
Lettera a un poliziotto
Caro poliziotto
di questo o di altri Paesi,
se spari a un giovane,
bianco o nero che sia,
col vizio di essere un po’ troppo
per i tuoi gusti e pure per i suoi,
spari anche ai due vecchi
che da giovani lo misero insieme,
in una notte di lampi e scosse,
così come i tuoi sottoscrissero te,
sull’altro fronte delle diplomazie.
Spari alla levatrice che aiutò i pompieri
a spegnere le doglie
di tua madre e della sua,
lavoro sprecato
teatrino screanzato
sapori entrati in bocca
e là rimasti.
E i pellegrini di mezzo mondo,
che chiedono la grazia
il giorno dell’Udienza?
Una benedizione di pallottole
sfoltirà i Vangeli.
Caro poliziotto
di questo o di altri Paesi,
se fai fuori un giovane,
bianco o nero che sia,
col vizio di non avere un lavoro,
neanche una carta per mettersi in fila,
fai fuori maestri e maestranze.
Anche tu, come noi, qualcosa hai ereditato
da scuole, botteghe, oratori, osterie.
Fai fuori i tuoi colleghi in divisa,
colleghi e colleghe in servizio
permanente proficuo
e chi un lavoro te l’ha dato,
mentre piove sul bagnato
di curricula al macero
e i disoccupati occupano il web
dei terremotati.
Caro poliziotto
di questo o di altri Paesi,
se spari a un giovane,
bianco o nero che sia,
col vizio di frequentare tipi strani,
tipi come lui,
non dire che un’arma
salva la decenza
e a volte anche la pelle,
che premendo il grilletto
si va in pari, al ritmo
della ballata dei malcapitati,
dei malcapitati mescolati.
La coscienza pulita è un poligono ingenuo,
senza sagome e sbirri.
Un colpo d’occhio
dall’oasi che siamo
alla veduta d’insieme.
Destrezza non ebbrezza.
La salvezza di tutti ha una madre
certa e rivoluzionaria:
la salvezza di ciascuno.
E la salvezza di ciascuno
non è l’isola di Robinson,
ma garanzia e buon uso di carta copiativa,
grandangolo sul particolare.
Dunque metti nel mirino l’infinito
e infilati in quel posto
la santabarbara delle tue licenze.
Caro poliziotto
di questo o di altri Paesi,
se spari a un giovane,
bianco o nero che sia,
lui col vizio di fare un po’ il gradasso
tu con la scusa di essere stato provocato
e mai prosciolto,
la prossima volta
spara in bocca all’imprudenza,
all’impazienza, all’obbedienza,
se questo è il punto.
Spògliati della divisa sotto la minaccia
di uno sgambetto,
rivendila al mercato dei peli sullo stomaco,
alla confraternita degli scortichini,
degli scalzacani,
tra gli sguardi a presa rapida di chi approva.
Torna nudo al Comando, in servizio,
sulla Pantera di un’altra era.
Ma siccome sappiamo
che uccidi per sbaglio,
inciampando sul più bello
e il colpo parte accidentalmente,
come niente,
dal mittente a spalle sconosciute
dal mittente a facce già pestate,
quanto detto valga almeno
per i comuni mortali,
per i comuni assassini,
per chi ammazza donne, cristiani e bambini,
bambini, donne e altri assassini
in pace, in guerra, in ogni terra.
Dal mio pulpito di carta straccia
offro a tutti un caffè, un Crodino,
ma chiedo un cucchiaino di attenzione,
per la conclusione.
Chi spera non spara.
Chi spara, punti a un cambio di filiera,
di carriera. Prima di sera.
La più bella poesia del libro e altre anomalie (Nino Aragno, 2015)
Foto di Dino Ignani