Margherita Rimi

Margherita-Rimi

P come poesia

Non ha pace questa poesia
una parola ora la metto
dopo non la metto

L’articolo è un impiccio
deve quadrare tra il
determinativo e
l’indeterminativo

E non parlo degli aggettivi
TUTTI IN OMISSIS

Come scansare la grammatica
salvarsi da quei
due punti
due professori che la vogliono spiegare

Andare a capo
è solo un’avventura
una infiammazione
non si sa da dove cominciare

Nel foglio bianco
non si sa cosa si tocca
una fantasia
un altro nulla da dire

Assisto anche
alle cadute delle virgole
al panico del punto
fermo

E le maiuscole
una vera neo
magalomania

I verbi poi
solo quelli che fanno movimento
gli immobili piacciono tanto
ai pittori

E niente trapassati remoti
che portano false notizie
falsa testimonianza

I titoli scompaiono
perché il mondo vivo
è pericoloso

Poi siamo alle parole grosse
Amigdala-Insula
Corteccia pre-frontale

la triade che fa di me
un narcisista
Parlano così solo gli scienziati

Come si sta scomodi
dentro le parentesi
quando si falsificano le cose
e nelle quadre
che nascondono le tonde
Un falso dentro un falso

L’asterisco è un segno
divino
È nelle stelle
è come una preghiera

Una parabola la chiocciola
una spirale @ antropologica

Lo slash è come una parola finta
straniera la sua trama
È solo la sbarretta che comanda
che il divide il tempo
in giorno mese anno

Le lineette non assumono
nessuna responsabilità
in diretta
fanno parlare gli altri

I trattini
sono per le parole in più
per quelle che voglio togliere il disturbo
al girotondo della lingua

Gli esclamativi sono esagerati
si fanno male
e fanno male
anche alla digestione

Davanti ai punti interrogativi
c’è da fermarsi e
aspettare
tutti
la sentenza

Il punto e virgola
non si decide
tra due poli
tra due filosofie

I tre punti di reticenza
tre illusionisti
non sanno quello che
fare immaginare

Nelle lungaggini ancora
ritornano
mi cercano le virgole
Non si capisce più niente
nelle parole

La mia difesa è
dai sostantivi che cercano
troppi aggettivi

E gli aggettivi giudicano
fanno sempre la spia

Non si dimenticano di niente
gli spazi bianchi
neanche di quello che non si vuole dire

Io mi fermo a metà con il cancelletto
per non restare sola
è un debito di ossigeno
un’altra possibilità di sopravvivenza

Ora basta continuare

Lungo i margini accosto
gli apostrofi

Se è un dettato
le virgolette
quando piange tanto

Se è un copiato
i quattro accenti
li metto al compagno

p.s.
Domani due agosto duemilaquattordici
te la leggo così ridiamo insieme
Domani due agosto duemilaquattordici
La costruzione della poesia

 

Nomi di cosa-Nomi di persona (Marsilio, 2015)

Roberto Roversi

150912 - Roberto Roversi poeta nel 1998 (Pendragon) Foto Nucci_Benvenuti poesia Palmaverde

XXIV

È l’anno ’68? l’anno ’77? l’anno 2006?
A Bologna
(Italia numero ventiquattro sconquassata da mille mani e colori)
l’estate scoppia sempre con lunghi singhiozzi
con ululi di sirena sperduta nel mare in notti profonde.
Contro la porta di una chiesa giovani appena
nati stanno distesi. E aspettano.
Il cielo soffia sulla loro pelle che stride
perché non riescono a dimenticarsi di vivere.
C’è ancora un vecchio che ascolta esplodere la canzone delle pietre.
Un’ondata travolge la piazza.
Le torri sono tronchi di un legno molto duro.
I giovani hanno capelli di ferro e gli occhi di creta.
Si muove il vecchio con uno sputo che è un mare.
Tutti lasciano i buchi dove si va per confondersi
per visitare un amico o per piangere in solitudine.
Galoppa per la pianura il dolore incontro a un altro dolore.
È vero che all’alba
la vita è un’oliva verde appassita strizzata
e molti sembrano sulla riva in procella di
un fiume distesi.
Il giorno si mette a gridare a chiamare chiamare
le formiche pazienti
che alzano un muro con le seguenti parole:
Noi non dimentichiamo mai i morti.
Noi siamo uomini e anche noi piangiamo.
Ci guardiamo le mani che stretti i fucili
ma non odiamo.
Sulla piazza di giovani barbe sbatte il respiro
da primo giorno del mondo.
È lì che ciascuno ha vicino una mano. Una mano.
E non si lascia incantare.

 

Trenta miserie d’Italia (Sigismundus, 2011)

Friedrich Nietzsche

nietzsche1

 

Fra amici

Bello è tacere insieme,
ancor più bello ridere assieme –
sotto il panno di seta del cielo,
giù nel muschio, chino su un libro,
rider forte e cordiale fra amici
e scoprire il biancore dei denti.

Se io sono riuscito taciamo,
se ho fallito – ridiamoci sopra
e facciamo ancora di peggio,
sempre peggio, ridere e fare,
finché nella fossa scendiamo.

Sì, amici! Così deve andare? –
Amen dunque! E arrivederci!

Le poesie (Einaudi, 2015), trad. it. A. M. Carpi

Olav H. Hauge

Hauge, Olav H_None

La terra azzurra

Qui sono al sicuro, qui ci sono querce intorno ai muri,
qui scintilla lo stretto tra monti corrosi dal mare.
Se me ne sto in piedi alla finestra
le querce immense hanno
una profonda tonalità oleosa
come un dipinto antico,
sul cielo di smalto azzurro
nubi ritardatarie
si rincorrono dal mare.

Querce nel sole d’autunno!
Terra azzurra, terra di monti, terra di mare
ed ere alle mie spalle
in una festa di colori
e ardore.

Oggi ci sono freddo e fiocchi di neve nell’aria,
i rami nudi si protendono come artigli
verso il caldo e l’ultimo ozono.
Mi inoltro nella terra azzurra
sotto le foglie che cadono.
E un giorno sarà spoglio Yggdrasil.

 

La terra azzurra (Crocetti, 2008), trad. it. F. Ferrari

Francesca Serragnoli

serragnoli interno poesia

Arrivavi come un venticello
con valigie non per rimanere
ti stancavi affaticato
rimani ancora un po’
dicevo al sangue sulle braccia
posato come una Pietà
spegneva Dio con due dita
il lumicino brevissimo
la morte diventava arietta, cosa di fiato
alito di vento sul volto immobile
della statua inclinata sul fondale
che ha sentito le braccia sgretolarsi
e sul capo ammucchiarsi le foglie.
Ti rivedrò un giorno?
mi verrai vicino, ricorderai d’avermi conosciuto
sull’orlo dell’acqua riaffiorerà un tremito.

 

© Inedito di Francesca Serragnoli

Maxine Kumin

After love

Afterwards, the compromise.
Bodies resume their boundaries.

These legs, for instance, mine.
Your arms take you back in.

Spoons of our fingers, lips
admit their ownership.

The bedding yawns, a door
blows aimlessly ajar

and overhead, a plane
singsongs coming down.

Nothing is changed, except
there was a moment when

the wolf, the mongering wolf
who stands outside the self

lay lightly down, and slept.

 

From: Selected Poems, 1960-1990 (W. W. Norton and Company Inc., 1998)

 

Dopo l’amore

E dopo, il compromesso.
I corpi riprendono i loro confini.

Queste gambe, ad esempio, sono mie.
Le tue braccia ti riportano a te.

I cucchiai delle nostre dita, le labbra
riconoscono il loro possessore.

Le lenzuola sbadigliano, una porta
insensatamente sbatte

e nel cielo, cantilenando
un aereo scende.

Niente è cambiato, se non che
c’è stato un momento in cui

il lupo, il lupo mercante
che sta a guardia del sé

si è sdraiato sereno, e si è messo a dormire.

 

© Versione italiana di Andrea Sirotti

Paolo Pistoletti

IMG_20150406_182928

Dorme

Mia figlia quando sto in burrasca
è una terra ferma che cresce
e si avvicina se solo non distolgo lo sguardo,
anche se il mio approdo con lei
è un po’ strano quando l’aria si scalda
e allora mentre la mia voce la sgrida
la mia parte più antica si appoggia
a lei in devota obbedienza.
E se nelle linee che solcano il volto
passa la rotta sarà per questo
che le nostre facce si muovono
come mappe aperte o chiuse
a seconda del vento che passa
e che a seguirle fino in fondo
ti ritrovi qui dove sei sempre stato
come la terra l’erba un prato.
Qui come stasera che lei mi dorme
accanto distesa. Però non lo so.
Però non capisco: strade regioni mari
continenti tempo, un piccolo mondo
che respira al mio fianco
mentre lassù sopra al lampadario
il bianco grande del soffitto.

 

Legni (Ladolfi, 2014)

Denis Roche

Denis Roche, French writer in April 1978./Roche_03/1412031301

No pop art behind no acorns

La parola quotidiana ha la sua malizia impalata
Lascia l’esaltazione agli ex alati. Rannicchiarsi di donna
Nei liquori che avevo colato nella mia cantina
Questa mattina, appena all’aurora. Ero un po’ stanco
Ma sentivo che la mia pena se ne sarebbe andata nella fres-
Cura di fuori. Ohimè, ero appena in fondo agli
Scalini, lei cessa di esaminare questa cava celeste
Il mio cuore vivente è presente all’adultera occasione
È immediato quel ritratto da giovin signore arrogante.

 

Poeti di “Tel Quel” (Einaudi, 1980)

Maddalena Lotter

lotter

I corpi negli anni, questo fa curiose le mie mani
alla ricerca di età diverse
voglio toccarli tutti, gli altri
con i loro mondi di pelle.
Solo la pelle risponde alla domanda sul tempo.
Il corpo sa di case non mie
dove si entra con educazione
togliendosi le scarpe;
ore ed ore in un letto a carezzarsi
le schiene, muri di vertebre
e la colonna è un’autostrada
dei tuoi anni di ieri
a cui non ho partecipato.

Ma se ti volti nel buio e ci guardiamo
allora ho un nome,
io sono l’oggi immortale.

 

Verticale (LietoColle, 2015)

© foto di Daniele Ferroni

Cintio Vitier

Cintio Vitier, 1987

 

Nominerò le cose

Nominerò le cose, le sonore alture
che vedono divertirsi il vento,
i porticati profondi, i paraventi
chiusi all’ombra e al silenzio.

E il sacro interno, la penombra
che solcano gli uffici polverosi,
il legno dell’uomo, il notturno
legno del mio corpo quando dorme.

La povertà del luogo, e la polvere
dove l’orme di mio padre fecero testamento,
luoghi di pietra limpida e decisa,
spogli di ombra, sempre uguali.

Senza scordare la pietà del fuoco
nell’intemperie della casa distante,
né il sacramento gaudioso della pioggia
nell’umile calice del parco.

Ne tu muro stupendo, mezzogiorno,
indaco e terso e interminabile.

Con l’immobile sguardo dell’estate
il mio affetto ricorderà i sentieri
per dove fuggono le avide domeniche
e i lunedì tornano a capo chino.

Nominerò le cose, tanto lentamente
che allorché perderò il Paradiso della strada
e l’oblio me la trasformerà in sogno,
potrò chiamarle d’improvviso con l’alba.

 

Poeti delle Antille (Guanda, 1963), trad. it. G. Bellini