Marina Cvetaeva

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Ai miei versi scritti così presto,
che nemmeno sapevo d’esser poeta,
scaturiti come zampilli di fontana,
come scintille dai razzi.

Irrompenti come piccoli demoni
nel sacrario dove stanno sogno e incenso,
ai miei versi di giovinezza e di morte,
versi che nessuno ha mai letto!

Sparsi fra la polvere dei magazzini,
dove nessuno mai li prese né li prenderà,
per i miei versi, come per i pregiati vini,
verrà pure il loro turno.

 

Poesie (Feltrinelli, 2000), a cura di P. A. Zveteremich

Matteo Marchesini

Matteo-Marchesini

Fatti

Il Male è solo quello che va a male.
Ce n’è comunque, ovunque, in ogni caso.
Tutto è emergenza, sì, e tutto è ridicolo

se il cosmo è una questione personale.
Ci si ammala, si muore, il volto è abraso
da tempo, si moltiplica il pericolo

per i prossimi e il fato generale.
Storni l’occhio davanti al cane invaso
dalla rabbia, e lo citi in un articolo:

ti vendichi del Caso universale
sciogliendo nell’Universale il caso
singolo e muto, nella rete il vicolo,

fitte ipotassi in slogan per le scene,
in sinfonia lo strido delle pene
del toro di Falaride Tivù.

Prima non sai, poi sai, poi non sai più
la verità che ti stringe in catene:
che oggi il Male è il microfono del Bene.

 

Cronaca senza storia. Poesie 1999-2015 (Elliot, 2016)

Robert Louis Stevenson

Robert-Louis-Stevenson
The Land of Nod

From breakfast on through all the day
At home among my friend I stay:
But every night I go abroad
Afar into the land of Nod.

All by myself I have to go,
With none to tell me what to do –
All alone beside the streams
And up the mountain-sides of dreams.

The strangest things are there for me,
Both things to eat and things to see,
And many frightening sights abroad
Till morning in the land of Nod.

Try as I like to find the way,
I never can get back by day,
Nor can remember plain and clear
The corious music that I hear.

*

Il paese dei sogni

Dal mattino in poi per tutto il giorno
me ne sto a casa con gli amici intorno,
ma ogni notte parto e mi allontano
nel paese dei sogni, remoto e strano.

Devo andarci da solo, completamente,
nessuno che possa dirmi niente,
da solo risalgo i fiumi ondosi
e salgo verso i sogni misteriosi.

Strane cose mi stanno ad aspettare,
cose da guardare e da mangiare,
e tante visioni orride in quel mondo
finché il mattino non cambia lo sfondo.

Inutile cercare di ritrovare la via,
di giorno non ricordo dove sia,
né riesco esattamente a ricordare
la strana musica che udivo risuonare.

 

Poesie di viaggio (EDT, 2009), a cura di R. Mussapi

Sonia Lambertini

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Per sottrazione, mi ripeto.
Due passi in avanti
conto fino a tre
mi guardo alle spalle
e vedo che non sono
mai arrivata più in là del sei.
Il chiodo fisso di controllare le cose
con la matematica, un movimento:
meno anni, meno possibilità
meno tempo e luce
e poche parole
corte, le preferisco.
Il segno meno è una linea orizzontale
una lama sul collo,
un peso insopportabile.

 

Danzeranno gli insetti (Marco Saya, 2016)

Elena Vlădăreanu

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identify myself

fino a quando sarò una giovane rappresentante della poesia romena.
continuerò a scrivere poesie orribilmente femminili,
a essere talmente uncool e unsexy.
a 35 anni, che si scriverà dopo elena vladareanu, virgola.
dov’è il mio umorismo. come sto messa col mio networking.
sono in corrispondenza con un giornalista austriaco
con un artista plastico berlinese
con un autore messicano di haiku che vive a praga
– forse questo conta di più? –
con alcuni intellettuali albanesi
ma questo è inutile menzionarlo.
come posso dormire fra due guanciali.
mi sbatto abbastanza perché la mia letteratura venga tradotta.
è migliorato il mio inglese dopo una settimana a new york.
ho iniziato a scrivere il libro del secolo.
ho fatto domanda per borse di studio ho fatto incetta di referenze
ho vinto alcuni premi ho un cv impressionante
ho capito le regole del gioco come muovermi con la diplomazia
quanto spesso è presente il mio nome su google
e in quante pagine in inglese

in fondo non sono che una brava ragazza.
porto con me un corredo di propositi da scrittore,
ho sogni borghesi,
voglio casa e bambino.
voglio amarti fino alla fine del mondo.

 

da spazio privato (Pietre Vive, 2016), trad. it. G. Di Palma

Enrico Testa

testa

il vento di ponente sui tufi del Caos
sbatte le persiane contro i muri.

Le lettere sotto vetro
restano però immobili
nella loro polvere
illuminate dai riflessi
di questo mare africano.

Ricordati che ti amo
sta inciso su una spada d’agave.

Senza allontanarsi dalla casa
il custode porta a passeggio tra gli ulivi
– l’uno all’ombra dell’altra –
la povera figlia.

Cartagine è a poche miglia.

Ablativo (Einaudi, 2013)

Giancarlo Pontiggia

giancarlo_pontiggia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il sole splendeva assoluto

Il sole splendeva assoluto
bruciavano forti passioni
la terra era un muto grumo
di selvatiche possessioni.

Mi aggiravo per orti, per vie
nell’ora del pio riposo; io
solo sotto un cielo ardente
spogliato di voli, di ori.

Che cosa cercassi non so
dire, né oggi né allora:
solo mi struggeva il cuore
un’ansia d’ignoto

dolore.

 

Origini. Poesie 1998-2010 (Interlinea, 2015)

© Foto di Dino Ignani

Juan Ramón Jiménez

jimenez

Venne, dapprima, pura,
vestita d’innocenza.
E l’amai come un bimbo.

Poi si venne coprendo
di non so quali vesti.
E venni odiandola, senza saperlo.

Diventò una regina,
fastosa di tesori…
Che amarezza iraconda e senza senso!

…Ma si venne spogliando.
Ed io le sorridevo.

Restò con la tunica
della sua antica innocenza.
Credetti nuovamente in lei.

E si tolse la tunica
e apparve tutta nuda…
Oh passione della mia vita, nuda
poesia, per sempre mia!

Poesie d’amore (Newton & Compton, 1999), a cura di C. Rendina

Forugh Farrokhzad

Forugh-Farrokhzad_

Il mio uomo

Il mio uomo
con il suo corpo nudo e disinvolto
come la morte s’innalza,
sulle sue cosce vigorose.

S’intrecciano le fibre
delle sue membra nervose
al disegno solido del suo corpo.

Il mio uomo dai tempi andati
dalle generazioni perdute sembra giunto.
Un tartaro nel taglio dei suoi occhi
in agguato dei viandanti,
un barbaro nel guizzo splendente dei suoi denti
incantato dal sangue caldo
della preda.

Il mio uomo
come la natura,
volge al senso ineluttabile
di una comprensione chiara
lui, con la mia disfatta
conferma la legge inappellabile
della forza.

Terribilmente libero,
simile a un istinto puro
nel cuore di un’isola alla deriva.

Della polvere delle strade
lui si libera, con i resti
della tenda di Majnun, antico Folle d’amore.
Il mio uomo
come un dio nei templi del Nepal
da sempre un’esistenza da straniero.

Lui,
è un uomo dei secoli passati
memoria d’una bellezza d’altri giorni.
Risveglia intorno a sé
continuamente come l’odore un bambino
il volto di pure memorie.

Lui come ballate di villaggio
irrompe violento puro nudo.

Sinceramente ama
i grani della vita
i grani della terra
le tristezze degli uomini,
le limpide tristezze.

Sinceramente ama
il sentiero verdeggiante di un villaggio
un albero
un coccio antico
i panni stesi al sole.
Il mio uomo
è un essere semplice,
un essere semplice che io
dalla terra nefasta e volgare
ho nascosto nei boschi dei miei seni,
come ultimo segno
d’incantevole religione.

 

La strage dei fiori (Orientexpress, 2008), a cura di D. Ingenito

Vivian Lamarque

Lamarque-Vivian
Preferisco Szymborska II

Preferisco Szymborska
preferisco Szymborska in riva al fiume Warta
che preferisce i Paesi conquistati
a quelli conquistatori, preferisco i vivi
preferisco i morti, preferisco i morti caduti
i loro nomi scritti sul monumento in piazza
che i figli “su leggi” dicono ai figli e ai figli
dei figli ma poi un giorno alt
nessuno in piazza indica più niente a nessuno
preferisco saperlo che siamo formichine
che ci spazzerà via il vento che ci spazzerà via
il tempo, preferisco tutto, preferisco tutti
tutti i fiori dei prati, portarli ai giovani
caduti, preferisco la parola camposanto
fare giustizia togliere l’acqua piovana
ai fiori finti che tanto non la bevono
e darla a quelli veri che la bevono subito
che la bevono fino all’ultima goccia
come bambini con la cannuccia
preferisco la pioggia, la voce della pioggia
e quella del mare, preferisco sedermi guardare
preferisco saperlo che siamo formichine
che ci spazzerà via il vento che ci spazzerà via
il tempo, preferisco i madrigali, preferisco le ali
preferisco la parola ridere preferisco la parola
piangere che in polacco si dicono circa smiac e puakac
preferisco Szym che “sei bella dico alla vita”
preferisco Szymborska, preferisco Wisława
che in polacco si dice Visuava.

 

Madre d’inverno (Mondadori, 2016)

© Foto di Dino Ignani