l’autostrada è quasi deserta,
sto arrivando non ci sono più ostacoli».
 

19.10.1986

 

Yellow (Mondadori, 2002)