Octavio Paz

Octavio Paz II

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La strada

E’ una strada lunga e silenziosa.
Cammino nelle tenebre e inciampo e cado
e mi rialzo e calpesto con passi ciechi
le pietre mute e le foglie secche
e qualcuno dietro di me cammina:
se mi fermo, si ferma;
se corro, corre. Mi volto: nessuno.
Tutto è oscuro e senza scampo,
e svolto e risvolto angoli
che conducono sempre alla strada
dove nessuno mi aspetta né mi segue,
dove io seguo un uomo che inciampa
e si rialza e dice vedendomi: nessuno.

 

Poesie di viaggio (EDT, 2009)

Anne Sexton

SEXTON ANNE

Quando l’uomo entra nella donna

Quando l’uomo
entra nella donna
come l’onda scava la riva,
ripetutamente,
e la donna godendo apre la bocca
e i denti le luccicano
come un alfabeto,
il logos appare mungendo una stella,
e l’uomo
dentro la donna
stringe un nodo
perché loro due mai più
si separino
e la donna si fa fiore
che inghiotte il suo gambo
e il logos appare
e sguinzaglia i loro fiumi.

Quest’uomo e questa donna
con duplice fame
hanno tentato di spingersi oltre
la cortina di dio, e ci sono
riusciti per un momento,
anche se dio
nella Sua perversione
poi scioglie il nodo.

 

Il dragomanno errante. Quaderno di traduzioni (ATIEditore, 2012), trad. it. Edoardo Zuccato

Franco Fortini

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Traducendo Brecht

Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.

Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

 

Una volta per sempre (Einaudi, 1978)

Dario Bellezza

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Ho paura. Lo ripeto a me stesso
invano. Questa non è poesia né testamento.
Ho paura di morire. Di fronte a questo
che vale cercare le parole per dirlo
meglio. La paura resta, lo stesso.

Ho paura. Paura di Morire. Paura
di non scriverlo perché dopo, il dopo
è più orrendo e instabile del resto.
Dover prendere atto di questo:
che si è corpo e si muore.

 

Morte segreta (Garzanti, 1976)

Marina Cvetaeva

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Io ti racconterò – del grande inganno:
io ti racconterò come cala la nebbia
sui giovani alberi, sulle vecchie ceppaie.
Io ti racconterò come si spengono le luci
nelle basse case, come – straniero di egizie contrade
– soffia lo zingaro nel sottile zufolo sotto un albero.

Io ti racconterò – della grande menzogna:
io ti racconterò come si stringe il coltello
nella stretta mano, come si arruffino al vento dei secoli
i riccioli – ai giovani, e le barbe ai vecchi.

Mormorio di secoli.
Scalpitio di zoccoli.

 

Poesie (Feltrinelli, 2007), trad. it. Pietro A. Zveteremich

Sharon Olds

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Ultimi atti

Vorrei poter lavare il viso di mio padre,
prendere del cotone dallo sporco della terra
e passarlo sul suo viso così che quei giri
lecchino in profondità i pori prima che lui muoia. Voglio
essere in lui, come fui un tempo dentro di lui,
viaggiando nelle sue palle il giorno prima che mi plasmasse –
mi trasporta facilmente sulle sue lunghe gambe su per le
colline di San Francisco in tempo di guerra, io sono
là tra le sue gambe dove appartengo,
sono la sua carne, mi può amare senza
riserve, io sarò il suo piacere.
Adesso voglio sentire, nel ruotare
del panno, i contorni della sua pelle butterata,
voglio lavarlo, nel modo in cui strofinerei
a fondo le facce delle mie bambole
prima di ogni grande cerimonia.

 

da Nuovi poeti americani (Einaudi, 2006), trad. it. Elisa Biagini.

José Saramago

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Incidente stradale

Vago, segreto, estraneo e camuffato
nel solito viavai della città,
svolto angoli e mi fermo separato,
aspettando me stesso o la metà
che, ignara, è rimasta dall’altro lato.

E lettere bastarde metto a fianco
di tutti i cruciverba del giornale,
urlo un avvertimento, orripilato,
verso la luce rossa del semaforo
e tocco, come brace, il suol bagnato.

Resta indietro il mio abito stracciato,
che sanguina da squarci e cuciture,
di corsa arriva il sarto convocato,
mentre io nella mente me la rido,
vivo, segreto, estraneo e camuffato.

da Poesie (Einaudi, 2007), trad. it. Fernanda Toriello.

Antonella Anedda

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Non esiste innocenza in questa lingua
ascolta come si spezzano i discorsi
come anche qui sia guerra
diversa guerra
ma guerra – in un tempo assetato.
Per questo scrivo con riluttanza
con pochi sterpi di frase
stretti a una lingua usuale
quella di cui dispongo per chiamare
laggiù perfino il buio
che scuote le campane.

 

Notti di pace occidentale (Donzelli, 1992)

Arthur Rimbaud

 

 

 

 

 

 

 

Alchimia del verbo

A me. La storia d’una delle mie follie.
Da molto tempo mi vantavo di possedere tutti i paesaggi possibili, e trovavo burlevoli le celebrità della pittura e della poesia moderna.
Mi piacevano le pitture idiote, sovrapporte, addobbi, tele di saltimbanchi, insegne, immagini popolari; letteratura fuori moda, latino di chiesa, libri erotici senza ortografia, romanzi delle bisavole, racconti di fate, libretti per bambini, vecchie opere, ritornelli sempliciotti, ritmi ingenui.
Sognavo crociate, viaggi di scoperte di cui non esistono relazioni, repubbliche senza storia, guerre di religione represse, rivoluzioni del costume, migrazioni di razze e continenti: credevo a tutti gli incantamenti.
Inventai il colore delle vocali! – A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu, – Disciplinai la forma e il movimento di ogni consonante, e, con ritmi istintivi, mi lusingai d’inventare un verbo poetico accessibile, un giorno o l’altro, a tutti i sensi. Scrivevo silenzi, notti, segnavo l’inesprimibile. Fissavo vertigini.

 

Una stagione all’inferno” in Opere (Mondadori, 2006), trad. it. Diana G. Fiori

Andrea Cati

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La pelle è questo sasso levigato dalla pioggia
terra impastata alla sua guerra
arma silenziosa che ci sfianca.

Sarebbe dolce chiedere di non partire
portare a termine la propria fine
tenersi per mano prima di franare.

Scrivere da capo la metafora
di questo corpo dissanguato
tradurre il suo silenzio
in un verso libero

intestare le ultime parole
all’uomo timido che non ho mai amato
invocare lo sguardo buono di mio padre
riunire tutta la famiglia
come non è mai stato.

La pelle è quest’annuvolarsi
sopra la mia testa
un’ossessione che mi cavalca
terra impastata alla sua guerra
arma silenziosa che mi sfianca.

 

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